Gli uomini chiave della tragedia libanese di Igor Man

Gli uomini chiave della tragedia libanese Dal presidente Sarkis al capo delFOlp, Arafat; dal siriano A ss ad al maggiore cristiano Haddad Gli uomini chiave della tragedia libanese Già zona franca nel .gigantesco boulevard' che collega tre Continenti: l'Europa, l'Asia, l'Africa, il Libano è stato la Svizzera del Medio Oriente fino al 3 novembre del 1969. Quel giorno, con l'accordo, in realtà un patto leonino, concluso al Cairo tra libanesi e fedayn, 'mercé i buoni uffici di Nasser», ebbe fine la preziosa neutralità. Il Libano ha pagato duramente la «connivenza col terrorismo, denunciata da Israele. La guerra civile (1975-76) fu il prologo della tragedia che si sta consumando oggi. ( ' In codesta tragedia — prossima alla catarsi —, una popolazione composita fa da coro disperato a quattro protagonisti: il presidente siriano Elias Sarkis, il capo dell'Olp, Yassir Arafat, il presidente siriano Assad e il maggiore Saad Haddad, uomo di mano degli israeliani nel Sud del Libano. (Un quinto protagonista, Bashir Gemayel, leader dei falangisti cristiani, armati da Israele, per ora se ne sta dietro le quinte). Elias Sarkis è fórse il personaggio più patetico. Imposto alla presidenza della Repubblica cinque anni fa dal siriani, l'uomo che come governatore della Banca del Libano dal 1967al 1974 aveva rifondato economicamente il Paese dopo il crack dell'Intra Bank, non ha potuto rifondarlo politicamente. Nel marzo del 1981, quando ebbi modo di incontrarlo — un colloquio rapido e demoralizzante nel Palazzo di Baabda — il Carli libanese mi apparve come un distinto signore dai modi cortesi ma dall'aria afflitta. Avvolto in un • gessato» davvero presidenziale, sul suo volto intelligente sembrava fosse sparsa una cipria grigia. I giornali riportavano una sua dichiarazione al patriarca maronita Hakim: «Sono quasi quattro anni e mezzo che esercito le mie funzioni. Purtroppo sono appena al principio di una strada dissestata che non so dove potrà condurre». Il suo mandato scade il 23 settembre del 1982 — gli dissi — e dopo? Per tutta risposta mi mostrò un ritaglio di Le Monde sottolineando con una biro rossa la frase seguente: «La questione non è tanto di sapere chi succederà a Sarkis, quanto se qualcuno gli succederà». Al*vertice islamico di Ralf, Sarkis parlò fuor dai denti. Disse che proprio a causa della presenza di 700 mila palestinesi il Libano «è diven tato lo sfogatoio delle tensioni del Medio Oriente, il prossimo. obiettivo dell'espansionismo Israeliano». Con me fu più sfumato: «Finché in Libano ci saranno 700 mila palestinesi non avremo pace. Non possiamo cacciarli anche se lo volessimo, e non lo vogliamo. Occorre, dunque, dare ai palestinesi una patria. Ne hanno il diritto ma, ahimé, non sono in pochi a disconoscerlo: per conseguenza, più tempo passa c'più il mio caro Paese si sfinisce. Abbiamo di fatto perduto la sovranità, a volte ho paura di pensare al futuro». Yassir Arafat è un personaggio più problematico. Sarkis nasce nel 1924 da una famiglia umile, Arafat, nato a Gerusalemme nel 1929, è di famiglia nobile che si richiama discendente diretta del Profeta. Per certi versi il presidente dell'Olp ricorda Kruscev, almeno sotto il profilo caratteriale. Kruscev parlava solo il russo dei contadini ucraini, l'ingegner Arafat oltre al francese e all'inglese sa anche di latino. E tuttavia, a somiglianza del vecchio Nikita, trascorre dalla indignazione — simulata ono—, alla pacatezza, dalla mozione degli affetti all'invettiva, dall'enfasi tribunizia al discorso stringato (si rammenti il suo intervento all'Onu: «O l'ulivo o la pistola». Nasser lo definì «un gatto politico», Hussein di Giordania «uno stratega consumato», re Feisal «un combattente valoroso». Per gli israeliani è stato sempre «il capo cinico di una banda di terroristi assassini». Nelle ore tremende che sembrano ricalcare per t palestinesi il destino catastrofico del 'settembre nero* del 1970 in Giordania, buone fonti as¬ sicurano che Arafat non si è limitato a dirigere le operazioni da Beirut ma che «spesso è andato in prima linea». Ora ci si domanda se riuscire sottrarsi alla morsa israeliana, e, addirittura, se è vera la notizia che lo vuole colpito da emorragia cerebrale o gravemente ferito. Al Cairo ritengono che per i soldati di David sarebbe temerario correre l'avventura di una battaglia strada per strada a Beirut, una città che da sette anni vive instato permanente di guerra civile. Ma bisogna tener conto dell'incognita Bashir Gemayel». Se i falangisti chiudessero la tenaglia che ne sarà di Beirut Ovest, che ne sarà di Arafat? L'ultima volta che, nel marzo dell'81. vidi Abu Ammar, il suo nome di battaglia, disse: «Il conto alla rovescia è già cominciato. Israele si sta preparando a Invadere il Libano. Questa volta non sarà come nel 78. Ma noi siamo decisi a batterci allo stremo. Anche se la morte dovesse coglierci non per questo 1 palestinesi scompariranno. Finché esisterà un palestinese della diaspora la nostra causa andrà avanti. Begin e i suoi scherani razzisti si illudono di risolvere i loro problemi massacrandoci. Il problema palestinese è un fatto storico e la storia finisce sempre col premiare i giusti e condannare 1 tristi Chi se non la storia ha sconfitto il Terzo Reich?». Hafez Assad o 'il mistero siriano: «Slamo nella stessa trincea» ha mandato a dire Assad ad Arafat Retorica? Può darsi, ma intanto gli scontri fra siriani e israeliani si moltiplicano. Secondo gli analisti di Gerusalemme «Assad deve pur dare l'impressione di far qualcosa», ma l'ora della verità si approssima. Entrando in forze nel 1976 nel Libano, Assad confava di realizzare un sogno più vecchio di lui (è nato nel 1930 nei pressi di Lattakia), ricostituire la Grande Siria. Da solo ogni Paese del Medio Oriente è debole e ingovernabile laddove un 'impero* metterà fine a tutte le diatribe tribali e sarà il portatore di una gloriosa ambizione. Ma né maroniti né musulmani hanno recepito l'abc del nazionalismo arabo. Sia gli uni che gli altri si sono scontrati coi siriani: giunto come liberatore, Assad è dive nuto un duro occupante. Un occupante che adesso dovrebbe trasformarsi in difensore dei palestinesi, delle sinistre libanesi. In verità corre sull'orlo del¬ l'abisso. Gli baster . fare ammoina per sfuggire a. li trap-' pola libanese? Ad Habib, martedì scorso Begin uvrebbe detto: ce ne andremo a patto che Damasco ritiri il suo corpo di spedizione, che la piena sovranità libanese sia ristabilita nelle province del Sud e che sia creata una -.no smilitarizzata profonda 40-*0 chilometri. Codeste dichiarazioni sono la riprova che Begin ha scatenato il blitz con in mente un disegno invero ambizioso: liquidare ph 'edayn possibile ed espeller. I superstiti dal Libano insieme evi loro 'protettori» siriani. Dicono o Damasco che Begin potrebbe nncìie, in teoria, realizzare il suo piano, «ma dovrà pur fare i conti con l'Urss» «alleato» di Assad. Per l'alauita Assad, che Klssinger definì «forse uno dei più capa¬ ci capi di Stato arabi da me incontrati», il dilemma è terribile: non lasciarsi prendere nell'ingranaggio delle calcolate provocazioni israeliane oppure rassegnarsi allo scontro, fidando magari nell'aiuto sovietico. Ma l'Urss è disposta a correre l'alea di un coinvolgimento che potrebbe portare alla terza guerra mondiale? Saad Haddad, espulso dai ranghi dell'esercito libanese nel 1979, fino a sette anni fa ero un oscuro capitano di fanteria, conosciuto solo nella sua città natale, Marjayoun, il capoluogo del Libano Sud. Nominato maggiore dopo un corso a Fort Benning, balza agli onori della cronaca locale nel 1976, quando si autoproclama 'presidente del libero Libano», e di quella internazionale dopo l'invasione israeliana del 1978. Allorché gli israeliani si ritirarono, riuscirono a fare in modo che le truppe di Haddad si attestassero lungo i 120 chilometri del confine, da Nakura, sul Mediterraneo, a Marjayoun, verso le pendici del Monte Herman. Una striscia profonda pochi chilometri, dai tre agli otto, che si è rivelata il trampolino di lancio dell'invasione. Quarantaquattro anni, massiccio, baffuto, padre di sei bambine, il maggiore Haddad parla fluentemente l'ebraico e comanda tremila uomini che indossano divise israeliane e impiegano materiale di Tel Aviv. Lui solo, Haddad, continua a vestire la divisa di combattimento dell'esercito libanese. Con quella divisa ha fatto il lavoro 'Sporco» che agli is. ueliani non andava di fare, attirandosi l'odio dei palestinesi e il disprezzo dei suoi ex commilitoni. Non senza arroganza Begin, in una fastosa cerimonia, dopo averlo abbracciato gli ha 'Consegnato» il castello di Beaufort «Ciò che era nostro ci viene restituito», ha detto il maggiore con i lucciconi. A suo modo, come ha scritto il Times, Haddad è un personaggio scespiriano. Dichiara: «Il Libano è la porta del Medio Oriente, dobbiamo impedire che tramite siriani e palestinesi la Russia si impossessi del nostro Paese»; «Potrei andarmene all'estero e vivere nell'agiatezza, invece conduco vita da cani per il bene del mio Paese. Se molti libanesi mi odiano è perché non capiscono che io lotto per la loro salvezza». Evidentemente neanche lo sfiora l'idea di essere un traditore, un piccolo Quisling massacratore di popolazioni inermi. (Il dì di Pasqua dell'81 bombardò Sidone macellando più cristiani che musulmani, donne e bambini). E nemmeno quella che, un giorno, gli israeliani gli diano il benservito. Un ministro israeliano ha detto di lui: «Haddad? Certo, ci serve, ma è troppo zelante. In verità abbiamo creato un Frankenstein». Scriveva ieri il Los Angeles Times che l'Arabia Saudita odia Israele ma diffida della Siria e teme l'Iran. Sia l'Iraq che l'Iran detestano Israele ma si combattono ferocemente. Anche la Siria odia Israele ma trama alle spalle dell'Arabia Saudita. La Siria sostiene l'Iran contro l'Iraq ti quale, a sua volta, è appoggiato da Rlad. Gheddafi è lontano e velleitario, Mubarak non può rischiare. Questo scenario spiega perché Israele, contando fra l'altro sulla 'distrazione» dell'Occidente preoccupato per le Malvine, ha invaso il Libano, esattamente nell'anniversario della 'guerra dei sei giorni». Igor Man Pdcbuds«èbsToScmtmblsRvr Elias Sarkis Saad Haddad