Savasta parla di logica dell'assassinio Di Moro dice: Non rivelò nulla alle Br di Giuseppe Zaccaria

Savasta parla di logica dell'assassinio Di Moro dice: Non rivelò nulla alle Br Al processo l'imputato racconta come si lascia la famiglia per entrare nella clandestinità Savasta parla di logica dell'assassinio Di Moro dice: Non rivelò nulla alle Br Il leader de «era favorevole a una trattativa» - «Comunque le sue lettere erano sempre filtrate dall'Organizzazione» - Ma dei particolari del rapimento e dell'uccisione il terrorista afferma di non saper nulla per conoscienza diretta - Per la prima volta parla del peso dei suoi delitti «Ma se adesso piangessi, come ho pianto a lungo», dice al presidente, «lei non mi capirebbe» ROMA — «Nelle mie risposte non c'è nulla di cinico... Lei, presidente, mi giudica perché ho ucciso, per morti di cui ho sentito, e sento ancora, il peso: ma se adesso piangessi, come ho pianto a lungo per fatti miei, lei non mi capirebbe. L'Organizzazione ha una sua logica, i problemi personali non c'entrano. Per una volta, bisogna entrare in quella logica: se ci si entra, si capisce». Ecco, d'Improvviso, un Savasta dal volto umano: dopo Intere giornate trascorse nella fredda, meticolosa ricostruzione della sua storia di brigatista, nell'aula del processo Moro il «pentito» tradì sce, quasi rammaricandose ne, un po' di emozione. La sua, è forse un'irritazione «logica»: nasce dal fatto che 11 presidente Santlapichi conti nua a interrogarlo sulla sorte del documenti che Moro aveva con sé il 16 marzo, interrompendo ogni spiegazione politica per puntare solo sui fatti. Da qualsiasi motivo sia provocata, quella di Savasta è co munque la prima reazione manifestata dinanzi ai giudici del processo Moro. «Quél che si deve capire — dice con voce alterata —, è che il partito armato è un microcosmo fatto di valori diversi: cose che fuori non contano nulla, al suo in terno possono avere un peso enorme. Separare il personale dal politico, trascorrere giornate intere per convincere un compagno che deve lasciare la ragazza se vuole entrare nell'Organizzazione... io, cosi, ho trascorso anni». Una improvvisa perdita di controllo, o piuttosto, come ritengono alcuni, una scena re citata a freddo e impostata ancora una volta su un accurato calcolo degli effetti? Di certo, c'è il fatto che ieri Savasta, più chiaramente che mai, ha tessuto dinanzi alla corte una specie di elogio del la follia. La follia che ha spinto tante persone ad uccidere •vincendo la paura di farlo, < solò perchè nella politica dell'Organizzazione l'assassinio ha la sua funzione». Quella che, sempre secondo Savasta, ha portato molti giovani £ partecipare ad azioni crimi nali nella convinzione che fossero giuste. Prima che Savasta ripren desse la sua lunghissima de posizione, ieri altri due pre sunti «pentiti» —Enrico Triaca ed Augusto Cavani — avevano chiesto al presidente di leggere due comunicati. Solo Cavani era stato autorizzato a farlo: precisava di non essere un «pentito», di aver abbandonato le Brigate rosse da più di un anno, e di essere co munque disposto a parlare solo delle sue responsabilità personali. Presumibilmente Triaca con il suo messaggio avrebbe voluto esprimere la stessa linea. Dinanzi a questi due episodi — uniti alla ricusazione del difensore presentata da un'altra imputata, Annamaria De Luca — Savasta ha avuto buon gioco a sostenere che il carcere e l'incompren sione dello Stato alimentano In molti terroristi la paura di mostrarsi «pentiti». Nell'udienza di ieri, alcuni hanno cominciato a dubitare però non solo della qualità, ma anche della «profondità del pentimento di Savasta della sua vera influenza nei processo, della disponibilità stessa del brigatista a rivelare nomi e fatti diversi da quelli già noti. Sulla ricostruzione che Savasta avrebbe fornito della morte di Moro, per esempio, nelle scorse settimane erano stati scritti volumi. Eppure ieri (evidentemente ricalcando la deposizione già resa alla commissione parlamentare d'inchiesta) Savasta ha risposto seccamente: -Non ne so nulla, tranne che per l'esecuzione furono usate due pistole. E questo perché una di esse, una calibro nove corto, qualche mese dopo mi capitò tra le mani». Nessuna spiegazione il terrorista ha saputo dare neanche sui documenti che erano stati sottratti a Moro: tra settembre e ottobre del "78 dice di averne visti alcuni In mano a Oallinari, durante una riunione dell'«esecutivo» à Molano, in provincia di Perugia. mGallinari — ha raccontato — bruciò in un camino una trentina di fogli dattiloscritti, e subito dopo una patente. Era quella di Moro: le erano già stati tolti la foto e i bolli» Il battibecco con il presidente è nato proprio da questa affermazione: Santlapichi si sforzava di capire come mai Oallinari avesse tenuto con sé un documento pericoloso come quella patente, e soprattutto perché le Br avessero conservato a Milano, in via Mtvsgcqitldr Montenevoso, altri documenti sulla prigionia di Moro. Savasta ha risposto subito: «E' stato un errore». Santlapichi gli ha ribattuto che non gli chiedeva giudizi, ma fatti. Di qui, la lunga digressione sulla importanza della chiave politica in ogni tentativo di analizzare il fenomeno Br. Cercando di entrare nei dettagli della prigionia di Moro, il presidente ha domanda¬ to a Savasta se le lettere del leader de -furono il frutto di una libera determinazione di Moro o di una coartazione».' uMi è stato detto — ha risposto Savasta — che, sulla questione della trattativa. Moro era apparso molto lucido. Senz'altro la durezza dello Stato era solo apparente, per-, che nascondeva l'incapacità di affrontare un problema nuovo. Contro questa solidità apparente prese posizione l'on. Moro, accusando personaggi specifici della de, manovrati dagli americani. Comunque da parte dell'Organizzazione si operava sempre una specie di filtro. In sostanza le dichiarazioni di un ostàggio rispecchiavano da una parte una sua necessità di far conoscere all'esterno la sua condizione, dall'altra gli scopi politici che le Br volevano conseguire». Savasta ha aggiunto che Moro fu interrogato su argomenti generici, in quanto non si lasciò mai trascinare sul terreno voluto dal terroristi, le cui intenzioni erano quelle di parlare di argomenti specifici, come ad esemplo la 'responsabilità dello Stato nella strage di piazza Fontana», o i rapporti internazionali della de e che cosa essi nasconde vano. In quanto alle trattative, Savasta ha dlbadlto che alle Br Interessava solo •costrin gere la de e lo Stato a trattare allo scoperto». Per questo le Br rifiutarono i tentativi di mediazione attuati da Pace e Piperno, e da Daniele Pifano: «LeBr non potevano delegare ad alcuno la propria rappresentanza». Giuseppe Zaccaria Roma. Savasta, ieri in aula

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