Le fantastiche beffe scientifiche

Le fantastiche beffe scientifiche Le fantastiche beffe scientifiche NELLE settimane scorse ha fatto il giro del mondo la notizia dello scandalo che ha coinvolto in Israele il ministro per la Programmazione economica. Yaakov Meridor. Vecchio e navigato uomo politico, il ministro ha annunciato una scoperta sensazionale, tale da procurare al Paese una fonte inesauribile d'energia, ma poi ha dovuto confessare d'esser stato turlupinato da un sedicente inventore. Non è certo la prima volta che qualcuno, scienziato o no, fa un «bidone» in nome della scienza, travolgendo nel ridicolo qualche personaggio di rilievo. Negli Anni ■ Cinquanta toccò a Peròn lasciarsi imbrogliare da un certo professor Richter il quale ottenne quattrini e impianti per fabbricare la «bomba atomica argentina», che fortunatamente non fu in grado di costruire. La storia ne registra molti casi, ma ve ne fu uno che ebbe per vittime addirittura quattro personaggi po- lentissimi: Napoleone Bonaparte, Federico II di Prussia, l'imperatrice Maria Teresa d'Austria e Caterina II di Russia.'!. L'artefice del raggiro fu un ungherese insospettabile e geniale, il barone von Kempelen, consigliere imperiale delle Finanze, scrittore, studioso del meccanismi del linguaggio e inventore di marchingegni singolari. Il Kempelen costruì un macchinario di cui mai nessuno aveva visto l'eguale: un automa in grado di giocare a scacchi. Si trattava di un fantoccio vestito all'orientale (donde 41 nome di «Turco») con turbante e lunghissima pipa, seduto a una scrivania sulla quale era intarsiala la scacchiera. L'insieme, montalo su ruote, veniva presentato personalmente dall'inventore, che procedeva con un cerimoniale di grande efficacia ad aprire gli sportelli di cui il macchinàrio era dotato per permettere il controllo dell'interno stipato di congegni e ingranaggi. Il Kempler poi caricava con una grossa chiave il meccanismo e dava il via alla partita concedendo all'avversarlo la prima mossa. Il primo avversarlo fu la regina d'Austria. Era il 1770. Quel giorno, 'come poi sempre per circa settantanni, accadde l'incredibile. Accompagnato da cigolìi, il braccio dell'automa si mosse, la mano afferrò un pezzo e lo spostò. Mentre il pubblico guardava attonito il «Turco, ritraeva il braccio e i suoi falsi occhi di vetro si spostavano intorno a cogliere l'effetto ottenuto. Non era che l'inizio di uno spettacolo affascinante. Il «Turco» rispondeva con diabolica abilità alle mosse dell'avversario, si comportava come uri giocatore consumato, alternando periodi pensosi di pausa a scatti improvvisi e se mai l'avversario s'azzardasse a commettere una mossa irregolare, eccolo incollerito scuotere 11 capo e anche spazzar via i pezzi dalla scacchiera Vinse, come poi contro innumerevoli altri giocatori, anche con la regina che applaudi stupefatta. Napoleone, che'aveva un caratteraccio e che incontrò il •Turco» nel 1809, invece si stizzì alla propria sconfitta. se n'andò di scatto, poi tornò, volle la rivincita e riper- : se. Come lui, persero regolarmente Federico II e Caterina la Grande. Non sapevano che c'era il trucco. A scoprirlo ci vollero 67 anni e toccò a quel genio del mistero che fu Edgar Allan Poe. Lo scrittore smontò la messinscena con cui Kempelen prima d'ogni partita voleva dimostrare che non c'era trucco, e lo fece partendo dal sospetto che un uomo fosse celato nella grande scrivania del «Turco». E' vero che il Kempelen apriva via via gli sportelli a mostrarne l'interno, ma Poe dimostrò che la tecnica con cui compiva l'operazione avrebbe permesso all'uomo nascosto di spostarsi nei pur ristretti vani del macchinario, oggi si potrebbe chiedere al mago Silvan co¬ me si fa. Il «Turco» era quindi un imbroglio, un falso robot-scacchista. Fu poi accertato che diversi grandi giocatori dell'epoca, a parti- ( re dal venale Allgaier, si chiusero nella scomoda scrivania e si prestarono al trucco che Poe seppe smascherare basandosi su un principio logico: se si trattava di una macchina, doveva vincere sempre. Ma il «Turco» vinceva «quasi» sempre, non sempre. Storica, tra le più clamorose beffe scientifiche, rimane quella dell'«Uomo di Piltdown», che mise nel sacco per 45 anni i baroni della paleontologia, dell'antropologia e della.geologia europee. Si trattava di un cranio scoperto nel 1868 nel Sussex, Inghilterra, da un avvocato di grido, noto anche per i suol studi di preistoria, Charles Dawson, che 10 presentò con tutti i crismi di una documentazione ineccepibile. Un refèrto sensazionale: 11 cranio di un primitivo che non trovava collocazione in alcuna teoria evolutiva, mezzo Homo sapiens e mezzo scimmia. Si trattava appunto del cranio di un contemporaneo, adattato artatamente a una mandibola di orango, 11 tutto abilmente associato a utensili falsi e a fossili portati addirittura dall'isola di Malta. Ma ci volle l'avvento dell'analisi al radlocarbonlo (quando ormai Dawson era morto da un pezzo e le accademie non potevano più rinfacciargli l'affronto) per svelare l'abominevole raggiro. Il bersaglio delle grandi beffe scientifiche non è detto debba èssere un potente, un ministro, o un'accademia. Un giqrno del 1896 due operai che scavavano una fossa a Syracuse, presso New York, s'imbatterono in un enorme piede umano «fossilizzato» e corsero a dare l'allarme. Venne fuori dallo scavo un gigante alto oltre tre metri. Il mondo ' scientifico fu a rumore e si1-' fecero mote ipotesi. Il diret-' tore del museo dello Stato definì l'oggetto «il più notevole mal riportato alla luce nel Paese». E' poco definire bizzarra la storia di questo colosso. Un certo Hull, fabbricante di sigarette dello Iowa, per far dispetto a un prete, il quale andava predicando che i giganti descritti dalla Bibbia erano davvero esistiti, attuò un piano diabolico. Scavò da una cava di gesso un monolito di cinque tonnellate e lo fece trasportare tutto intero, fra mille peripezie (provocò persino il crollo d'un ponte) fino a Chicago. Qui lo affidò a uno • scalpellino provetto. Hull compi poi l'opera, dando al gigante una patina d'antichità con smeriglio e acidi, e lo fece seppellire a Syracuse nella fattoria di un parente. Lo scherzo, si racconta. gli costò 2200 dollari, ma alla fine si rivelò un affare: lo acquistò anni dopo un impresario che faceva concorrenza al circo Barnurn pagandolo 60 mila dollari. Luigi Bassi Gli automi di Jaquet-Droz presentati alla corte di litigi XVI. A destra il particolare, dopo il restauro della mano meccanica della «musicista» (Da «Androidi»- editore Franco Maria Ricci)

Luoghi citati: Austria, Chicago, Inghilterra, Iowa, Israele, New York, Prussia, Russia