Un Paese con la nevrosi d'abbandono

Un Paese con la nevrosi d'abbandono Un Paese con la nevrosi d'abbandono Gli argentini hanno il complesso dell'emigrante, si sentono dimenticati in una delle periferie del mondo - Anche per quelli di nome italiano (52 per cento) i «tradizionali vincoli» con la cultura d'origine esistono solo nella nostalgia - L'ideologia conservatrice convive con l'avversione per «el imperialismo yangui» - Uno slogan freudiano: «Dagliele, Perón! Siamo maschi e siamo tanti» Quante facce di tanos (italiani, un po' dispregiativo da napolltanosj nelle manifestazioni della plasa de Mayo che si vedono alla televisione, cosi scatenate di patriottismo per le Malvinas. Chissà che cosa pensano all'associazione Llber Piemont di Buenos Aires in queste sere o alla Società Furlana o al circolo siciliano Club Oalatl Mamertino? E nelle circa cinquecento associazioni italiane dell'Argentina di che cosa si parla? C'è la più potente, la Mutualità e Istruzione della capitale, che ha un patrimonio edilizio nel centro di Buenos Aires degno di una multinazionale, senza contare gli impianti sportivi della sua filiale periferica Unione e benevolenza. Il cinquantadue per cento dei nomi anagrafici della Repubblica Argentina sono di origine italiana. E questa gente è in guerra. Da lungo tempo c'è un rapporto che non va fra l'Italia e l'Argentina, un rapporto dominato dall'oblìo. Emarginazione Uno dei caratteri più evidenti della comunità nazionale argentina è quello di essere un Paese lontano e gli argentini lo sentono come una condanna senza scampo. Comunità di emigranti, hanno quasi tutti un complejo abandonlco, come dicono i loro psicanalisti. La grande emigrazione ebraica ha portato in Argentina la psicanalisi quando ancora Cesare Musatti era quasi ragazzino. Italiani, tedeschi, polacchi, turcos (cioè levantini libanesi, palestinesi e siriani), fran cesi, inglesi e spagnoli un po' meno, tutti sono coscienti che le rispettive madrepatrie li hanno scaricati laggiù e per il Paese d'origine non contano più niente. Provare a chiedere a uno dei tanti sottosegretari italiani dell'Emigrazione degli ultimi trent'anni qual è stata la politica della Farnesina verso l'Argentina. La risposta sarà sempre: «I tradizionali vincoli Quali vincoli? L'Argentina è una specie di Australia per l'Italia, come lo è la vera Australia per l'Inghilterra e da Edmondo De Amicis in poi nessuno se n'è mai accorto. Tra quelli che si sono occupati dei tradizionali vincoli, quanti sanno che, in età glolittiana in Italia, l'Argentina discuteva al Congresso l'ipotesi di un bilinguismo italiano e castigliano nelle scuole? E' incredibile che soltanto il governo di Francisco Franco negli Anni Sessanta abbia1 disposto un piano per il rientro in patria degli emigranti che non avevano fatto fortuna in Argentina, con il pagamento del viaggio e un sussidio. In generale l'Europa si è liberata di bocche affamate e le ha lasciate lì, dove ci sono tante bistecche. Il blfe e un senso di maggior facilità dell'esistenza sono lè cose che l'Argentina non ha mai negato a nessuno. Ma com'è, veramente, quest'Argentina che negli ultimi trentacinque anni ha dato Perón ed Evita, in una specie di musical folklopolitico, Arturo Frondizi nel suo tentativo di kennedismo rioplatense, Che Guevara edificante e apocalittico, ancora Perón con Isabelita come revenant fantomatico e molti generali e molti guerriglieri accanitamente intenti a scannarsi? Quando si arriva all'aeroporto di Eeeiea a Buenos Ai res, dopo il lungo viaggio dall'Europa, si ita. la sensazione precisa di essere arrivati in una delle periferie del mondo, sembra che più in là, in questo Paese lungo e largo dieci volte l'Italia, non ci sia nulla. Il concetto di marginalità della società argentina è stato elaborato dai sociologi di Buenos Aires come una componente importante del comportamento nazionale. Un giorno si scoprirà, probabilmente, che questo sentimento dell'Argentina-periferia ha avuto grande parte nel determinare la crisi e il conflitto con la Gran Bretagna per le isole Falkland-Malvinas. La trappola Per i generali argentini era difficile immaginare, nel loro progetto d'invasione, che gli inglesi si sarebbero mossi con tanto impegno e con tanta forza per difendere il prestigio della bandiera in una regione così remota del pianeta. La marginalità porta con sé la convinzione di essere alla frontiera delle leggi comunemente accettata. Tutto ciò che accade nell'area del Cono Sur rientra in questa regola. Deve aver fatto da esca, alla trappola, l'evidente sproporzione fra l'enorme costo di una riconquista britannica delle Falkland in una zona tanto lontana e la ragione del contendere. In questa storia si sono sbagliati tutti, sia i generali di Buenos Aires, sia i politici di Londra, nessuno dei quali avrebbe voluto ciò che sta accadendo. Testardi gli argentini nel rivendicare le Malvinas sulla sola base del diritto geografico, senza mai infiltrare l'elemento umano. Testardi gli inglesi nel mitizzare il principio dell'autodeterminazione dei loro duemila connazionali. A guardar bene, l'errore di previsione più grave è stato commesso dalla Gran Bretagna, che poteva programmare l'ipotesi di una crisi del genere dopo tanti anni di inutili trattative e farvi fronte in ben altro modo. Gli inglesi, a differenza dei politici italiani, conoscono gli argentini molto bene per una lunga storia di intensa frequentazione economica di due secoli. Sanno che nel suo costume l'Argentina è il Poe se più anglofilo del Sud America: dal gioco del polo, del golf e del calcio alle razze di allevamento del bestiame bovino e ovino e ai grandi club, tutto è anglicizzante. Gli idoli del mMundiaU, Menotti e Maradona, quando parlano dell'arbitro di una partita di calcio lo chiamano referee e dicono penalty per rigore. Fino a pochi anni fa gli arbitri del calcio erano tutti inglesi, per stima della loro obbiettività. Soltanto in Argentina un toro della razza Aberdeen Angus appare nelle prime pagine di grandi giornali. Per più di metà di origine italiana, il resto spagnoli, criollos e vecchi gallegos tutti insieme nel meltlng pot con il resto del mondo, gli argentini se potessero vivrebbero secondo modelli di vita britannica e quando possono lo fanno. Il miglior libro relativa mente recente sull'Argentina (1972) è stato scritto da un professore inglese, H. S. Ferns, docente dì scienze politiche all'università di Birmingham. In un capitolo sulle Falkland-Malvinas, Ferns scriveva: «Da parte britanni' ca probabilmente non ci SO' no più di cinquanta persone In Inghilterra e nelle stesse Isole che conoscano 1 termini della disputa. Ma dalla parte argentina la questione ha grande risonanza popolare: per le Malvinas c'è una massiccia opinione generalizzata che produce forti sentimenti, anche se nessuno sa bene perché. La presenza inglese nelle Isole per 1 nazionalisti argentini è una prova concreta del miti dell'imperialismo, che fanno parte del loro repertorio politico e che, come altri problemi inesistenti, costituiscono un modo di stimolare la paranoia latente». Come ha verificato Ferns. non c'è nessuna verità nel dogma dei nazionalisti argentini che gli imperialisti, prendendosi le isole più ventose e meno ospitali del mondo, abbiano rubato al loro Paese un'enorme ricchezza. «Le cinque "estanclas" (fattorie di allevamento) più grandi della provincia argentina del Chubut sono più estese e più produttive di tutte le Malvinas. L'Argentina non ricaverebbe nessun vantaggio apprezzabile dall'annessione, cosi come l'Inghilterra potrebbe abbandonare le Falkland senza subire nessuna perdita. Sommati alla popolazione argentina, gli abitanti delle Malvinas aumenterebbero soltanto del 10 per cento 1 possessori di passaporto inglese In Argentina e, se 11 governo 11 obbligasse a diventare argentini, si troverebbero In una condizione slmile a quella del coloni gallesi ed ex-boeri che vivono e prosperano da un secolo in Patagonia In questa situazione, l'unico calcolo che finora si è rivelato esatto è stato quello dei generali argentini che hanno ottenuto la mobilitazione del Paese su una questione, a torto o a ragione, molto sentita. E' un fatto di grande rilievo perché è la seconda volta che ciò avviene negli ultimi dieci anni come esperienza di unità nazionale. Con il •peronismo storico* le masse sono in gran parte i cabecltas negras (cosi li chiama ancora oggi Jorge L. Borges), cioè gli immigrati dall'interno nella metropoli sulla spinta dell'industrializzazione, fino al 1955. Con la revoluclón libertadora che abbatte il peronismo, le masse sono costituite in maggioranza dai ceti medi antiperonisti. Con il ritorno di Perón nel 1973 per la prima volta si vede l'unione nazionale, ma dura poco. Il grande progetto di consenso politico viene travolto dall'eversione guerrigliera e dall'incompetenza della classe di governo. Folle in piazza Ora il presidente della Junta, generale Galtieri, sia pure con qualche manifestazione di protesta tollerata contro i militari, porta in plaza de Mayo le folle al grido: «Las Malvinas son nuestras!». Che cosa significa, dopo tanta cupa repressione sociale, questo consenso per l'azione sulle isole dove possono morire tanti figli di madri argentine quanti ne sono scomparsi nelle comlsarias per sospetto di simpatie di sinistra? Se non fosse morto pochissimi anni fa, lo studioso che avrebbe potuto spiegare meglio questo guazzabuglio sociologico dell'Argentina sarebbe stato il professor Ginot Germani, economista e socio-' lago italiano che è stato fra i fondatori della ricca scuola sociologica argentina, poi passato negli Stati Uniti all'università Harvard prima di rientrare in Italia. In un suo lucido capitolo sul « Populismo nazionale" nel volume Autoritarismo, fascismo e classi sociali (Ed. n Mulino), Germani analizza la struttura delle mobilitazioni di massa nell'America Latina, concludendo che la partecipazione popolare, specialmente in Argentina e in Brasile, appare realizzabile soltanto contro i Paesi egemoni del mondo occidentale. Un tempo l'Argentina veniva definita una informai colony della Gran Bretagna. Questa mobilitazione è la risposta alla vecchia egemonia storica, ovviamente -manipolata", come direbbe Germani, dall'esercito argentino che si è assunto il cornplto del controllo della partecipazione popolare un tempo nelle mani della vecchia ilgarqula. poi del peronism Perón non agì diversamente nel 1946 quandj ottenne l'elezione a presidente per la prima volta in una situazione torbida e inquieta di transizione sociale. Ebbe il 60 per cento dei voti in base allo slogan «O Braden, o Peróni ». Sprouille Braden era l'ambasciatore americano a Buenos Aires che aveva fatto pubblicare dal Dipartimento di Stato a Washington un libro bianco con la documentazione dei legami fra Perón, i suoi amici militari e il nazismo. L'Argentina era stata filo-Asse fino ai primi di aprile del 1945. Ventisei anni dopo, lo stesso uomo tornerà al potere in mezzo alle scritte sui muri che dicono: «Mentlroso y ladròn queremos a Peroni», bugiardo e ladro vogliamo lui. Per un Paese di emigranti con senso abandonlco, l'Argentina del generale Galtieri registra anche un altro fenomeno non trascurabile: il ritorno di questo Paese in pri- ma linea nel costante e diffuso sentimento anti-imperialista dell'America Latina. Era una specie di capofila con Perón fino al 1955, dissipando un patrimonio in oro favoloso accumulato durante la seconda guerra mondiale per acquistare i vecchi telefoni americani e le vecchie ferrovie inglesi. Ora torna ad esserlo, facendo entrare in ombra perfino il lungo periodo in cui la testa delle nazioni anti-imperialtste era stata tenuta da Cuba. Essere anti-imperialista nell'America di lingua spagnola ha un senso differente che da noi. Un conservatore come il presidente argentino Agustin Justo, nel 1936, mandò il proprio figlio, Liborio, per questo soltanto diventato famoso, a gridare davanti a Roosevelt alla Conferenza Panamericana: «Abajo el imperialismo yan,qull». E se ne compiaceva pubblicamente. Durante il drammatico ritorno in patria di Perón dopo 17 anni di esilio, gli psicologi argentini analizzarono gli slogan gridati dai suoi sostenitori. Il più coinvolgente di tutti risultò «Dagliele Perón! Siamo maschi e slamo tanti! »,... somos machos y somos tantos. Vi fu rilevato un senso di disperata drammaticità, un gran bisogno di -padre-, che veniva dalla storia di un popolo giovane e lontano, formatosi con i brandelli di altri popoli nel crogiolo metropolitano ai margini dell'immensa solitudine della Pampa, una disperazione struggen te come nel tango. Franco Pierini