Versailles socialiste
Versailles socialiste Versailles socialiste di GIANNI VATTIMO Abbiamo tutti potuto vedere alla televisione lo spettacolo fantasmagorico della serata offerta dal presidente socialista della Repubblica francese ai suoi collcghi capi di governo in occasione del recente vertice occidentale di Parigi. Può darsi che questo fasto da Luigi XIV rientri in un tradizionale gusto di grandeur rimasto immutato da De fèaullc a Giscard a Mitterrand. Ma c'è anche un'altra possibile interpretazione, se si pensa a quanto spesso, anche in Italia, i socialisti abbiano di recente insistito sul nesso tra politica e spettacolo (Stato-spettacolo, società dello spettacolo); e a quanto peso abbia lo sforzo di «spettacolarizzazione» della vita sociale nella politica culturale delle ammini-. strazioni di sinistra (Nicolini a Roma; ma non solo). Non si tratta soltanto di una più massiccia uti'izzazionc delle forme consuete di spettacolo — cinema, tv — per la propaganda politica. Nell'insistenza — che, sul piano teorico, è soprattutto socialista — sul concetto di spettacolo sembra invece farsi strada una vera e propria concezione generale della società e della politica, che investe anzitutto la politica culturale ma non si limita ad essa. I socialisti sembrano voler portare fino in fondo una scoperta che è ormai patrimonio più o meno comune di tutta la sinistra; la scoperta, cioè, che non vale più per la società industriale avanzata quello che Marx diceva dei rapporti fra struttura e sovrastruttura, tra i rapporti di produzione e in genere le basi economiche di una società, e le idee, i gusti, i ^valori, le aspettative dc^a gente, che inve- ce sarebbero soltanto espressione derivata dagli effettivi rapporti di potere economico. Oggi il consumo ha preso un'importanza ancor più grande della produzione; e il consumo a sua volta è influenzato in modo determinante proprio da tutto quell'insieme di elementi sovrastrutturali che una mentalità materialistica ortodossa considerava secondari. Non si consumano solo oggetti, si consumano immagini, miti, simboli, in un intrico in cui è sempre più difficile distinguere il valore d'uso (l'utilità diretta di una cosa in funzione di un bisogno) dal valore di scambio (il suo valore di merce, ma anche di immagine e di simbolo sociale). La politica, in questa situazione, non può più dirigersi esclusivamente alla trasformazione delle strutture economiche, considerate le basi del potere, ma deve investire direttamente il mondo delle immagini, dello spettacolo sociale, nel cui ambito maturano le sc-lte della gente e anche il senso che ciascuno di noi dà alla propria esistenza. Tutto questo non perché, nella società dei mass media, siamo condannati a vivere in un mondo solo immaginario, come drogati dall'oppio della propaganda e della pubblicità; bensì perché forse la società presente, e ancor più quella che si può costruire in futuro, è sempre meno fondata sulla produzione di oggetti (che ha un limite) e sempre più sullo scambio di comunicazioni, simboli, immagini, valori. Presa in questo senso, la nozione di società dello spettacolo può probabilmente fornire un nuovo contenuto al sogno socialista di un mondo liberato dall'alienazione e dallo sfruttamento. ^
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