Schepisi stella del cinema in Usa con Barbarossa melodramma-western di Furio Colombo
Schepisi stella del cinema in Usa con Barbarossa melodramma-western Il regista, di origine italiana, è considerato un grande talento Schepisi stella del cinema in Usa con Barbarossa melodramma-western NEW YORK — Dopo «Gallipoli» il cinema australiano è al centro dell'attenzione. Lo seguono i critici, ne parlano i giornali e continua a crescere l'interesse del pubblico. L'espressione più usata è «rinascimento del cinema australiano» ma dal punto di vista dell'informazione comune è più giusto celebrare la nascita. Se c'era un cinema australiano in passato raramente giungeva fino agli Stati Uniti o all'Europa, ancora più raramente lasciava il segno. Ma negli ultimi tempi giunge dal l'Australia e dal suo nuovo cinema una notizia in più e questa notizia è stata subito raccolta in America, prima dai giornali dello spettacolo e poi da tutta la stampa. Come l'America, l'Australia sta tro vando il suo migliore talento cinematografico negli italiani della seconda generazione. Fred Schepisi, figlio di emi granti padani, è indicato dai critici in questo momento co me la promessa più solida. «Se continuerà a fare film — scrive Gary Arnold sul Washington Post — da lui c'è da aspettarsi il capolavoro-. Schepisi ha cominciato nel 1975 con un piccolo e delicato film autobiografico, «The devii play ground» (Il campo da gioco del diavolo) sulla sua infanzia di bambino cattolico in un Paese protestante. Il film è arrivato in America cinque anni dopo e solo per gli amatori di cineclub. Il suo secondo lavoro, «Il canto di Jimmy Blacksmith», film sulla «fron tìera» australiana al principio del secolo, è stato distribuito in America nel 1981 e ha cominciato a meritare attenzione. C'era la tipica impronta dei registi di origine italiana, che Vincent Canby chiama «lo splendore cinematografico». E c'era, come in Francis Coppola, la ricerca di un passato che viene costruito con il respiro della grande avventura, visto da occhi nuovi e lontani. Ma è con Barbarossa, il film che Schepisi ha appena finito di girare nel Texas, che il gio vane australiano-italiano ha reclamato il suo spazio. Prima ancora della distribuzione Barbarossa è già tra i film più discussi su cui si costruiscono le teorie dei critici e l'appetito dei distributori. Barbarossa è un wèstern e una storia texana. Schepisi trasgredisce due volte i limiti della sua esperienza, filmali do in una America che non conosce un passato che gli è anche più estraneo di quello australiano. «Il West dice Schepisi — non è estraneo a nessuno. E' nella fantasia di tutti da una parte all'altra del mondo, dunque è un territorio die appartiene a tutti. E' un territorio di sentimenti e passioni non di rocce e di alberi Per questo è naturale rivi verlo». Schepisi punta prima di tutto sullo «splendore del ci nema». Il suo Texas (quasi tutto girato sul posto, con qualche sequenza in Virginia) risente più della pittura ingle se e americana degli ultimi due secoli (Turner, Mary Cas sat) che del tipico western d'azione americano. L'audacia delle inquadrature e dei movimenti di camera ha fatto ricordare a qualcuno i momenti felici di Sergio Leone ma c'è la purezza di Antonioni nei colori del film, e un modo elegante di giocare con la luce e con la natura che forse diventerà l'impronta di que sto autore. Con i personaggi Schepisi stabilisce due rapporti diversi. Karl e Barbarossa, 1 protagonisti, si presentano come amabili e familiari personaggi prefabbricati dalla leggeri da. Hanno il viso, i gesti, la vo ce, le avventure del Texas, e sono reinventati, più veri del vero, tenendo conto in modo delicato e accurato del luogo comune. Ma luogo comune non sono. Il loro tormento (hanno destini paralleli, benché si mettano insieme per caso) è di tipo familiare e privato, anche se si esprime In galoppate e si rappresenta in duelli. C'è il melodramma, alle spalle di questi due texani, molto più dei semplici stereotipi del West. C'è la cupa tensione dei sentimenti di amore e di odio che dividono le famiglie, separano i fratelli, creano crateri di vendetta e persecuzioni senza fine, benché la ragione si sia perduta e l'odio sia diventato un normale rapporto affettivo, senza speciali motivazioni. Nell'intrico di sentimenti, che diventa azione e occasione di eventi, Schepisi tiene d'occhio la diversità delle origini, di qua gli olandesi o gli inglesi con la loro moralità rigida e formale, di là i messicani con le loro tempeste emotive e i loro massacri cavallereschi. Ha impressionato gli americani la bellezza e la verità del Texas di questo giovane regista che all'America è estraneo due volte. In questo film la macchina da presa è un personaggio avventuroso, arrischiato e audace quanto Karl e Barbarossa. Ma, allo stesso modo, la mano del regista è guidata da pensieri non detti come la vita picaresca dei suoi eroi. L'estraneità di Schepisi si trasforma in attenzione intensa, curiosità di visitatore raffinato, messa in scena di imitatore dotato di energia e di mestiere. La sua però non è mai l'imitazione del Texas di altri film. Piuttosto è l'imitazione di un Texas che contempla se stesso e che si compiace della propria leggenda. Barbarossa (che i distributori americani scrivono con una sola «s» per permettere al pubblico americano la. giusta lettura fonetica) finirà proba¬ bilmente in sezioni diverse nello scaffale della memoria. E' un western, è un melodramma, è un'avventura contemporanea, è un circo di leggende, una rivisitazione dell'infanzia, una riscoperta della frontiera e anche un gioco delle parti pirandelliano. Invece di diventare filtro freddo e scostante, l'evidente informazione culturale dell'autore si scalda e si scioglie insieme a tutti gli altri materiali del racconto e la citazione diventa viva, come le galoppate, le montagne e il deserto. Furio Colombo
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