L'Argentina dalla parte del Negus

L'Argentina dalla parte del Negus Come reagì la comunità italiana di fronte alle sanzioni di Buenos Aires per l'aggressione contro l'Etiopia L'Argentina dalla parte del Negus Oggi la nostra bandiera sventola sul Rio de la Piata per la posizione presa da Colombo a Lussemburgo Allora ci fu una spaccatura profonda e lacerante, un pandemonio ideologico - Tra gli emigrati faceva opinione il giornale dell'ambasciata, il «Mattino d'Italia», 60 mila copie nella sola capitale - Ma la realtà è che nei forti gruppi italiani all'estero un patriottismo viscerale ha sempre il sopravvento sull'obiettività Bandiere tricolori alle finestre a Buenos Aires perché l'Italia non applica più le sanzioni all'Argentina. E' un bel caso. Quarantasette anni fa, il 7 ottobre 1935,52 Stati, membri della Società delle Nazioni, condannarono l'Italia come Paese aggressore dell'Etiopia e decisero le sanzioni economiche, che consistevano nell'embargo sulle armi e nel divieto di im]x>rtare merci italiane e di esportare in Italia prodotti utili alla guerra. Quattro giorni prima. Mussolini aveva, annunciato l'inizio delle operazioni contro l'Etiopia con il roboante discorso di piazza Venezia: • Un'ora solenne sta per scoccare nella storia della patria... Con l'Etiopia abbiamo pazientato quarantanni, ora basta Anche il presidentegenerale Galtieri ha annunciato che l'Argentina non ne poteva più dell'imperialismo britannico nelle FalklandMalvinas. I soli Paesi che si dissociarono dalla condanna dell'Italia, per la storia, furono l'Austria, l'Ungheria e l'Albania. Tra gli Stati che votarono l'applicazione delle sanzioni ci fu la Repubblica Argentina, dove circa la metà della popolazione era ed è tuttora di origine italiana. A Buenos Aires successe un pandemonio. I drammi e le tragedie dell'emigrazione non hanno storia ufficiale nel nostro Paese. Non c'è più nessuno del vecchio Palazzo Chigi in grado di ricordare quel 1935. Gli studiosi non hanno più tirato fuori quelle vecchie carte. Gli storici ricercatori si sono occupati di altre cose: sappiamo quasi tutto di che cosa pensava il .buon Negus» Hailé Selassié in quei giorni, non sappiamo assolutamente niente su che cosa pensavano milioni di italiani all'altro capo del mondo di fronte all'emozione della rivincita su Adua del 1896. Le sanzioni contro l'Italia da parte dell'Argentina nel 1935 furono un disastro morale per innumerevoli persone di origine italiana che vivevano in quel Paese. Fino ad allora non c'erano mai stati fatti traumatici cosi gravi fra le due nazioni. Gli emigranti avevano continuato ad arrivare fino all'inizio degli Anni Trenta senza seri problemi. Poi c'era stato l'arresto totale dell'emigrazione per le limitazioni imposte dal regime. Il panorama politico dell'Argentina a metà degli Anni Trenta mostrava già una forte inclinazione verso i regimi di tipo autoritario, ma non si era ancora perduta la memoria dei benefici liberali portati dalla lunga era dell' Union Civica Radicai nel decennio precedente, soprattutto con la presidenza dell'anglofilo Marcelo de Alvear, che aveva sposato una soprano italiana. In nome degli ideali democratici e per i forti legami con l'Inghilterra dell'oHpargufa dominante, la diplomazia argentina aveva votato le sanzioni contro l'Italia. La grande collettività italiana, fino a quel giorno, più che divisa tra fascisti e antifascisti si poteva definire amorfa. L'Italia in Argentina era ancora quella delle imprese aviatori» di De Pinedo, quella che dieci anni prima aveva mandato in visita al Rio de la Piata il brillante principe di Piemonte, nel 1925, lo stesso anno della visita del principe di Galles, erede al trono inglese, fra grandi feste delle due collettività. Nel 1935 finiva una guerra vicina, quella del Chaco, tra Paraguay e Bolivia, che agli italiani non interessava per nulla, e ne cominciava una lontana che interessava molto di più, quella d'Etiopia. I fascisti in Argentina erano molto forti senza molti meriti. La guerra '15-'18 aveva dato all'Italia lo status di «grande potenza», e laggiù, per la prima volta, si rendevano conto che essere italiani era quasi come essere francesi o inglesi o tedeschi. L'emigrazione antifascista in Argentina era stata poco numerosa fino a quel momento, mentre il governo fascista aveva approfittato dell'appoggio di vecchi emigranti arricchiti per conquistare posi¬ zioni. 'Ricordate che l'emigrazione è sempre filo-governativa», dirà un giorno il conte Carlo Sforza a chi gli proporrà di mandare volontari italiani dal Sud America a sbarcare con gli Alleati in Europa. L'opinione pubblica degli emigranti era guidata dal Mattino d'Italia, un quotidiano che nel 1935-36 arrivò a vendere a Buenos Aires 60 mila copie, una diffusione enorme per un giornale straniero, in un Paese dove 1 giornali locali erano fatti molto bene ed erano pieni di notizie dall'estero, con grande attenzione alle varie comunità II Mattino era il giornale dell'ambasciata e dei fascisti. Aveva soppiantato il grande quotidiano democratico-liberale La Patria degli Italiani, con un'operazione politico-finanziaria non dissimile da quella che aveva estromesso Albertlni dal Corriere della Sera. A fare 11 Mattino erano stati mandati dall'Italia giornalisti di buone qualità professionali e legati al regime, che parlavano e scrivevano in modo ben differente dai vecchi cronisti coloniali dall'incerta sintassi per metà cocoliche (cioè gergale degli italianismi del Piata), come Nino d'Aroma, Sandro Volta, Lamberti Sorrentino. Le corrispondenze erano quelle dei migliori scrittori e inviati che apparivano sui giornali del regime in Italia. L'opposizione fino al 1935 era rappresentata dal giornale L'Italia del Popolo, un poverissimo foglio in cui confluivano soprattutto le vecchie tendenze anarco-sindacallste, fortissime nel proletariato straniero, quelle comuniste e socialiste e tutte le mescolanze dell'antica emigrazione con opinioni risorgimentali. Su L'Italia del Popolo c'era qualche sospetto di compromissioni economiche con l'ambasciata, ma il suo linguaggio fino a quel momento era stato fierissimamente antifascista. La riconquista di Adua poco dopo l'inizio delle ostilità con l'Etiopia, e contemporaneamente la condanna dell'Italia da parte dell'.Argentina sanzionista., furono le bombe che fecero saltare in aria questo panorama. Non è possibile rendersi conto di quante crisi di coscienza esplosero in quel momento. Un'Idea può darla l'attuale atteggiamento del guerriglieri Montoneros che si trovano d'accordo con la Junta argentina. Il caso più clamoroso fu quello di un già anziano patriarca dell'emigrazione anarchica e antifascista che dirigeva L'Italia del Popolo, firmandosi Folco Testena. In realtà 11 suo cognome era Braccialarghe. Era uno che aveva avuto dimestichezza con i famosi personaggi dell'anarchia in esilio, come Severino Di Giovanni, il «bombardiere», chiamato dai giornali anche «eZ idealista de la violencia». Di Giovanni era stato catturato e fucilato nel 1931 per sanguinarie rapine commesse con lo scopo di finanziare la stampa delle opere del geografo umanitarista Eliseo Reclus. Testena aveva temerariamente sfidato mille volte la censura argentina su fatti locali, ma in questa occasione si schierò cosi sprezzante contro le sanzioni, che fu cacciato dal Paese per «desacato», qualcosa come oltraggio all'onore nazionale. Viveva ormai da anni in Argentina ed era conosciutisslmo, gli intellettuali si schierarono a loro volta a favore di Folco Testena. Famoso per la sua barba e il suo spirito bizzarro, aveva tentato anche una traduzione in italiano dell'Intraducibile poema nazionale gaucho, il Martin Fierro, suscitando qualche perplessità degli stessi italianisti argentini. Un suo verso, * Pizzicando la mandòla*, è rimasto famoso come esemplo di traduttore-traditore. Ma non ci fu nulla da fare, Testena dovette andarsene. Fini come •antifascistapentito» a parlare in spagnolo dalla radio a onde corte a Roma, ma dopo la guerra tornò in Argentina per morirci, molto rispettato da tutti. Altri antifascisti, per la questione delle sanzioni argentine all'Italia, non furono da meno di Testena. Ci furono risse, schiaffi, anche duelli, dei quali più tardi alcuni si vergognavano. Il tempo passava in fretta, poco dopo la conquista dell'Etiopia ci fu la Spagna e un certo numero di antifascisti andarono a combattere nelle Brigate internazionali, alcuni erano gli stessi che avevano esultato per Adua. Arrivarono a Buenos Aires in esilio molti repubblicani spagnoli e la piccola colonia dei democratici italiani ne trasse vigore, cosi come si arricchì intellettualmente per la forzata emigrazione degli israeliti italiani perseguitati dalle leggi razziali. Ma la grande spaccatura dalle sanzioni in poi rimase, per la prima volta gli italiani si erano resi conto di vivere in un Paese straniero. Adesso tutto si è ricomposto. La collettività italiana ha protestato i>er le sanzioni europee all'Argentina e ha festeggiato la dissociazione dell'Italia con i tricolori alle finestre. Comunque finirà questa storia, i rapporti locali fra argentini criollos e tanos di origine italiana meriterebbero di essere seguiti con attenzione, perché dal Rio de la Piata alle Ande e'è un laboratorio di popolazioni che non ha uguali al mondo, se c'è un qualche interesse a sapere che cosa accade alle mescolanze di frange migratorie. Il problema rimane quello di spiegare agli italiani di Argentina che Galtieri ha avuto torto ad usare la forza per le Malvlne. cosi come nel 1935 era impossibile convincerli che l'Argentina era dalla parte del giusti applicando le sanzioni all'Italia che usava la violenza contro l'Etiopia. Ma come sarà mal possibile se non conosciamo la loro storia, se non sappiamo nulla delle loro emozioni, cominciate all' Hotel de Inmigrantes del Puerto Nuevo (la State Island del Piata) e continuate nei conventillos, le case di coabitazione in cui hanno cominciato a conoscere la nuova patria? . ., Franco Pierini