Una trottola e qualche figurina a quei tempi ci divertivamo così di Francesco Rosso

Una trottola e qualche figurina a quei tempi ci divertivamo così Una trottola e qualche figurina a quei tempi ci divertivamo così di Francesco Rosso Mezzo metro di spago, una: rapa di legno con un chiodo appuntito come perno, una mano addestrata, ed ecco il più bel gioco del mondo: la trottola. Ci si divertiva da soli tracciando un cerchio, sulla terra battuta, o col gesso sul marciapiede, e giù, a lanciare quel pezzo di legno che, vorticando, pareva si allungasse, come un fuso. O si gareggiava, assegnando punti a chi si accostava di più al centro. I più abili si chinavano e con gesto rapido facevano salire la trottola nel palmo della mano senza interrompere la frenetica piroetta del giocattolo. Ci divertivamo cosi, con trastullati poveri, sollecitando l'immaginazione per variare lo svago. Nelle botteghe c'erano barattoli di vetro colmi di biglie, di terraglia, di vetro a spicchi variopinti. Un buchette nel terreno, ed Incominciava la gara; per impedir? alle biglie concorrenti di andare a «méta», si rompevano anche le biglie di maiolica con quella più resistente di vetro. Infilare per primo la propria nel buco consentiva di incamerare le biglie avversarie. I ragazzi fortunati possedevano trenini di legno, con ruote di legno, ed uno spago per trainarli. I ricchi avevano cavalli a dondolo di cartapesta, o cavallucci, sempre di cartapesta, con le zampe incollate ad un'assicella for¬ nita di ruote. Un amico mi racconta di aver squartato il suo cavalluccio suggestionato dall'attività sezionati-Ice di un macellaio di equini che vedeva ogni giorno al lavoro. Sventrare i propri giocattoli per vederne l'interno era un piacere che nemmeno i ceffoni paterni, o materni, riuscivano a impedire, C'erano ragazzi che ricevevano in dono burattini di legno verniciato, birilli da abbattere con una piccola boccia, ma erano superfluità, quasi sempre sapevamo trarre dal nulla, con molta inventiva, U nostro divertimento. Se eravamo in sei bastavano sei pagliuzze di varia lunghezza; chi estraeva la più corta «andava sotto». Volgeva il dorso e sporgeva una mano, sulla quale uno dei cinque picchiava forte. Il colpito si volgeva di scatto e vedeva cinque dita erette che si autoaccusavano. Si «liberava» solo indovinando chi lo aveva schiaffeggiato. Giocavamo alla lippa, un. tronchetto affusolato alle punte posato a terra, n giocatore lo percuoteva in punta e nel rimbalzo doveva colpirlo e lanciarlo lontano. Gli avversari, col berretto teso, tentavano di prenderlo a volo e rilanciarlo al battitore che. se falliva il rinvio, perdeva il diritto alla battuta. Era una sorta di baseball nostrano, certo più antico dell'attuale, complicato modello americano. Se avevamo qualche spic¬ ciolo, giocavamo a soldi, lanciandoli contro un muro. Vinceva e raccattava tutto chi si avvicinava di più al muro. Mancando spiccioli rubavamo dal cestello materno 1 dischetti di piombo usati come peso per tendere' gonne e giacchette femminili. I pennini erano la grande risorsa; ce 11 giocavamo lanciandoli su una linea tracciata in terra, o scagliandoli in un cerchietto disegnato contro un uscio, come freccette. Due berretti formavano una porta, e si giocava a palla per ore. Talvolta la palla era di gomma, più spesso di stracci bene arrotolati sulla quale si abbattevano le nostre scarpe sempre più sformate. Indimenticabili gare di calcio sotto il sole estivo, col cuore in gola come se da un gol fatto o subito dipendesse 11 nostro avvenire. Eravamo avvelenati dalla voglia di primeggiare, ed eravamo crudeli con gli sconfitti. C'era ancora il gioco variopinto delle «figurine», antico quanto il commercio, credo. Le trovavamo nelle tavolette di cioccolata della merenda o ce le davano le mamme quando acquistavano i dadi per il brodo. A quel tempi le «figurine» non seguivano mode; c'era la serie! di Pinocchio, ma anche quella degli ascari in Libia,1 vestiti di bianco col fez rosso.. Abbiamo giocato lanciando Pinocchio, gli ascari,, Gerbi. Ganna, in uno sfarfallio che. cadendo policromo, non doveva uscire da un cerchio ben tracciato. Oppure le conquistavamo ammucchiandole e colpendole1 con un sasso facendone uscire il più gran numero possibile dal cerchio in cui le avevamo chiuse. Le ragazze si divertivano coi ritagli di stoffe, con! scampoletti di lana e filo; in-, ventavano fantasiose composizioni per bambolette dal viso di celluloide, o pupattole di stracci. Noi inventavamo tutto, 11 nasconderello era fonte di continue variazioni,, la fantasia e» suggeriva camuffamenti camaleonteschi per ingannare chi doveva1 cercarci. Elettronica, transistors, astruse tecnologie ap-' plìcate ai giochi eran di là da venire, il «meccano» era peri ingegneri precoci. Per noi, pezzi di legno, di cartapesta, pennini, biglie, palle da pochi soldi. Il divertimento, noi. lo Inventavamo all'Istante.

Persone citate: Ganna, Gerbi

Luoghi citati: Libia