Il terzo Satana dell'ayatollah

Il terzo Satana dell'ayatollah Dalla baldanzosa invasione irachena del Khuzistan alla riconquista iraniana di Khorramshahr Il terzo Satana dell'ayatollah Khomeini aveva giurato di rovesciare lo Scià, Carter e il presidente dell'Iraq, Saddam Hussein • Il regime baathista ora vacilla sotto una guerra che il popolo non capisce e che è costata 50 mila uomini - Baghdad aveva tutti gli atout per vincere, armi e denaro - Le sono mancati gli strateghi e l'entusiasmo popolare NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE Quando i bombardieri iracheni martellavano a ondate successive aeroporti e punti strategici Iraniani, e unità di fanteria e di mezzi blindati si riversavano nella Repubblica Islamica all'alba del 22 settembre 1980,11 presidente dell'Iraq, Saddam Hussein, era ben lungi dal pensare che venti mesi dopo le forze khomelnlste vittoriose avrebbero potuto minacciare a loro volta l'integrità territoriale della Repubblica baathlsta, forse la sua stessa esistenza. Anzi, secondo un rapporto segreto giunto al governo di Teheran, la strategia dello Stato Maggiore di Baghdad prevedeva l'occupazione del Khuzistan e l'instaurazione di un governo provvisorio ad Ahwaz, capoluogo della provincia, nel giro di due settimane. Il congiungimento, più a Nord, con 1 guerriglieri curdi di Abdel Rahman Oliasse mlu e rivolte nelle forze armate e tra la popolazione civile avrebbero dovuto dare il colpo di grazia al regime di Khomeini. Questo ottimismo derivava da valutazioni di ordine militare e politico che all'epoca circolavano negli Stati Maggiori e nelle cancellerie straniere. Innanzitutto, si diceva, gli Iracheni sarebbero stati accolti come liberatori dagli arabi del Khuzistan, e tutto sommato da un popolo stancò dell'«anarchia» rivoluzionaria, esasperato dalle difficoltà economiche, dalla disoccupazione e dalla miseria, disgustato dalla tirannia di un «vecchio» e dalla sanguinaria repressione dei mullah. Inoltre, si diceva ancora, l'esercito islamico non avrebbe tardato a sfasciarsi sotto l'effetto della prima pnda d'urto. Quell'esercito, sospetto per le sue origini imperiali, era stato decapitato, ampiamente epurato, umiliato, ed era In fase di piena riorganizzazione al momento dell'invasione irachena. Per di più, l'embargo americano lo privava di armi e di pezzi di ricambio; la maggior parte degli aerei da combattimento era ferma a terra, artiglieria e mezzi blindaci erano concentrati nel Kurdistan o alla frontiera sovietica, a migliala di chilometri! Le forze irachene in apparenza avevano dalla loro parte tutto ciò che serviva per vincere. Oltre al fattore sorpresa, c'erano un armamento sovietico moderno e abbondante, materiale supplementare che Gran Bretagna, Germania Federale, Italia e Francia, per citare solo alcuni Paesi, fornivano senza problemi, e fondi consistenti — una trentina di miliardi di dollari, oltre 35 mila miliardi di lire —provenienti dall'Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo. L'esercito di Saddam Hussein aveva dunque tutto, tranne ufficiali competenti. Gli osservatori militari oc cldentall hanno cercato inutilmente di capire perché lo Stato Maggiore di Baghdad avesse scelto di attaccare per primo il porto di Khorram shahr. sull'estuario dello Shatt el-Arab, invece della base aerea di Dezf ul, posizione strategica di primaria importanza la cui occupazione avrebbe consentito di controllare l'intero Khuzistan, Khorramshahr compresa, privando cosi il resto del Paese del rifornimenti petroliferi Perché questa scelta, tanto più che era di dominio pubblico 11 fatto che la base di Dezful era sguarnita, e quindi la conquista sarebbe stata facile? E perché lanciare due divisioni, circa 20 mila uomini, e una decina di brigate corazzate all'attacco di Abadan per poi immobilizzarle per mesi a 4 chilometri da questo grande porto petrolifero? I pochi che hanno potuto visitare 11 fronte durante le prime settimane di guerra hanno subito capito che difficilmente gli Iracheni avrebbero potuto vincere. Sia a Abadan che a Khorramshahr la maggior parte della popolazione, che fosse di origine persiana o araba, che fosse in quadrata o no dal miliziani islamici, si batteva con gran de accanimento contro 1 soldati e i carri armati iracheni, di strada in strada, di casa In casa, nella maggior parte dei casi armata di fucili da caccia odi granate. Un esercito ultraequipaggiato che avanzava lento e pesante con artiglieria e missili si scontrava cosi ad un muro invisibile, a una forza Inafferrabile e sempre in movimento. Gli iraniani avevano 11 vantaggio di battersi sul loro stesso terreno, di difendere con una patria anche le con¬ quiste della rivoluzione. Oli stranieri- che visitavano i campi militari dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione, e le basi dell'esercito regolare erano colpiti dallo spirito del combattenti. Per quasi tutti il prestigio dell' Imam. Khomeini rimaneva intatto. La «guerra santo» contro i nemici esterni e interni aveva un solo obiettivo, vincere l'.imperialismo americano' ed 1 suol alleati •reazionari» nel mondo musulmano. Gli ufficiali In un primo tempo congedati per le loro tendenze «controrivoluzionarie» e poi reintegrati, chiedevano che fossero loro affidate missioni pericolose, pur senza nascondere agli stranieri la loro antipatia per 11 regime islamico. La guerra ha fornito all'Imam Khomeini l'occasione per ripristinare la « sacra unità» grazie alla quale aveva rovesciato la monarchia, di lanciare in modo Insperato 1 pasdaran, che sono ormai la maggior forza militare del Paese, e di liquidare le fazioni «liberali* o -sinistrorse» di ogni tipo. Forse questo è stato 11 principale atout, la vera superiorità della Repubblica Islamica nei confronti del regime baathista di Baghdad. Ma la guerra del Golfo è finita? L'Ipotesi dell'-arabizzazlone» del conflitto pare poco verosimile. Negli ultimi mesi. l'Egitto ha fornito all'Iraq notevoli quantitativi di armi e pezzi di ricambio per ovviare all'embargo parziale imposto da Mosca, e recentemente ha mandato a Baghdad consiglieri militari e piloti; ma è improbabile che accetti di impegnarsi ulteriormente, anche perché 11 suo aluto non è servito a molto. Gli altri Paesi arabi sono divisi, e comunque non hanno mezzi militari adeguati. L'esercito Iracheno potrebbe continuare a resistere nelle poche località di frontiera che occupa nella zona occidentale del Paese; potrebbe restare a lungo a Qasr-e-Shirin, fortezza che comanda l'accesso di una buona strada asfaltata per Baghdad lunga circa 200 chilometri Al lume della logica, le forze Islamiche tenteranno di raccogliere subito i frutti della vittoria, e c'è la forte tentazione di puntare su Bassora, Secondo fonti attendibili, di questo si parla a Teheran negli ambienti di governo. Oltre un anno fa era stato deciso di non attraversare la frontiera perché un'Invasione dell'Iraq sarebbe stata al di sopra delle possibilità di Teheran, e soprattutto politicamente pericolosa, in quanto avrebbe suscitato un rigurgito patriottico a favore del governo di Baghdad. Si discute piuttosto sull'opportunità di occupare una località Irachena per accelerare lo sfaldamento del regime baathista. Dn regime che già vacilla: dopo le rivolte in varie citta del Kurdistan, in maggia dieci giorni fa violente manifestazioni si sono svolte a Baghdad, e 1 servizi di sicurezza, generalmente durissimi, non sono intervenuti con fermezza per disperderle. La gente non ha mal capito perché bisognasse scatenare una guerra per rimettere in questione l'accordo sulle frontiere raggiunto nel '75 e presentato allora come un accordo equo: e oggi è sempre meno propensa ad approvare 11 governo, dopo che 50 mila soldati e ufficiali Iracheni, uno su 5 militari in servizio, sono morti inutilmente sul campo di battaglia. Khomeini chiaramente punta tanto sul dilagante scontento popolare quanto sulla collera di un esercito vinto, che certo ribalterà sul «politici» la responsabilità della sconfitta. Arrivando al potere, la «guida della rivoluzione» aveva giurato di rovesciare tre «satana»: lo Scià Carter, e Saddam Hussein. Non rinuncerà facilmente alla terza preda. Eric Rouleau Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Khorramshahr. Un gruppo di soldati iracheni fatti prigionieri alla periferia della cittadina (Tel.)