Tuttavia, Svizzera è bello di Vittorio Gorresio

Tuttavia, Svizzera è bello PERCHE' CONTINUA A ATTIRARE GLI «ORFANI DEL MONPO» Tuttavia, Svizzera è bello Calano i salari; scioperare significa ancora perdere il posto; fioccano i licenziamenti: la Nestlè, colosso alimentare in pieno boom, ha mandato a casa settemila dipendenti - E' diffusa la diffidenza per gli stranieri - Eppure resta un Paese eccellente, un punto di riferimento per molti immigrati: «Il lavoro è duro, ma ti danno scuole, ospedali, igiene, civiltà» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BERNA — «Svizzera è bello». Come nel linguaggio nuovo dei nostri ultimi anni sentiamo dire «Donna è bello» o «Grasso è bello», cosi vien fatto di usare la stessa locuzione assiomatica a riguardo di questo intero Paese: «Svizzera è bello». Però bisogna intendersi, perché un processo a questo Paese si può intentare a più livelli, cioè sul piano politico e sociale, economico, civile e citrico. Anche qui capita difatti che aprendo un giornale lo sguardo cada su titoli di notizie sgtadevoli, a esempio: «Quarto trimestre 1981, leggero calo del salari in Svizzera». Oppure: «Negli ultimi dodici mesi decuplicata in Svizzera la disoccupazione parziale. Alla fine di febbraio i disoccupati parziali erano più di 24 mila. Nel Canton Ticino 35 aziende alla fine di febbraio avevano annunciato di avere in vigore un orarlo ridotto». Oppure: «A Correntruy, nel Oiura, piccola fabbrica costretta a chiudere e a licenziare l'insieme del personale, ossia 29 persone. All'origine di questa situazione vi sono difficolta di finanziamento». Sono vertenze di poco conto e in ogni modo sono stati presi contatti con le banche, con il Cantone, con l'Unione svizzera arti e mestieri per trovare una soluzione, che certamente si troverà. Ma altre vertenze sono più gravi, non solo in fatto ma anche in diritto, e anzi è proprio su questo punto die la Svizzera delude. C'è il caso di una ditta zurighese di accessori per auto che nel 1979 si è trovata nella necessità di chiudere la sua succursale di Regensdorf, procedendo a decine di licenziamenti. Tredici addetti all'azienda si mettono in sciopero chiedendo alla direzione garanzie per il futuro e un piano immediato di assistenza ai licenziati. La direzione rifiuta tutto e per di più minàccia nuovi licenziamenti in tronco (che per mostrarsi di parola sta regolarmente effettuando). Afa non c'è niente di strano, o da stupirsi, poiché in realtà nell'ordinamento svizzero il diritto di sciopero non è contemplato. Lo sciopero è assimilato a un abbandono di posto senza giusta causa, sicché il datore di lavoro può rivalersi col licenziamento immediato per fatto ingiusto del lavoratore. Si è messa di mezzo la Fcom (Federazione cristiana operai metallurgici) appellandosi al tribunale dei «Prudhommes» di Zurigo (qualcosa come una sede di conciliazione che si adisce nelle cause di lavoro) ma i «Prudhommes» zurighesi hanno respinto il ricorso sentenziando alla svelta che il diritto di sciopero — o più precisamente il ricorso a metodi collèttivi di lotta — non è finora stato recepito formalmente nel diritto svizzero del lavoro. Secondo il Tages Anzeiger, che è il più diffuso ed in un certo senso il più progressista fra i quotidiani di Zurigo, la presa di posizione dei «Prudhommes» è importante perché dal 1918 è la prima volta che un tribunale si pronuncia in termini di diritto di sciopero: e cosi ha inizio, con un rifiuto, la nuova giurisprudenza in materia. E intanto fioccano i licenziamenti. L'amministratore delegato della Nestlè, M. Maucher, ha riferito il 29 aprile sullo stato ài salute del suo colosso alimentare che ha realizzato l'anno scorso benefici e guadagni espressi in cifre da capogiro che riguardano tutti i settori di attività dell'azienda. Un meraviglioso bilancio che M. Maucher, non insensibile alle tentazioni dell'umorismo, si è compiaciuto di chiamare il risultato di una cura dimagrante, perché ottenuto con il taglio di molti rami secchi, ridimensionamento di certi settori improduttivi, liquidazione di laboratori, ritenuti inutili, e finalmente col licenziamento di settemila dipendenti. Non c'è dubbio che la salute di un'azienda possa trarre giovamento da una cura, appunto, dimagrante. Anche in Italia lo sappiamo. Ma il bello dell'amministratore delegato Maucher, è stato che quando è venuto a parlare del licenziamento dì settemila persone le ha chiamate non operai, non lavoratori, non impiegati, non addetti, non dipendenti, ma con espressione molto più elegante e in pari tempo molto elusiva, li ha definiti «collaboratori». E' stato molto abile, dico, perché il termine collaboratore non evoca la figura di un licenziato ridotto alla disoccupazione, è un termine così degno e nobilitante che i licenziati possono quasi inorgoglirsene: oh quanta delicatezza, signor Maucher, tanta da scantonare nell'Ipocrisìa. Ma, allora, è giusto continuare a dire: «Svizzera è bello»? L'ipocrisia, si sa, è un dannato difetto che guasta, contamina ogni cosa, fa pensare ai colli torti, evoca tutte le ambiguità, apre la via a comportamenti non meno scivolosi che egoistici. Proprio questa difatti è l'accusa che spesso è rivolta agli svizzeri, a tutti gli svizzeri messi in un fascio tutti insieme. Magari è solo perché sembrano introversi, chiusi e cupi nei rapporti con i forestieri, e in più con una punta di diffidenza. Ma questa, caso mai, non sarebbe nemmeno prerogativa degli svizzeri, la diffidenza per gli stranieri essendo diffusa dappertutto. Degli svizzeri si può dire piuttosto che generalmente sono contegnosi, il che non deve giustificare sospetti gratuiti sul loro conto. Il fatto è che, a parte i momenti di un'euforia die li fa esplodere in entusiasmi incontrollati e smisurati,, gli svizzeri sono cauti, stanno attenti a non lasciarsi andare a manifestazioni di calore, e questo perché (come scriveva Romain Rolland al suo amico Jules Fraenkel nel 1925) lo svizzero avrebbe una grande paura del ridicolo: «Ha sempre paura che il forestiero si faccia beffe di lui se dimostra passione o ammirazione, anche se le prova. E' terrorizzato dall'idea dell'ironia». A suo onore, comunque, sta un sostanziale spirito di tolleranza, abituato com'è da secoli a vivere nell'integrazione organica di più lingue, più nazionalità, più religioni. A parte gli estremismi xenofobi di Inox Schwarzenbach (ma sciovinisti se ne trovano più o meno in tutti i Paesi), non sarà pertanto il caso di fare scandalo speciale attorno allo svizsero sciovinista senza chiamare in causa tutti gli altri suoi simili viventi altrove. Ma non essendo questa la sede per un esame comparato degli attuali sciovinismi-razzismi, xenofobie e peccati vari dì questa orrenda categoria, sarà meglio puntare su un'osservazione di natura a sé stante. Tenendoci ai rapporti fra gli svizzeri e gli italiani, è da citare un'osservazione fatta da Glauco Licata in una recente sua inchiesta sul tema dell'italianità in Canton Ticino. Preso atto della progressiva tedeschizzazione di quelle vallate, Licata avverte che non si tratta di un razzismo elvetico e tanto meno di una specifica italofobia, quanto della maggiore forza di attrazione che per cause normali e naturali l'etnia tedesca esercita: «Sapete —poi domanda — chi sono i veri italofobi di tutto il Canton Ticino? Sono alcuni ex italiani che da questa o dalla precedente generazione hanno conquistato il privilegio della cittadinanza svizzera». Ecco il punto da tener fermo quando si dibatte, andando caso per caso, se sia lecito o no dire «Svizzera è bello». E' vero che è praticamente proibito scioperare, che i diritti civili e politici possono essere anche più ristretti che in casa nostra, è vero che la legislazione sociale e sindicale è più arretrata che da noi. E' vero che nel Cantone di Appenzell le donne non possono votare (come è stato confermato in un referendum di domenica scorsa 2 maggio), ma non si deve credere che questa serie di annotazioni negative (che si potrebbe prolungare)- tolga alla Svizzera la sua qualifica di Paese eccellente. A tutte le obiezioni si dà infatti risposta, e sono risposte non tanto ingenue guanto onestamente pragmatiche, a cominciare da quella che riguarda il mancato voto alle donne: le suissesses, come poco graziosamente suona il nominativo plurale di donna svizzera, votano per delega affidata a un fratello, marito o genitore, e ne sono conten- te. I diritti sul piano del lavoro sono in genere considerati sufficienti, anche da parte degli immigrati, che comunque ritengono che è di gran lunga preferibile restare in Svizzera nelle odierne condizioni che ritornarsene al Paese d'origine, sia pure a condizioni sindacali privilegiate. E' un discorso che si allaccia alla presunta italofobia degli ex italiani del Ticino: in realtà è un discorso più filosvizzero che antitaliano, e il suo senso esatto è che che nessun immigrato rinuncerebbe alla possibilità di diventare svizzero e di garantire ai figli la condizione di svizzero. «Io ho cominciato lavando i cessi della stazione ferroviaria, racconta il tassista, ma sapevo dove volevo arrivare, e ci sono arrivato. Qui il lavoro è più duro che da noi, non si scherza. Ma in compenso ti danno cose che al mio Paese nemmeno se le sognano, scuole per i figli, ospedali per curarti, servizi pubblici, illuminazione, igiene, educazione, civiltà. Mio figlio ha già saltato la parte peggiore che è toccata a me, e non voglio che torni in Italia per ricominciare allo sbaraglio come ho dovuto fare io dieci anni fa». Come il tassista parla il cameriere diventato maitre d'hotel, parla il giovane di bottega che è riuscito a mettersi in proprio come parruc Mere per Damen und Herren, tutta gente che se fosse interrogata nel corso di un'inchiesta demoscopica per campione risponderebbe certamente che sì, «Svizzera è bello». Non si tratta soltanto di italiani: la disposizione d'animo e la professione di fede sono le stesse presso altre collettività di immigrati per i quali la Svizzera brilla come la stella della fortuna, della liberazione, della dignità dell'uomo finalmente affrancato dalla paura e dal bisogno. C'è un astro elvetico che splende come una volta si irraggiava quello americano su tutto il globo, e non attrae soltanto gli italiani, come ho già detto. Per quelli che Giovanni Pascoli chiamava «gli orfani del mondo», e Franz Fanon, più truculento «les damnés de la terre», insomma per una enorme quantità di esseri umani la Svizzera è un punto di riferimento inconfondibile. Lo prova il fatto che il numero delle richieste di naturalizzazione è notevolmente aumentato nel 1981 rispetto agli anni precedenti, tanto che la popolazione di origine straniera è aumentata di circa il tre per cento. Nello stesso modo sono in crescita enorme le richieste di asilo politico da parte di stranieri: sono in testa i negri dello Zaire, seguiti dai turchi e dagli etiopici (o, per dir meglio, eritrei). Sarebbe troppo lungo dare cifre minuziose corredate di tutti gli opportuni riferimenti alle situazioni del passato o a quelle di un'attualità comparata: e basti dire che il fenomeno in corso rappresenta un autentico boom della Svizzera in funzione di calamita. Come conferma inoppugnabile che sono in tanti ad attestare «Svizzera è bello» sora opportuno dire, per concludere, che in Jugoslavia, per esempio, fiorisce splendida la tratta di lavoratori che anelano a diventare svizzeri. A prezzi variabili secondo le capacità della borsa degli aspiranti autentiche agenzie di collocamento clandestine prelevano dei poveracci in casa loro, li spogliano dì tutti gli averi con la promessa di sistemarli in Svizzera, poi come è ovvio li abbandonano alla loro sorte nel primo campo di concentramento che capita. E' ignobile, diremo senza timore di essere confutati da chicchessia, però anche riprova, del pari inconfutabile, che la Svizzera attrae gli orfani del mondo e i damnés de la terre: perché «Svizzera è bello», nonostante tutto. Secondo i più diretti interessati che sono i giudici migliori. Vittorio Gorresio

Persone citate: Damen, Franz Fanon, Giovanni Pascoli, Glauco Licata, Herren, Jules Fraenkel, M. Maucher, Romain Rolland, Schwarzenbach