L'invincibile armata di Mitterrand di Mario Pirani

L'invincibile armata di Mitterrand INCHIESTA SULL'ECONOMIA FRANCESE A UN ANNO DALLA SVOLTA L'invincibile armata di Mitterrand Sono le imprese nazionalizzate dal governo in un'ottica di statalismo giacobino e in un grande disegno di sviluppo - A . Parigi il patriottismo protezionista di sinistra contagia il padronato - Ma l'ex presidente degli industriali pronostica il soffocamento delle piccole e medie imprese private - E il governatore della Banca di Francia teme per la sorte del franco DAL N08TR0 INVIATO SPECIALE PARIGI — «La Francia ha saputo innalzare i concetti di Destra e di Sinistra alla dignità di categorie metafisiche. Sono due termini che la nostra società laica non riuscirà mal a' secolarizzare»: cosi scrive Alain Finkielkraut nel suo recente libro L'avenlr d'une négatlon. E basta ascoltare le roventi accuse che vengono scambiate dopo un anno di regno mitterrandiano tra i palassi del governo e quelli dell'opposizione per rendersi conto di come lungo la Senna il manicheismo costituisca il metro paradossale di giudizio persino sui numeri. Il 14% d'inflazione aveva la Francia di Giscard e così all'incirca quella di Mitterrand; poco sotto i due milioni erano i disoccupati allora e poco sotto i due milioni sono tutt'oggi. Eppure Destra e Sinistra si rimandano queste cifre come sanguinosi insulti. Ma basta osservare con un minimo di obiettività per rendersi conto che il bilancio economico di questo primo anno è frutto di contrastanti tendenze, di passate eredità e dì recenti illusioni. Certo di breve durata si è rivelata l'ipotesi che bastasse' ridare fiato alla domanda, attraverso la vecchia ricetta keyneslana del deficit di bilancio, attraverso l'aumento dei salari e delle pensioni, la diminuzione dell'orario di lavoro, la quinta settimana di ferie pagate, per suscitare' un'inversione di tendenza capace di rilanciare gli investimenti e di permettere alla Francia di andare impunemente controcorrente in una situazione dell'economia mondiale dominata dalla recessione. Gli effetti propulsivi sono stati minimi ed a profittarne sono stati gli industriali tedeschi che hanno trovato spazio per le loro esportazioni nella domanda drogata francese. Le preoccupazioni comin■Aano ora a farsi sentire. Qualche giorno fa il signor Renaud de La Genière, governatore della Banca di' Francia, ha preso carta e penna e scritto a Mitterrand una lettera che suona come un'allarmata messa in guardia: «Il divario congiunturale tra la Francia e 1 suoi principali partners, afferma il governatore, rafforza la necessità, per preservare la cresci- ta, di ristabilire gli equilibri. Nessuno alla lunga può consumare più di quanto produce». Dietro questa lettera vi è la prospettiva di un franco che sta per subire la seconda svalutazione in sei mesi, mentre gli investimenti non riprendono. Negli ambienti governativi, però, si respingono gli allarmismi eccessivi e si invita a guardare a più lungo termine. E' a questo punto che entra in gioco la nuova teoria sulle imprese nazionalizzate. Queste sono viste come una «invincibile annoda* al servizio dello Stato nella lotta alla disoccupazione e per lo sviluppo dell'industria francese. « Je suis chef de guerre», proclama il primo ministro Mauroy. Riemerge la vecchia visione giacobina, rinverdita alla luce di una sognata grandeur industriale, guidata dall'alto, attraverso i nove gruppi, le migliaia di filiali, la rete del credito di cui lo Stato si è impadronito con la vittoria socialista: trasformazione tecnologica, elettronica d'avvenire, vecchie barbe teoriche del socialismo gallico e l'empito della Marsigliese si amalgamano in una specie di «nuovo corso» imprenditoriale statalista e centralizeato. «Nel primi mesi di governo, mi dice Jean Daniel, direttore di Nouvel Observateur, il più importante settimanale filomitterrandiano di Francia, si varò la legge sulle nazionalizzazioni senza nessuna giustificazione, tranne quella che erano state annunciate sia nel programma comune col pcf sia nel programma elettorale socialista. Poi, quando1 la realtà economica dimostrò che un ceto manageriale e l'impegno imprenditoriale restavano Indispensabili, si Inventò una dottrina delle nazionalizzazioni: le facciamo non perché slamo socialisti ma per Impedire che la Francia sia preda delle multinazionali, per dare un avvenire all'Industria del nostro Paese attraverso grandi progetti che hanno bisogno di ampio credito (e di qui anche la giustificazione per la nazionalizzazione delle banche). Per questo sono stati nominati alla testa delle imprese pubbliche del grands commis tecnocratici e non degli uomini politici. Secondo me, prosegue Jean Daniel, è un passo avanti, un progresso anche psicologico di trapasso dalla vecchia Ideologia socialista alla realtà socialdemocratica». All'Eliseo un discorso analogo me lo farà Francois Xavier Stasse, consigliere eco--, nomico di Mitterrand. Vn grande manifesto dominato da una locomotiva in arrivo con la scritta «Stato-Esattezza» campeggia nel suo studio. Mitterrand, secondo la ver¬ sione di Stasse, non è affatto un dottrinario (per Aron, invece «è uno che ci crede»), ha molti amici intimi nel mondo imprenditoriale ed è a conoscenza della situazione delle fabbriche. L'asse della sua politica, al di là dell'attuazione di alcune rivendicazioni classiche della sinistra, resta la modernizzazione del tessuto industriale della Francia alla quale saranno destinati grossi finanziamenti. O si sale sul treno della terza rivoluzione industriale osi è battuti. Del resto non solo l'industria pubblica verrà sostenuta. Gattaz, il nuovo presidente della Confindustria francese, è venuto molte volte a vedere Mitterrand e ha ottenuto un forte alleggerimento fiscale a favore degli investimenti. Ma il patriottismo industriale di sinistra ha avuto anche altre ripercussioni: la Confindustria, sull'esempio del vignaioli del Sud, ha lanciato un'«Operazione solidarietà» per convincere gli imprenditori ad acquistare In Francia e non all'estero prodotti e forniture, anche a costo di «pagarli il 10% in più», come è.scritto in un opuscolo del Conseil National du Patronati che invoca «une mobilitatlon generale pour l'action» nell'interesse sacro della Nazióne e dell'Impresa. Gli \ effetti si sono già avuti: dall'impegno del commercianti di scarpe di dimezzare i loro acquisti all'estero a quello dei grandi magazzini di seguire l'esemplo per un numero impreclsato di prodotti e così via... L'ex presidente degli industriali francesi, Francois Cheyrac, uno del personaggi più forti e autorevoli deM'ancien regime e che ha lasciato ora la mano al più malleabile Gattaz, mi confessa sconso-' lato: «Questo governo, visto che le cose non andavano, si è messo a fare più regali al padronato di quanti non ne facesse Barre, ma è una politica di facilità e di demagogia che aggrava i difetti degli Industriali. Se non si diminuisce 11 divario tra 11 tasso d'inflazione nostro e quello tedesco non ce la faremo mai a competere. A meno che non ci si chiuda nelle nostre frontiere in un protezionismo catastrofico che staccherà ancor più le imprese francesi dal resto del mondo industriale». Sull'ambizioso progetto delle imprese nazionalizzate Cheyrac traccia una diagnosi spietata: «Fino a ieri le nazionalizzazioni erano solo figlie dell'ideologia. L'idea, tutta recente, che diventassero la forza trainante di una neoindustrializzazione nasce da unavislone del partito comunista, ripresa dal socialisti ed elevata a dottrina dal ministro Dreyf us (l'ex grand patron della Renault), che cosi giustifica la sua presenza alla testa di un pletorico ministero dell'Industria. Un gran tecnocrate, circondato da un esercito di tecnocrati può cosi offrire una prospet-' Uva prestigiosa al popolo francese: tecnologia, occupazione, espansione internazionale. Ma dove prendere i soldi? Oggi quasi tutti i bilanci delle nazionalizzate — anche se alcuni vengono appositamente esagerati — sono in perdita. Si parla di un ripianamento di 10-12 miliar- di di franchi (2-2S0Ò miliardi di lire), mentre gli indennizzi agli azionisti si aggirano sui 45 miliardi di franchi (circa 9000 miliardi di lire). «Senza il peso delle nazionalizzazioni, prosegue Cheyrac, si poteva tentare un'azione di recupero industriale assai meno costosa. Ma ora, quando giocherà la regola dei costi e dei ricavi, come si misurerà la competitività internazionale di queste Imprese? E* intuibile che per alimentare questa costosa e prestigiosa armata industriale a servizio dello Stato si utilizzeranno le banche nazionalizzate. Queste saranno costrette ad operazioni rischiose, ma poi. quando' anche il sistema bancario' sarà compromesso, a chi si rivolgerà lo Stato? Alle società di assicurazioni, nuova vacca da mungere all'orizzonte? Tutto il tessuto delle piccole e medie industrie, nel frattempo, seguiterà a subire l'impatto negativo di questa pesante espansione della sfera pubblica. Il deficit statale, crescerà ancora, malgrado gli ordini di Mitterrand e si seguiterà a stampare carta moneta alimentando l'inflazione. Mitterrand vuole entrare nella storia come U facitore d'un socialismo alla francese. Ma la Francia non può andare controcorrente nella lotta all'inflazione. Già oggi tra franco e marco non c'è più comunità d'Interessi e, come purtroppo vedremo presto, rischiano di non poter più stare nello stesso letto». Mario Pirani .