Atanasio Kircher, dotto e stregone di Carlo Carena

Atanasio Kircher, dotto e stregone DUE NUOVI LIBRI RIVELANO MOLTE COSE SUL GESUITA SECENTESCO Atanasio Kircher, dotto e stregone I cultori di Atanasio Kircher costituiscono una loggia se non d'iniziati almeno di edotti e affini. Solo loro sanno molte cose sul conto del dotto gesuita e sentono un'inclinazione di gusti, se non proprio d'idee, con lui e fra loro, che li apparenta fraternamente in un mondo distante. E si deve anche dire che la schiera dei kircherìani si è un po' ingrossata negli ultimi tempi, e il Kircher ricomincia a far capolino sempre più spesso anche fuori dai messaggi esclusivi dei cultori. Non a caso egli figura saldamente nel volume di Giovanni Pozzi su La parola dipinta, in quello di Jurgis Baitrusaitis su Lo specchio, entrambi editi da poco da Adelphi; e infine ha ispirato per intero l'ancor più fresco Esotismo in Roma barocca di Valerio Rivosecchi, editore Bulzoni. Padre Kircher, del resto, offre materia a infinite curiosità. Cosmologo, teologo, filosofo, scienziato, archeologo, orientalista, inventore, per mezzo secolo spiccò nella Roma seicentesca per la sua dispersa originalità e la sua confusa dottrina. Se non lasciò orma netta nella cultura europea, è proprio per le ragioni per cui lo venerano i suoi adepti: egli vi disseminò occultamente intuizioni e apporti troppo mirabolanti. Più rimane la sua personalità, un tipo d'intellettuale caratteristico della sua età e insieme di robusta attualità. Quando Athanasius Kircher giunse a Roma nel 1634 — era nato presso Fulda trentatrè anni prima, nel 1601 — aveva già dietro di sé una vasta fama di sapiente ed esperienza di studi e d'insegnamento universitario. Il suo arrivo fu salutato come quello di un genio, creatore di orologi prodigiosi, conosci- tore di geroglifici egizi e di una dozzina d'altre lingue. Da allora fino alla morte rimarrà nel centro della Controriforma e del suo Ordine, rifornito incessantemente di altre nozioni dai suoi confratelli missionari e immerso nella stesura di una trentina di opere, che spaziano dalle pestilenze alle calamite, dall'ottica alla musica, dall'aritmetica all'agiografia, dalla sinologia alla politica e hanno titoli come (i più brevi) Ars magna scìendi, Iter extaticum coeleste, Poligraphia nova et universalis ex combinatoria arte detecta, Mundus subterraneus, Phonurgia nova sive coniugium mechanicum-phisicum artis el naturae. L'attività del Kircher si muoveva, come si vede anche solo da questi cenni, su una duplice direzione, con accoppiamenti all'apparenza contrastanti di sacro e di profano, di matematico e di misterico. Non è certo il solo caso, nel suo secolo. Ma in lui la confusione è al colmo, sorretta da un intelletto certo prodigioso e da una personalità capace di reggere l'alchimia e la chimica, di dare un senso e un contenuto alle asserzioni più stravaganti, di rendere geniale l'ipotesi più strampalata. Se i! Pozzi accenna alla combinatoria grafica e onomastica di alcune pagine del Kircher e il Baltrusaitis alle sue creazioni ottiche, il Rivosecchi nel suo studio raro in una bibliografia per nulla folta, specie in Italia, si volge soprattutto all'orientalista. E nel Kircher orientalista hanno certo modo di confluire molti altri aspetti della sua attività, che nell'Oriente mistico e fantastico, remoto nel tempo e nello spazio, allora percorso dallo slancio espansivo della Chiesa cattolica, aveva modo di trovare tutti gli agganci e le suture necessarie. Kircher fu tra i primi intellettuali europei a sentire l'insoddisfazione o la limitazione della tradizione razionale dell'Occidente, di origine greco-scolastica, di una logica e di una storia eurocentrica. Dal suo osservatorio fisso del Collegio Romano egli seguirà la formazione lontana del mondo moderno, che ne sposta e amplia gli orizzonti sempre più verso Est (come verso Ovest) e sempre più indietro nel tempo; e, convinto di una monogenesi culturale dell'umanità, coltiverà il proposito di far rientrare anche la civiltà classica nel solco di religioni e culture quali l'egizia e la persiana: con la conseguente irruzione dell'ermetismo, del simbolismo, dell'esotismo, di teorie linguistiche e religiose azzardate ma fascinose. La Sapienza egizia viene affrontata da Kircher con lo strumento del neoplatonismo greco, confondendovi Giamblico e i Padri della Chiesa, inventando una filosofia, usando la linguistica per un'utopia, ignorando tranquillamente il rigore e la verifica. Come dice il Rivosecchi, «il viaggio di Kircher nella natura e nella storia... è un viaggio fantastico, un "iter extaticum"», momento dell'immaginario e del nebuloso tipici del barocco. Significativa, in tal senso, anche la collaborazione di Kircher a quell'evento urbanistico e teatrale che fu nel 1650 la traslazione dell'obelisco del Circo Massimo in piazza Navone, ove venne utilizzato dal Bernini per la fontana dei Fiumi. Chi si riteneva profondo conoscitore dei misteri s'incontrava con \'«omo senza lettere» in quella macchina carica di simboli: dove, come spiega an¬ cora il Rivosecchi in un intero capitolo del suo volume, l'aurea colomba al vertice dell'obelisco, oggetto anch'esso già ricco di significati, irradia la rivelazione cristiana lungo gli spigoli e le pareti del sasso coperto di geroglifici e si diffonde sulla sottostante natura scolpita dal maestro facendone scaturire i traslati e le metafore: esuberanza della bellezza barocca sublimata, in alto, dalle forme geometriche e dalle combinazioni numeriche, emozione teatrale ma anche, come voleva Kircher, «un'occasione per chi vuole meditare» e riesce a trovarvi quella circolazione di analogie che lega l'antichità al cristianesimo, la materia allo spirito, la terra al cielo. Il vero potere dell'uomo è per Kircher nel possesso di questa chiave sapienziale, che permette di dominare il tempo e lo spazio sopra il ritmo incalzante delle trasformazioni a cui è soggetto il mondo sublunare, tenendo fermo l'ordine iperuranio che lo regola. ,. Il fascino delle diversità e della mutazione e l'utopia di un'unità universale erano any n che alla base di quell'altro monumento della mente infaticabile di Kircher ch'era il museo da lui adunato. Nelle sale e nei corridoi di un'ala del Collegio erano esposte meraviglie di ogni genere e provenienza, naturali o artificiali, rinvenute o rinvenibili in natura. Rettili esotici pendevano dai soffitti, scandendo le gallerie affrescate con motti e simboli. Idoli asiatici e manichini coloniali, scritture e genealogie cinesi, indiane, egizie, archeologie e minerali, ossa di giganti e insetti prigionieri dell'ambra, strumenti alchemici e tavole aritmetiche, statue parlanti e macchine simulatrici, telescopi e microscopi, lanterne e teatri magici si mescolavano in un ordine superiore, scandendo là dentro il grande libro dell'uni verso nel più sconvolgente dei paradossi. Il misticismo medievale tentava di fondersi con l'età della scienza, Pitagora guardava a Galilei, l'antologia, fondamento di ogni museo, pretendeva a enciclopedia. La successiva dispersione del museo kircheriano — ma il fascicolo d'illustrazioni annes so al volume edito da Bulzoni ce ne restituisce qualche parvenza e appaga con diverti' mento un po' di curiosità — ci ha privato di un documento che il gusto e le contaminazioni, anch'essi a volte assai dubbi, della nostra età avrebbero fatto apprezzare di nuovo, perpetuando una notorietà che certo padre Kircher non può pretendere solo dai suoi ponderosi e astrusi tomi, in latino, in folio, gravati più che rallegrati da illustrazioni e tabelle. Questi sì che richiedono una disposizione da adepti e una lucidità mentale capace di affrontare la confusione più assoluta. Carlo Carena

Luoghi citati: Adelphi, Italia, Roma