Gundula Janowitz, un canto che resta nel cuore di Giorgio Pestelli

Gundula Janowitz, un canto che resta nel cuore La grande cantante è arrivata a Torino quasi airimprowiso per un eccezionale concerto dell'Unione Musicale Gundula Janowitz, un canto che resta nel cuore TORINO — Con tempestività lulminea l'Unione Musicale è riuscita a offrire ai torinesi una Liederabend d'eccezione paracadutando al Conservatorio Gundula Janowitz. in Italia per un altro solo concerto a Venezia: un applauso lunghissimo, quasi mai sentito da noi. l'ha salutata al suo ingresso sul palco. Utopia sperare di sentirla un giorno In quelle parti di Donn'Anna, Contessa. Fiordillgl. Agathe, Leonora, Ariadne e Maresclalla che da circa un ventennio va Illustrando nei massimi teatri del mondo? Ma benvenuta intanto la serata di Lieder, musiche che ad addentratisi sembrano a un certo punto le uniche possibili e nelle quali, del resto, la Janowitz è l'artista che più di tutte si è avvicinata ad Elisabeth Schwarzkopf. Di questa ha la stessa facoltà di impregnarsi fino in fondo di quello che sta cantando, sia una canzonetta o la più sconvolgente delle confessioni. La Janowitz è una forza espressiva statica, e nella tradizionale divisione fra classici e romantici il suo posto senza dubbio starebbe con i primi; di solito voci cosi belle corrono il rischio di sapere di poco, di essere sólo belle. Non cosi la Janowitz. Con la volontà e l'Intelligenza ha potuto modellare quel cristallo in ogni direzione, anche in quella drammatica: nella sua apparente placidezza borghese diventava una leonessa contro ■il turpe Pizarro. e il suo grido «Tòt erst sein Weib!», nell'indimenticabile Fidelio diretto da Bernsteln, ci starà sempre nel cuore. Ha aperto la serata con la cantata Arianna a Nasso di Haydn, due recitativi contrapposti a due arie, uno studio di canto declamato che dice tutto sulla centralità della lingua Italiana nell'esperienza musicale europea («CoTne andiamo con l'italiano? Si eserciti con assiduità in questa che è la vera lingua dei musicisti» scriveva Goethe a Ph. Kayser). Incredibile il trapasso stilistico che da questa marmorea accademia ha portato all'intimità giocosa di «Ridente la calma» di Mozart; e anche gli altri pezzi mozartiani sembravano scelti per' testimoniare l'arte dei trapassi, a dispetto dei troppi musicisti che suonano tutto uguale: la gioia velata di Komm lleber Mai. lo sgorgo lirico della Violetta di Goethe. 11 «Watteau» di An Chloe, la solitudine iperuranica di Abendempftndung, sul tema romantlcisssimo delle «tombp precoci» onorato dalla musica tedesca fino a Mahler. CI voleva l'intervallo per riprendere (noi) un po' di fiato. E poi di nuovo su con Schubert, cominciando dai tre canti di Ellen dalla Donna del lago di Walter Scott, e poi via via mutando carattere e accento attraverso Delphine, Im Frùhling, Der Fluss, Ins Grane. Ultramirabile per noi l'esecuzione del primo canto di Ellen, per quel «riposa guerriero» mal detto uguale una volta, per quel senso di spossatezza cosmica, sullo sfondo di corni di caccia e foreste evocato a dovere dal pianista Peter Waters. E che dire del terzo canto, che è poi l'Ave Maria che tutti sanno a memoria per averla cantata, o sentita fin dai più tremuli organi di campagna, dalle gole più ritrose al canto: ed eccola 11, quella santarellina del contado che ci aveva un po' stufato/riassumere di colpo il sostrato nordico e medioevale di un cherubino d'argento. I più accorti, che sentivano nell'aria An die Musik di Schubert sono stati accontentati fuori programma; dopo gli ultimi applausi, con un cordiale «Buona notte» la signora Janowitz ha chiuso la festa. E ce ne siamo andati con le ali al piedi, trasvolando a mezzo metro da terra fuori dal Conservatorio. Giorgio Pestelli ./-Va (ìuikIuL» Janowitz

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