Marcia verso l'Eden di Lorenzo Mondo

Marcia verso l'Eden IL ROMANZO DI PRIMO LEVI Marcia verso l'Eden In un saggio memorabile sullo scrittore russo Leskov, Walter Benjamin si sofferma sulle caratteristiche del vero narratore epico, capace di integrare nella sua opera l'esperienza del viaggiatore e quella del sedentario, di farsi «uomo di consiglio», maestro di saggezza, portando notizie di lontano e tramandando le storie più profonde della propria terra. Benjamin, tratteggiando il suo archetipo, si riferisce alle figure del commerciante e del contadino, remoti attori di una tradizione orale che presuppone un'area di ascolto, un pubblico partecipe sempre più difficile da. rintracciare nella civiltà urbana. Non soltanto per la frantumazione sociale, ma anche per la quantità di notizie diffuse in età moderna dai media, cosi fitte e controllate (almeno nelle intenzioni) da non lasciare spazio a storie che, proprio per essere meravigliose, scampate miracolosamente alla dimenticanza, assumono un significato esemplare. Queste riflessioni vengono in mente leggendo il libro di Primo Levi Se non ora, quando? (ed. Einaudi). Lo apriamo con l'apprensione che si prova davanti a pagine che sembrerebbero appartenere a un genere trapassato (il romanzo storico?), ma siamo subito ■ catturati dalla loro vitalità e freschezza, da una tranquilla sapienza connaturata al fatto stesso di esistere. Accanto alla malizia della storia infatti, c'è anche quella della letteratura, che sa eludere le più acute teorizzazioni, specie se viziate da concetti evoluzionistici, siano essi di segno positivo o negativo. Anche Primo Levi ha viaggiato, racconta quello che ha visto (gli antecedenti di questo romanzo si trovano nella Tregua, le peregrinazioni nell'Europa centrale dopo lo smantellamento del campo di Auschwitz) e quello che ha sentito raccontare. Ma, in coerenza con la diaspora della sua gente, nella lontananza Levi ha trovato — oltre a cose non udite ancora — la forza di una tradizione, l'erratico ma inestinguibile terreno della cultura ebraica. Il portavoce del narratore è. Mendel, l'ex orologiaio e l'ex artigliere che, rimasto isolato dall'Armata Rossa nel luglio del 1943, continua la sua guerra contro i tedeschi attraverso tutta l'Europa, dalla Russia Bianca alla periferia di Dresda distrutta dai bombardamenti, alla Milano della liberazione. Ripercorrendo per via di terra, in un paesaggio bellissimo di pianure, foreste, paludi e neve, tanta neve, le rotte mediterranee di Ulisse e di Enea verso Occidente; ripetendo, in modo anomalo (ben al di là dei riferimenti topografici), lo schema del romanzo del ritorno. Lunghe e prostranti sono le avventure di Mendel, disseminate di prove, di orrori, di gioie avare, in compagnia di combattenti occasionali — fuggiaschi, disertori, sbandati — che diventano a poco a poco formazione cosciente, embrione di una nuova comunità civile. Sono rutti ebrei, sfuggiti ai pogrom, ai lager, all'ombra dei gulag e decisi a non più ritornarvi, a conquistare con le armi in pugno una dignità perduta, a vendicare la remissività sacrificale dei milioni di fratelli ridotti in cenere (il tirolo Se non ora, quando?, derivato dal Talmud, allude alla improrogabilità di questa pre sa. di coscienza). Persone e personaggi segnati da una intensa figuratività: Gedalc il capobanda, scattante e sensitivo come l'archetto del suo violino; Line, la ragazza guerriera che ha il viso scavato da seduzioni antiche; Leonid, trafitto nella memoria da mille cicatrici; Dov con la sua nostalgia della sterminata, incorrotta Siberia; Mendel il «consolatorc», che accetta il patto di sangue con coscienza lacerata, non dimenticando mai che «noi abbiamo una leggt, che dice' "Non uccidere"». («Che la guerra finisca, Signore a cui non credo. Se ci sei, fa finire la guerra. Presto e dappertutto. Hitler è già vinto, questi morti non servono più a nessuno»). Perché questi partigiani straccioni, credenti o atei, ortodossi o eretici, portano avanzando il peso della loro storia, quasi avvi tandosi in una materia millenaria che si esprime nel genio surreale dello yiddish, nelle citazioni proverbiali e sapienziali, nello stampo mitico a cui si riconducono i loro nomi o gesti. Nella sua lingua chiara e mossa, di calda e forte stagionatura, Primo Levi ci trascina in mirabili vicende di guerra, episodi conclusi e proliferanti dì un poema ciclico: gli agguati ai nazisti cacciatori di uomini, i sabotaggi, la difesa dei rifugi catacombali, l'assalto a un lager, la pratica inesorabile del taglione, insinuando il ricordo acutissimo dei racconti- partigiani di Beppe Fenoglio (ma quegli altri eroi erano impastati di Langa e portati all'avventura solitaria, immersi in un'aria di alto rovello linguistico e di agone metafìsico). Fedeli al loro particolare destino, sono pronti a misurarsi idealmente e fraternamente con tutte le vittime che incontrano sulla loro strada. Tra le pagine alte del romanzo porrei quelle sul combattimento disperato insieme ai partigiani polacchi sui monti della Santa Croce, sulle reciproche spiegazioni tra ebrei e patrioti polacchi intorno alle inimicizie e ai torti secolari, sul compianto di Mendel per coloro che, non ancora liberi dai tedeschi, si preparano a scontrarsi con gli infidi alleati sovietici: «Perché ognuno è l'ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gii ebrei dei tedeschi e dei russi». Mentre Primo Levi scriveva e rifiniva il suo romanzo, Var¬ savia c Danzica pativano l'ultima repressione e il capitolo «polacco» ne conserva l'eco accorata. Cosi questa storia che racconta se stessa (come vuole esplicitamente l'autore, pag.. 64) sembra crescere nel tempo, arricchita da una specie di memoria aggiunta. La Polonia, si, ma anche le utopistiche aspirazioni dei partigiani ebrei che vedono nell'Italia una passerella verso la Palestina, dove sia possibile vivere in pace piantando alberi, inseguendo il ricordo dell'Eden, la sola foresta che ricorre nelle pagine del Libro. Ed è sintomatico che il romanzo si chiuda quando nasce, dal seno della banda ormai smilitarizzata, un bambino: è il 7 agosto 1945 e i giornali annunciano, tra increduli e distratti, che a Hiroshima è scoppiata la prima bomba atomica. Ma la frustrazione, il possibile sconforto non erano già prcannunciati, al di là di ogni lettcralismo, da un viaggio che, teso fino allo spasimo verso l'Occidente, deve subito ricominciare per concludersi in circolo, un'altra volta, verso l'Oriente? Neppure la pietà e il «consiglio» di Mendel, le sue arti di provetto orologiaio possono aiutarlo a regolare i tempi impazziti della storia. Lorenzo Mondo