Prima parassiti e poi ribelli i poveri del Medioevo

Prima parassiti e poi ribelli i poveri del Medioevo Economia e società nell'Anno Mille Prima parassiti e poi ribelli i poveri del Medioevo QUANDO, nello splendido volume Novara e la sua diocesi nel Medioevo (ora promosso munificamente dalla Banca Popolare di Novara e curato espertamente da Maria Franca Baroni con la trascrizione delle pergamene dell'Archivio di Stato di Novara relative a quella diocesi nel Medioevo), leggiamo in un contratto del 1381 che un Ardizeone da Boca, pescatore, prende in affitto per un anno una casa e annessi a Novara per sei soldi e «caponem unum bonum et ydoneum», e ancora un paio di capponi s'aggiungono a un po' di soldi e di vino per altri affitti dì numerose pezze di terra a Mosezzo nel 1367, ci chiediamo quanto dunque non fosse allora il valore, anche solo simbolico forse ma non meno significativo, di una buona gallina. Uno stato di miseria serpeggia per quegli impossibili fogli latini, dove fan capoUno persino delle monache — il secondo stato! — indotte nel monastero di Sant'Agata all'indigenza più nera e all'impossibilità di campare sema l'intervento del vescovo con qualche prebenda; per non dire delle frotte di veri tapini affidati alla beneficenza: quando il buon Eleuterìo di Sillavengo dona tutti i suoi beni, per la propria anima, all'ospedale della Carità di Novara perché prenda cura degli indigenti e per tre volte la settimana, in perpetuo, rifocilli i poveri «di carne fresca, pane e vino», ci si apre uno squarcio di vita e ci par di vedere al vivo della documentazione la scena mille volte illustrata dagli affrescatori del tempo — siamo nel 1317 — nei pannelli con la carità di San Lorenzo o Sant'Antonio. L'indigenza fu la condizione più diffusa e quasi continua dei lunghi secoli che collegano le invasioni barbariche alla Rinascenza trecentesca. E ce ne dice tutto, sulle fasi, le cause, gli aspetti, un denso volume di Michel Mollat, professore alla Sorbona, presentato da Ovidio Capitani nell'edizione italiana di Laterza; volume con prevalenza, ovviamente, di Francia, ma sufficientemente equilibrato e comprensivo. In Oriente erano soprattutto le grandi metropoli a vedere una povertà urbana cenciosa e rissosa, in Occidente soprattutto le campagne scarse e percorse da guerre, da banditi, da crociati, da padroni esosi (sono sintomatiche le associazioni, talora sinonimiche, di pauper e agricola. il «pauvre laboureur» di La Fontalne). E non era più spesso un'indigenza dignitosa: ma la fame assoluta, la malattia devastante, l'assenza di un tetto e di una veste. Un eremita descritto da Beda rifiuta di mangiare del lardo perché non era un cibo da poveri; le casuali grandi abbuffate, sollecitate anche dall'incapacità di conservare la maggior parte dei cibi, non facevano che aggravare lo stato di salute di persone destinate a campare la maggior parte dell'anno di farinacei secchi. Nella Roma tardoimperiale pare vivessero di assistenza 120 mila persone; dai catasti di Orvieto per il 1292 si desume che i mendichi costituissero il 10 per cento della popolazione, mentre il 20 o 30 era privo di ogni bene; a Carcassonne, allinizio del Trecento, un terzo della popolazione risulta troppo indigente per poter pagare qualsiasi imposta; nello stesso periodo in Provenza più di metà dei processi era occupata da cause per debiti non pagati (la stessa impressione si ricava dalle pergamene novaresi, dove abbondano gli affittuari morosi, richiamati all'ordine dal padroni). Accanto a questi poveri stanziali, le frotte dei vagabondi, gli sbandati e gli spossessati dagli eserciti, i sopravvissuti alle carestie e ai pellegrinaggi, gli avventurieri professionali. La stessa Chiesa, il grande organismo caritativo del Medioevo, si trova a dover distinguere in fatto e in diritto, a lottare con le contraddizioni della prassi e dei precetti. La prima parte del volume del Mollat è forse la meno vivace, ma la più originale: là dove, anche attraverso le analisi semantiche dei termini e le loro evoluzioni, ci dà la sociologia del povero, ci mostra gli atteggiamenti della società nei loro confronti. Quella povertà era dunque una virtù evangelica, una maledizione, una punizione, uno stato immedicabile? Dapprima protetto dalle encicliche e amorosamente curato dai monaci, col tempo il povero diventa un ingombro colpevole, una categoria parassita da emarginare: •mendicante valido» è quasi un ossimoro, un motivo di condanna. La condivisione del suo destino da parte degli eremiti e la buona novella dell'allegria francescana sono momenti radi. Quanto più la società esce da una diffusa condizione di malessere, e i commerci, i laboratori, le cultura.agricole offrono via . via sempre maggiori fonti di sussistenza, tanto più il poverello su cui si piegavano Martino e Francesco diventa un ribelle pericoloso — dai Tuchini ai Ciompi — e infine, per gli Umanisti, un fallito, un indegno. In questa vicenda, i momenti di respiro sono pochi: qualche alleviamento annuale verso la metà del tredicesimo secolo, un po' di sollievo stagionale nelle estati. E le isole sono quasi solo l grandi episcopati prima del Mille, i monasteri dispensatori di razioni di cibo, gli ospizi col custos che riceve i cavalieri e l'elemosiniere che pensa ai pedoni, gli ospedali caritativi che curano lebbrosi, ciechi, storpi, «infuocati», quella corte dei miracoli che affolla l'agiografia medievale e il romanzo ottocentesco, quella realtà ripugnante ma non meno vera che ancora oggi si annida in tanti angoli della Terra. Non è detto che tutti i bel libri debbano essere allegri. Ricordando o documentando, secondo gli indirizzi prevalenti della storiografia attuale, le nozioni o l'immaginazione di una cosi ampia fetta della storia dimenticata, il libro di Michel Mol,lat adempie anche ad una funzione civile. Carlo Carena Michel Mollat, I poveri nel Medioevo, Laterza, 375 pagine, 28.000 lire. Un contadino in una stampa del XII sec

Persone citate: Beda, Carlo Carena Michel, Ciompi, Maria Franca, Michel Mol, Michel Mollat, Ovidio Capitani