Se almeno ci bastassero quelle guerre a tavolino di Stefano Reggiani

Se almeno ci bastassero quelle guerre a tavolino Se almeno ci bastassero quelle guerre a tavolino di Stefano Reggiani E pensare che tutto dovrebbe risolversi nel gioco. Ricordiamo con nostalgia i flipperistt. accampati nel loro angoli semilegali. Ci sembrano meravigliosi i frequentatori di sale-giochi e di bar elettronici davanti ai ruggiti e ai lampi delle loro macchine. Chiediamo solidarietà per gli italiani in vacanza, uniti per giocare sulla terrazza della Pensione Marebello o afferrati fragorosamente dal Luna Park. Il gioco degli adulti è importante perché scarica tutta la sua violenza dentro la regola, superiore perfino al gioco dei bambini che accètta una fantasia disordinata e si consuma per eccesso di energia e voglia aggressiva. Una partita di calciò, per esempio, è il ricamo ambizioso, la copia di una perfezione astratta che pure esiste. Senza regole, ogni incontro diventerebbe una rissa priva di senso, andate a picchiarvi da un'altra parte. Dallo sport al giochi degli adulti propriamente intesi il passaggio che i tempi suggeriscono verso una sempre maggiore organizzazione e difficoltà delle regole. Prendiamo un aggeggio relativamente semplice come il vecchio flipper. Tutto è stato preordinato, il percorso con i suoi punti di contatto, la pista, le luci che si accendono al variare del punteggio, persino la sconfitta della macchina, il tilt. Il giocatore accetta le regole severissime, prima di spingere la pallina sul percorso. Si obietta che il flipper lascia più spazio all'azzardo che all'abilità, che sfrutta le regole a suo vantaggio, in modo autoritario., Sarà, ma allora i giochi d'azzardo che gli adulti stanno conducendo adesso nel mondo, che probabilità hanno di essere considerati legali? Prendiamo gli scacchi col computer: da una parte c'è il piccolo computer che cono¬ sce, poniamo, mille regole, cioè mille variazioni degli schemi, dall'altra c'è lo sfidante uomo che può conoscere cento variazioni (e allora perde), ma può conoscere e trovare mille e trecento variazioni, dentro le regole, e allora vince. Ma chi non sa la regola, uomo o macchina non si metta neppure alla scacchiera. E' vero, i giochi con la macchina possono stancare. U ping pong con lo schermo televisivo è solo faticoso, come gli altri giochi da tv, i percorsi obbligati, gli scontri finti, i labirinti, il tiro al bersaglio mobile. Resta il sospetto, anzi la certezza, che la regola debba astutamente ammettere un margine di li-' berta. Le statistiche sembrano indicare, accanto ad una buona vendita di giochi televisivi, una rimonta abbastanza clamorosa dei giochi di simulazione, dei congegni che s'affidano, dòpo aver fissato le regole, alle teste dei giocatori e al rischio delle loro scelte. I war-game, appunto; i giochi di guerra. Famose battaglie della seconda guerra mondiale ricostruite su una carta topografica con le pedine trasformate in soldati, armi e bersagli. Nella Storia la battaglia ha avuto un esito ormai immodificabile, nel gioco è aperta ad altre soluzioni, purché si sappiano applicare intelligentemente le regole. Certo, la faccenda fa pensare. Se il miglior gioco è la simulazione, ma se l'unica garanzia è la regola, perché il gioco della guerra s'estende oltre i tavoli del salotto e le serate in buona compagnia? Tutto dovrebbe risolversi nel gioco, l'unico mezzo per dissipare ragionevolmente la propria violenza. C'è un punto probabilmente in cui la voglia di infrangere le regole, di non avere controlli, diventa più forte, in cui qualcuno è disposto a barare e a distruggere. «Non gioco più» si diceva da bambini quando il divertimento degenerava. Gli adulti hanno il vantaggio che continuano.

Persone citate: Sarà