Condannato al potere nella polveriera irachena

Condannato al potere nella polveriera irachena Per paura del khomeinismo, Usa e arabi moderati cercano di salvare il regime di Saddam Hussein sconfìtto in guerra Condannato al potere nella polveriera irachena L'attualità aveva cacciato dalle prime pagine dei giornali il conflitto Iran-Iraq, apparentemente in stallo dopo la riconquista iraniana di Khorramshahr. Il blitz israeliano in Libano lo rilancia alla ribalta. I fatti: il 9 giugno l'Iraq propone all'Iran di sospendere tutte le operazioni belliche per replicare «all'aggressione israeliana nel Libano». Successivamente, nello stesso giorno, Baghdad dichiara una tregua unilatera- le, assicurando la disponibilità a ritirarsi entro due settimane dai territori iraniani ancora in suo possesso. E aggiunge che se Teheran rifiuta la trattativa diretta, l'Iraq e pronto ad accettare le decisioni della Conferenza islamica o del Movimento dei non-allineati ovvero del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Secca la replica dell'Iran, che aveva già rifiutato l'invito al presidente Khamenei di recarsi alla Mecca per regolare con Saddam Hussein il conflitto. «/ capi militari iracheni, con o senza Saddam Hussein — scrive YEttelat — cercano di imporre all'Iran un cessate-ilfuoco a loro favorevole, con la \scusa di voler combattere contro Israele. Non cadremo nel tranello». Parla poi il primo ministro Mussavi, per affermare che l'Iran non rinuncerà mai alle condizioni imposte per la pace: ritiro incondizionato delle forze irachene; risarcimento dei danni — 150 milioni di dollari —; fine politica di Saddam Hussein. Per Teheran, il blitz israelia¬ no è una manovra imperialista tra americani, israeliani, egiziani e iracheni; comunque sia — ed è l'ultima condizione dettata, questa volta da Rafsanjani, presidente del Parlamento — c'è un solo modo per l'Iraq di «salvarsi dalla rovina: lasciar passare i soldati iraniani ansiosi di combattere al fianco dei fratelli palestinesi». Ma i soldati iraniani che vorrebbero combattere in Libano sono arrivati solo a Damasco, si dice, sorvolando la Turchia. La Siria, accettando la tregua, cerca disperatamente di uscire dalla trappola libane¬ se con buona pace dei «fratelli palestinesi». Paradossalmente, il ministro della guerra israeliano, Sharon, ammette che Israele ha fornito armi all'Iran, mentre a Teheran gli oppositori venivano (e vengono) giustiziati come spie di Israele. Adesso l'Iran si mobilita contro Israele, e Israele continua a; spedire armi a Khomeini, preoccupandosi al tempo stesso di premere sull'Egitto perché aiuti «più concretamente* l'Iraq ad evitare che Ylmam stravinca. A questo punto è lecito pensare — «complotti imperialisti» a parte — come Sta- 'ti Uniti e Paesi arabi moderati stiano tentando di stabilire un assetto «più equilibrato» del Medio Oriente. Codesto assetto, che in nome della Realpolitik passa sulla pelle dei palestinesi, prevede il ridimensionamento del regime di Assad (umiliato sul campo, ancora una volta, da Israele) e il ridimensionamento di Saddam Hussein. Ma se il leader alauita potrebbe essere abbandonato al suo destino, riesce difficile credere che Saddam Hussein venga mollato. E' vero che pochi scommettono su di lui (l'ex presidente libanese Frangie gli ha suggerito il suicidio «sul nobile esempio di Rommel»), ma un golpe a Baghdad comporta il rischio di far saltare qu:l barile di polvere che è l'Iraq, un Paese in prevalenza sciita, con i curdi e i comunisti per niente domati dalla repressione. E l'esplosio-, ne dell'Iraq provocherebbe un fall-out pernicioso per l'intera regione, segnatamente per il Golfo del petrolio. Saddam Hussein va dunque ridimensionato ma comunque salvato? Quarantaquattro anni, atletico, baffuto, gran fumatore di sigari cubani, quest'uomo al quale non manca un certo carisma ha fatto una carriera invero folgorante. A 30 anni, numero due del presidente Bakr, era l'uomo forte del regime. Da Presidente promosse lo sviluppo interno con una politica veramente accorta di promozione sociale e di pubbliche relazioni internazionali. Concluse un trattato di amicizia e cooperazione con l'Urss continuando a sterminare i comunisti: una delle tante «purghe» vide erigere duemila forche in Baghdad, destinate ad ebrei e comunisti. Inebriato dal successo, nell'autunno 1980 si fa nominare generale e invade l'Iran. Gioca la carta americana, voltando le spalle all'Urss. Calcola di liquidare in tre settimane il traballante regime di Khomeini proponendosi automaticamente come nuovo gendarme del Golfo. Sbaglia i calcoli politici, si rivela un pessimo stratega. La guerra dà ossigeno a Khomeini, che con una mano sopprime gli oppositori e con l'al¬ tra plasma un'armata di giovani votati al sacrificio. L'Imam ha bisogno di continuare la guerra, non solo perché persegue il sogno dell'islamizzazione sciita, ma anche, se non soprattutto, perché vuol tener lontani da Teheran i generali. E, poi, la guerra scarica le tensioni interne, fa dimenticare che le cipolle costano 8 mila lire il chilo, che la libertà è morta. E cosi, pur non amandolo, in molti si affannano per salvare Saddam Hussein. Come ha scritto A! Ahi un:, se l'Iraq fosse travolto dai pasdaran e Hussein costretto a piegarsi agli ukase di Teheran, chi sarebbe in grado di opporsi al dilagare del khomeinismo? C'è di più: il diluvio sciita costrìngerebbe, gli Stati Uniti a intervenire, poiché Washington si è impegnata a proteggere i Paesi arabi del petrolio. E un intervento americano questa volta potrebbe spingere l'Urss a muoversi. Una cosa sono i palestinesi, un'altra i «mari caldi», già sogno di conquista di Caterina Igor Man