Nella tromba jazz di Clark Terry brilla ancora la gioia di vivere
Nella tromba jazz di Clark Terry brilla ancora la gioia di vivere Bellissima prova al Politecnico - Il concerto di Sahib Shihab Nella tromba jazz di Clark Terry brilla ancora la gioia di vivere TORINO — Miles Davis a Roma, ora Clark Terry à Torino. Due modi di fare musica, due maniere differenti di raccontare il jazz, di percorrerne ];J^i';,itpria, di fare spettàcolo, ' cultura, infine, come sintesi estranea al «déjà vu», alla ripetizione. Il jazz è vivo e non solamente sui muri delle strade di Harlem dove ancora oggi si lègge «Bird live», Parker non è morto. Accompagnato da una base ritmica di ripiego, tale da inibirgli l'abituale funanbolismo sul filo di un bebop gillespiano, Clark Terry, l'altra sera (ore 18,30) al Politecnico, localizza nel blues e nel mainstream le strutture e le ipotesi per sviluppare con stupefacente serenità un programma estemporaneo ma preciso. Il jazz della gioia di vivere scorre cosi di getto come impetuosi torrenti di primavera. Sola¬ mente un Armstrong sapeva fare tanta musica, inventare poesia per divertire il pubblico. 1 Terreedella-medesima razza. Innanzitutto è il caso di ricordare che ogginon c'è trombettista al mondo in grado di accostarglisi sul piano della tecnica strumentale, una sicurezza ben lungi dallo sfiorare l'esecrabile virtuosismo delle scale prese a tempo vertiginoso e dei sovracuti ma una competenza dì tipo concertistico nel significato classico di sicurezza. Terry sa di poter esprimere con la tromba (e con il flicorno) un mondo di immagini senza confini e i soli limiti potrebbero sorgere da una fantasia che in lui è inesauribile. Al solista disinibito si affianca poi il poeta romantico che al lirismo di una antica riegritudine dà il sostegno del- la virile rassegnazione. Grande quanto un Bobby Hackett, divino come un Armstrong, Clark Terry è infine Clark Terry con le scelte personali sul piano armonico ed estetico, per la pacata quasi britannica ironia. Tutto americano il duetto «vocal» con la spalla Chris Wood dove-l'humour esplode durante il brano «Lemon drop» nella aperta comicità hollywoodiana dei Blues Brothers cosicché Peter Sellers assume di colpo i connotati di John Belushi. Se modesta appariva la sezione ritmica, altro e gratificante effetto produce invece il sassofonista Wood dalla calda voce parkeriana ma sovente intonata a inflessioni ellingtoniane (Johnny HodgesX Sideman di classe Wood lascia intuire buone qualità di leader, un carisma di cui è invece totalmente privo il Sahib Shihab che nella medesima giornata (ore 21) si è esibito agli Infernotti per il Centro Jazz. Tuttavia Shihab era ac-t compagnato da una ritmica eccellente dove primeggiava il fraseggio di un Roger Kelloway al pianoforte, assecondato dal bassista John Giannelli e dal batterista uruguyano Aldo Caviglia. Shihab entra in scena incerto nella scelta dei brani, si lamenta (giustamente) per la demenziale acustica, mette a disagio il pubblico — ma anche i suoi sodali — improvvisando una blanda jamsession. Il clima dopolavoristico è appena attenuato dalle frescfie invenzioni di Kelloway e dalle intuizioni di Caviglia che sostiene il gruppo con polso sicuro. In compagnia di tali solisti, il geniale Clark Terry avrebbe fatto un concerto da leggenda. Franco Mondini Clark Terry virile rassegnazion
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