Brindate Picasso e accelerate Rolling Stones di Ernesto Gagliano

Brindate Picasso e accelerate Rolling Stones Industria e arte: cresce anche in Italia il fenomeno dello sponsor Brindate Picasso e accelerate Rolling Stones Un balletto della Scala a New York finanziato dagli elettrodomestici, una mostra di de Chirico dagli aperitivi, il complesso rock dalle motociclette Dice il sovrintendente alla Scala Badini: «Non è il caso di gridare al diavolo. Siamo convinti che l'intervento delle industrie sia necessario» Giulio Carlo Argan: «Non vorrei che la direzione culturale fosse assunta dalle grandi organizzazioni finanziarie» SI chiama «sponsor»: è lui che dà i soldi. E' accaduto per lo sport, ora accade anche per l'arte. Martini & Rossi e Picasso, Candy e 11 balletto della Scala, Olivetti e 1 cavalli di San Marco. L'industria ha scavalcato la tradizionale pubblicità per cercare un dialogo diverso con la gente e coltivare meglio la sua immagine. La «sponsorizzazione culturale», nata negli Stati ' Uniti, sta dilagando ora anche in Italia. Un nuovo mecenatismo? La pubblici- • i ta che si rifa 11 maquillage e invade anche il nobile terreno dell'arte? La scoperta che un pubblico sempre più vasto è attratto dagli avvenimenti culturali e quindi è utile saltare su questo cavallo In corsa? I, motivi si intrecciano, proviamo ad inoltrarci in un paesaggio ancora confuso. Tra i molti consensi («Gli enti pubblici — tutti sospirano — hanno scarsi fondU) si insinua qualche perplessità. Carlo Maria Budini, sovrintendente della Scala, non ha dubbi: «Afon è il caso di gridare al diavolo. Noi bàttiamo questa strada dal 79 e siamo convinti che l'intervento di aziende pubbliche e private sia necessario. Il nostro corpo di ballo a New York lo ha sponsorizzato la Candy. la nostra Orchestra Filarmonica è nata con le quote di industrie milanesi-. E poi la B & B (arredamento) ha sovvenzionato un convegno su Strawinski, la Sony una pubblicazione sulla Scala. Infine la tournée in Giappone è avvenuta con l'appoggio di un «pool» di industrie ed enti culturali nipponici, altrimenti la spesa sarebbe stata impossibile: circa 6 miliardi. Il rischio maggiore? •Che uno sponsor dica: io dò i milioni e la Scala mi rappresenta quest'opera o ■questo balletto. Un atteggiamento che va respinto subito. Noi progettiamo le nostre attività In piena autonomia e le presentiamo a chi possa avere interesse ad associare la sua immagine. Garantiamo una citazione in calce al manifesto, ma niente di più». Badinl aggiunge: «Lasciamo naturalmente sfruttare la collaborazione nei comunicati, nei ricevimenti... Tutto qui». Sorride tranquillo, con la forza di un'Istituzione che non teme di essere contaminata da un pizzico di reclame commerciale. Approdiamo a Venezia, a Palazzo Orassi; anche qui voci concordi: la «sponsorizzazione» funziona bene; e il «centro di cultura» che organizza le famose mostre ne è un frutto. «Un gruppo di industriali veneti — spiega il direttore ~ Lauro Bergamo — versa una quota annuale che ci consente di affrontare la manutenzione del palazzo e le spese del personale. Ad ogni mostra cerchiamo noi lo sponsor egli proponiamo di partecipare per il 30 per cento dfil bilancio di previsione. Mettiamo un limite: non vogliamo approfittare del partner né favorirne magari l'invadenza.*. ■ Esempi? Ecco il caso della Bmw e la mostra della Pop Art americana nel 1980. 'Sapevamo che la Bmw aveva fatto dipingere due coupé da Andy Warhol e da Roy Lichtenstein e le aveva esposte al Museum of Modem Art di New York. Abbiamo trattato e siamo giunti a un accordo per la sovvenzione: come contropartita abbiamo esposto le due automobili nell'atrio di Palazzo Grassi. E non è stato facile farle arrivare fin li». Qualcuno ha storto il naso? «Ì7 pubblico no, i giornalisti si: perché la pubblicità nella cultura "olet", puzza. Almeno cosi dicevano allora, in seguito molti hanno cambiato opinione*. Poi altre iniziative: la mostra di Picasso con la Martini & Rossi, Outtuso con la Zanussl. E cosi via. Che cose, ci guadagna l'azienda che finanzia? <■ E'citata nel manifesti, nel cataloghi, la sua immagine resta nel pubblico. Quando ci sono centomila visitatori paganti nessuno dlmentl■cherà quel nome scritto sul biglietto o nella busta omaggio che si porta die¬ tro*. Lo sponsor, insomma, si affaccia con discrezione, tra le quinte. Alla Martini & Rossi, che è tornata in campo culturale vent'annl dopo 1 famosi «concerti sinfonici e vocali», dicono che non è facile stabilire se si guadagna o no da queste iniziative. L'immagine aziendale e le sue variazioni sono entità piuttosto impalpabili. ••Abbiamo sponsorizzato anche la mostra di De Chirico a New York. Slamo disponibili. In fondo il prodotto che vendiamo deve entrare nella vita di tutti t giorni dove c'è II tempo libero, lo sport. E anche la contemplazione di un'opera d'arte*. C'è perfino, alla Fratelli Branca, chi ha distillato una teoria sulla sponsorizzazione culturale. Sostiene il dott. Paschi, dirigente della pubblicità: *Noi abbiamo finanziato con 200 milioni la mostra degli Anni Trenta a Milano e istituito un premio letterario che pensiamo si svilupperà. La mostra, con il successo e il clamore che l'ha circondata, non ci lui fatto certamente vendere una bottiglia di Fernet in più. Ma il .nostro scopo non era que¬ sto. E' un vizio tecnocratico pensare che l'azienda comunichi solo sul plano commerciale. La pubblicità è una cosa, la sponsorizzazione un'altra: consente di allacciare rapporti utili con la comunità, con gli enti locali. E' un nuovo modo di essere presenti, di comunicare*. Un rapporto di tipo diverso con la gente lo cercano anche alla Piaggio. Il nome dell'azienda In questi giorni è associato a quello dei Roliing Stones e alla loro imminente tournée in Italia. Spettacolo, musica rock, costume. Se ne discute molto, si sono accese polemiche anche in ambienti politici e culturali. Affermano alla Piaggio: «Abbiamo pensato die ti pubblico del Roliing Stones. fatto di giovani e meno giovani, sia molto vicino al nostro. Per t due "tours" In Francia e In Italia versiamo 500 mila dollari (circa 700 milioni di% lire). Partiamo da questa idea: il rapporto con la clientela attraverso la pubblicità sut mass-media non basta, bisogna che l'azienda cerchi un contatto più diretto, dtventl partecipe, più vicina al suo pubblico*. E allora come sarà presente? «/ Roliing Stones in queste tournée, più che il tema del ribellismo, incoraggeranno quello della festa, del vivere insieme. Tutto è improntato a una grande gioia. Ci saranno lanci di migliaia di palloncini*. Dal ritmo del rock torniamo ai silenzio delle grandi opere d'arte. La Olivetti ha garantito qualche tempo fa i contributi necessari a completare il restauro del Cenacolo di Leonardo e un giornale ha scritto *E' nato il mecenatismo dell'era moderna*. E' stata organizzata anche in giro per il mondo una mostra dei cavalli di San Marco visitata da 3 milioni di persone. La cura dell'immagine è molto attenta: c'è alle spalle una tradizione. *Nol non sponsorizziamo niente — affermano a Ivrea —, noi inventiamo e realizziamo*. L'amministratore delegato Carlo De Benedetti è convinto che «per un'azienda che opera in molti Paesi i problemi di identità e quindi di immagine sono importantissimi*. «Tanto > più—incalza con una punta di polemica — per un'azienda italiana che non può godere del prestigio riflesso del proprio Paese, 'che in qualche modo la garantisca, come quando nell'Ottocento si diceva dell'Inghilterra che "la bandiera copre la merce"*. Quindi la necessità di quel «valore aggiunto» che è la qualità intellettuale: ricerca, design, iniziative culturali. Il connubio industria-cultura non suscita solo applausi. C'è chi teme la «sponsorizzazione» selvaggia e casuale, chi si preoccupa di difendere la completa autonomia e indipendenza dell'arte, chi accusa lo Stato di mancare al suoi compiti, min ogni caso — sostengono molti — dovrebbero esserci forti istituzioni culturali capaci di mediare questi rapporti*. Polemico è lo storico dell'arte Giulio Carlo Argan. «La Olivetti — dice — ha preso su di sé il restauro del Cenacolo, il Banco di Roma quello del Marco Aurelio. Non approvo. A proteggere il patrimonio artistico della nazione dovrebbe pensare lo Stato. E'penoso che non avvenga cosi». Argan ammette: «Se Io Stato non ha i mezzi, o preferisce spenderli altrimenti, piuttosto che il patrimonio vada in rovina è meglio che lo salvino i privati. Non vorrei però che ciò significasse una direzione culturale assunta da queste grandi organizzazioni finanziarie». Lo studioso attacca anche certe esposizioni all'estero: «Trovo immorale che si dica che le opere d'arte debbano andare in giro per guadagnarsi da vivere». Le discussioni non sono finite. Fioriscono convegni, dibattiti, simposi. Lo sponsor è utile e scomodo al tempo stesso: si tratta di trovargli il giusto posto tra enti pubblici e paladini della cultura. Per cambiare ci vuole immaginazione. Ernesto Gagliano scccz II marchio della tournée dei Roliing Stones in Italia tstccfefvlt•arsdegb