Il Gulag dimenticato
Il Gulag dimenticato Il Gulag dimenticato di PAOLO GARIMBERTI C'era una volta il dissenso in Russia e nei Paesi dell'Est. Ebbe i suoi massimi «Momenti di Gloria» (ma, forse, il titolo originale del film Premio Oscar, «Chariots of Fire», è più aderente: erano davvero carri di fuoco politico) tra il 1976 e il 1977. Grande tema del dibattito politico, in Europa ma soprattutto in Italia, era l'effetto indotto della Conferenza di Helsinki, che per alcuni aveva avuto addirittura l'unico scopo di sancire il «diritto al dissenso» al di là dell'antica cortina di ferro. Il presidente Carter faceva dei diritti civili uno degli strumenti prioritari della sua politica verso l'Unione Sovietica. A Venezia si organizzava la Biennale del dissenso, poi ripetuta con eguale successo a Torino. La stampa comunista era passata ogni giorno ai raggi X per misurare la distanza tra via delie Botteghe Oscure e il Cremlino in base allo spazio riservato ai vari Sacharov, Havemann e Patocka. Poi, in un progressivo decrescendo, il silenzio e l'indifferenza. La politica, come il prèt-à-porter, ha le sue mode, bizzarre e imprevedibili: del resto, si fanno entrambe sulla pelle altrui. Il professor Robert Havemann muore e se ne accorgono in pochissimi, giornali compresi: eppure, Ex anni era stato la spina nel fianco di onecker, che dal 1976 lo aveva fatto porre agli arresti domiciliari. Ci si preoccupa della sorte dei sindacalisti polacchi, Walesa in testa, ma si tende a dimenticare che i padri di Solidarnosc sono i «dissidenti storici» come Michnik e Kuron e tutto il gruppo dirigente del Kor. E si potrebbe proporre una lauta mancia competente a chi ritrova una notizia sul movimento «Carta 77», che cinque anni fa riportò a Praga uno sprazzo della Primavera del '68. Ma il caso più clamoroso; di colpevole ignoranza da parte occidentale riguarda il dissenso sovietico. Negli ultimi diciotto mesi in Urss vi è stata una media di quattro processi politici la settimana: 500 persone sono state incarcerate con condanne dai quattro ai cinque anni di Gulag. Con un'azione a tappeto, che ha un solo precedente (il cosiddetto «Caso 24» nel 1972), il Kgb e i giudici sovietici hanno spazzato via quasi tutto l'arcipelago dei gruppuscoli dissidenti: il Gruppo di Helsinki, il Comitato contro gli abusi della psichiatria, il Comitato dei credenti, il Comitato per i sindacati indipendenti, il Gruppo di difesa delle persone ingiustamente accusate. Non è difficile capire che cosa vuole dimostrare il potere sovietico con questa purga di stampo staliniano. Innanzitutto che i diritti civili sono un puro affare interno sovietico (o polacco, o bulgaro, o cecoslovacco e via elencando) in barba a tutte le conferenze di Helsinki e di Madrid. In secondo luogo, che i dissidenti possono fare poco o nessun affidamento sull'aiuto o la protezione dell'Occidente. Ma tutto ciò è abbastanza naturale: i dirigenti sovietici continuano a fare il loro mestiere che, anche storicamente, è sempre stato, oltre che quello di governanti, quello di poliziotti. Meno naturale e ancor meno comprensibile è l'assenteismo dei governanti occidentali. La loro indifferenza non è altro che una duplice, triste conferma. I politici hanno sempre usato il dissenso all'Est per puri scopi strumentali, essendo in realtà cinicamente indifferenti alla sorte dei dissidenti e alla causa dei diritti civili. I mass media, a loro volta, privilegiano la curiosità e la moda del momento alla completezza dell'informazione. Intanto il Gulag si popola.
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