Gli sceicchi e i servi padroni

Gli sceicchi e i servi padroni Le masse di operai stranieri nei Paesi del Golfo, una minaccia che si aggiunge alla recessione mondiale Gli sceicchi e i servi padroni La generazione di cammellieri e pescatori arricchiti lascia il posto a tecnocrati ed efficienti uomini d'affari - Sulla ricerca di un'economia alternativa al petrolio pesa un'incognita, gli immigrati - Addetti ai lavori meno «nobili», costituiscono la maggioranza della popolazione (fra 1*85 e il 60 per cento) in Kuwait, Qatar ed Emirati - «Una mela bacata che prima o poi marcirà» NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE ABU DHABI — .Quanfè il mio bottino?», chiede lo sceicco al banchiere inglese. Sulla riva del Golfo, chiamata un tempo Costa dei Pirati, nel dialetto beduino la parola ghazawat indica ancora indifferentemente i trofei di guerra e il denaro. «ZI mio principale desidera sapere il saldo a credito del suo conto-, traduce il procuratore libanese. «Poco più di 3 miliardi di sterline», risponde pronto il gentleman della City. Lo sceicco riflette a lungo. 'Mi ricordi — sussurra poi all'orecchio del suo uomo — quanto corrisponde a un miliardo». La generazione di cammellieri e di pescatori che nel giro di una ventina d'anni è stata proiettata nell'era del petrolio non si è ancora estinta, ma il comportamento di questo sceicco è un'eccezione. I suoi pari si sono adeguati chi più chi meno alla nuova vita di miliardari. Attenti ascoltatori delle radio, grandi viaggiatori hanno capito la complessità del mercato pertrolifero e dei suoi rapporti con il sistema monetario, l'accavallarsi degli interessi economici e politici, anche se affidano la gestione del loro patrimonio a uomini di fiducia esperti del mondo degli affari. I loro figli, i loro fratelli minori, i giovani rampolli delle famiglie e delle tribù locali formano gradualmente l'elite dirigente. Educati per la maggior parte nelle più prestigiose università d'America e d'Europa, poliglotti, sono ministri, alti funzionari dello Stato, banchieri, tecnocrati, uomini d'affari. Per loro la tecnologia più avanzata non ha segreti; grazie alla telematica sono sempre e tempestivamente al corrente attraverso il video sulla loro scrivania del corso dell'oro a Johannesburg, del rame del Katanga, delle quotazioni di Borsa a Tokyo e a New York, dell'ultimo sondaggio demoscopico sulla popolarità dei leader francesi, come dei risultati delle elezioni in Salvador. Telefoni senza fili sulle auto o posati sulla sabbia in pieno deserto, dove amano far camping durante il weekend, 11 tengono in contatto via satellite con le grandi metropoli del mondo intero. Tutto sommato, sono molto più informati dei loro omologhi occidentali, e hanno buoni motivi per esserlo: le loro transazioni planetarie dipendono in modo determinante dalla congiuntura economica e politica internazionale. I singoli come i governi hanno praticamente esaurito le possibilità di Investimenti redditizi nel loro Paesi, troppo poco popolati per rappresentare mercati al livello della liquidità disponibile. Meno di sei milioni di autoctoni in sei Stati del Golfo (Arabia Saudita, Bahreln, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) dispongono ogni anno di oltre 200 miliardi di dollari. 260 mila miliardi di lire, stando a un recente studio della Lega Araba. Anche includendo nel computo 1 lavoratori immigrati, il reddito prò capite della regione è 11 più alto del mondo; in testa sono 11 Kuwait e gli Emirati, con una media superiore ai 25 mila dollari. 32 milioni di lire l'anno. Mal nella storia dell'umanità una collettività cosi ristretta ha speso tanto denaro in un lasso di tempo cosi breve. Certo 1 campi petroliferi e le riserve di gas sono stati ampliati, sono state costruite Industrie petrolchimiche più o meno redditizie, sono sorte notevoli infrastrutture, fra le migliori del mondo, in paesaggi lunari. Ma a quale prez- zo, e con quale spreco. Mosaico a tessere staccate inventato dal potere coloniale inglese per regnare meglio, i paesonl del Golfo promossi al rango di Stati si sono lanciati a spron battuto nell'avventura dello sviluppo», senza pianificazione né concertazione. Decine di miliardi di dollari sono stati così inghiottiti nella realizzazione di progetti in parte indispensabili. In parte non redditizi o inutili. Due industrie dell'alluminio che smaltiscono la produzione in perdita e due cale secche considerate le più grandi del mondo, una delle quali non funziona più da anni per mancanza di clientela, si fanno concorrenza fra Bahreln e Dubai, meno di 350 mila abitanti ciascuno. Gli Emirati Arabi Uniti, in totale un milione 200 mila abitanti, hanno cinque aeroporti e sette porti di dimensioni e di un lusso da mozzare il flato; quattro eserciti, uno dei quali cosiddetto federale, che si aimano all'estero con enormi spese; e tre emittenti radiofoniche, due televisive, con i relativi impianti sofisticati, direzioni e programmi diversi; per non parlare delle 369 banche e succursali, oasi di prosperità racchiuse nelle orgogliose facciate in vetro e acciaio. Gli Stati del Golfo si sono associati per creare un'agen zia di stampa e una linea aerea comuni, simbolo dell' « u ritta», ma tutti hanno mantenuto le rispettive agenzie e linee nazionali, che naturalmente si fanno una concorrenza dissennata quanto rovinosa Quattro di questi Paesi — Arabia Saudita, Kuwait. Qatar ed Emirati — si fanno entusiastica concorrenza anche nel concedere doni e prestiti al Paesi poveri del Terzo Mondo, spesso agli stessi. Non è facile sperperare un «bottino» cosi favoloso, anche se facilmente conquistato. La pioggia di petrodollari, trasformatasi in un fiume dopo che il prezzo del greggio è stato quadruplicato, tra il "73 e il '74, ha quasi saturato i Paesi beneficiari. Malgrado le spese e le prodigalità, gli Investimenti produttivi e 1 crediti destinati al benessere della popolazione, 1 quattro Paesi più ricchi della Penisola arabica (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait e Qatar) hanno ammucchiato all'estero un gruzzolo valutato a circa 300 miliardi di dollari, 400 mila miliardi di lire, oltre la metà del quali (a Cesare quello che è di Cesare) spettano al governo di Riad. Una benedizione o una maledizione del cielo? Le riserve internazionali promettono un futuro fatto di rendite anche se il petrolio dovesse svalutarsi ulteriormente o esaurirsi, ma sono anche fonte di gravi preoccupazioni, vista la vulnerabilità del sistema monetario e l'Instabilità politica ed economica di un mondo in stato di crisi latente. Comunque, è finita l'epoca delle vacche grasse. La recessione in Occidente, con la brusca caduta dell'estrazione del petrolio nel Paesi dell'Opec (da 31 milioni di barili al giorno nel 1979 a meno di 16 milioni dal 1° aprile di quest'anno), è stata una mazzata per i Paesi del Golfo, vittime di un'economia basata sulla monoproduzione. Quest'anno 1 redditi dell'Arabia Saudita e degli Emirati permetteranno di pareggiare le spese. Kuwait, Qatar e Bahreln hanno intenzione di rinviare o scaglionare nel tempo la realizzazione di alcuni grandi progetti per equilibrare 11 bilancio. Se la depressione del mercato petrolifero continuerà insieme con l'Inflazione del costo del prodotti importati, entro due o tre anni tutti questi Paesi saranno costretti ad attingere alle riserve internazionali, a meno che non facciano cospicui tagli agli Investimenti. « Qualche anno di recessione sarebbe per noi un'esperienza salutare», dice 11 dinamico ministro delle Finanze e della Pianificazione del Kuwait, Abel Latlf el-Hamad. E spiega: ' -Abbiamo raggiunto la maturità crescendo troppo, in fretta, ora abbiamo bisognò di una lunga pausa per assimilare le nostre esperienze, adattarci alla vita adulta e porre le basi per il futuro». Il Qatar segue già una politica improntata a prudenza, sacrificando 11 superfluo all'indi spensabile. Gli Emirati sono In una situazione più delicata, vista l'eccessiva autonomia della quale godono i Paesi membri dell'Unione. Il ministro federale della Pianificazione, Sald Ohobbash, uno del giovani e brillanti tecnocrati del Golfo, esprime più un auspicio che una decisione dichiarando «Lo superproduzione petrolifera e gli eccessivi profitti ci hanno come anestetizzati. E arrivato il momento di costruire un'economia degna di questo nome, di pianificarla rigidamente, dì diversificarla e soprattutto di liberarla: dalla dipendenza dagli immigrati». La scarsità di manodopera, cosa considerata ben più grave e pericolosa della disoccupazione in Occidente, è un ritornello da un capo all'altro del Golfo e se ne parla con imbarazzo o con angoscia, come se fosse una malattia vergognosa e Incurabile. I censimenti, se vengono fatti, sono considerati segreto di Stato; ma le indicazioni sulla portata del male sono queste : circa la metà della popolazione dei sei Stati del Golfo considerati come un tutto unico è costituita da lavoratori immigrati. In tre di questi Paesi i cittadini sono in netta minoranza: 35-40% in Kuwait, 25-30% nel Qatar, 15-20% negli Emirati. La proporzione di stranieri nella popolazione attiva è ancor maggiore dell'Importanza numerica: 70-90%. a seconda del Paese. Questo squilibrio è Imputabile soprattutto al fatto che gli autoctoni tengono per sé 1 lavori «nobili», le carriere di funzionario e 1 commerci, lasciando le attività manuali e produttive agli Immigrati. Una situazione per lo meno inconsueta, che presenta anche vantaggi per 1 governi. I lavoratori immigrati, felici di essere sfuggiti alla disoccupazione e alla miseria del loro Paesi d'origine, «non fanno politica». La maggior parte (Indiani, pakistani, coreani, filippini, thailandesi) non parla neppure l'arabo. Con gente cosi la pace sociale è garantita: per paura di essere espulsi, gli stranieri evitano rivendicazioni e agitazioni sindacali. Ma molti Intellettuali illuminati sono tutt'altro che tranquilli. «La mela è bacata —osserva un professore di sociologia dell'università di Kuwait — e prima o poi ci accorgeremo che è marcia. Siamo una minoranza nel nostro stesso Paese, godiamo di una ricchezza della quale non siamo stati artefici e dobbiamo aspettarci che la maggioranza straniera contesti un giorno o l'altro il nostro monopolio della cittadinanza, con tutti i privilegi che questa comporta, cioè il diritto di governare». Ovviamente, le forze di sicurezza vegliano al mantenimento dell'ordine, ma sono abbastanza motivate per essere affidabili? Nella maggior parte dei Paesi del Golfo gli eserciti sono formati dal vertice alla base, soprattutto da mercenari stranieri: inglesi, giordani, egiziani, americani tra gli ufficiali; omaniti, yemeniti, sudanesi, marocchini, beluchi, indiani, pakistani fra la truppa. L'esercito degli Emirati è formato da gente di almeno 23 nazionalità. Alcuni considerano questa diversità una polizza d'assicurazione, altri una bomba a scoppio ritardato. Lo squilibrio demografico rappresenta a termine il maggior pericolo per la stabilità politica del nostro Paese», afferma 11 ministro della Pianificazione degli Emirati. Come molti giovani tecnocrati, Sald Ohobbash ritiene che per ridurre la percentuale di immigrati occorre frenare ulteriormente la produzione petrolifera e gli Investimenti, anche a rischio di scontentare i privilegiati che traggono profitto dallo 'Sviluppo accelerato» e la popolazione agiata, colpita da frenesia consumistica. Di fronte a questo dilemma, il Consiglio della cooperazione del Golfo, formato la scorsa primavera dal sei Paesi della regione, ha scelto, sembra, lo status quo; comunque non ha adottato alcun provvedimento significativo, contrariamente a quanto intendeva fare, né per risolvere il 'Problema demografico» né per armonizzare le economie del Paesi in questione. Alcuni membri, Arabia Saudita in testa, invece di fare del Consiglio una Cee araba cercano di trasformarlo in una specie di «Santa Alleanza degli sceicchi» contro 1 «pericoli esterni» che minacciano, a loro avviso, larea EricRouleau Copyright «Le Monde* e per l'Italia «Li Stampa» ZONA X. NEUTRA ARABIA SAUDITA 0 MAZALIJ Riad Ijjjjjjj] Campi petroliferi 300 EMIRATI \ VARABI UNITI { '«.a* >

Persone citate: Abel Latlf, Zona