Le tentazioni orientali di Flaubert: pigrizia e voluttà

Le tentazioni orientali di Flaubert: pigrizia e voluttà In un epistolario inedito il viaggio giovanile dello scrittore in Egitto Le tentazioni orientali di Flaubert: pigrizia e voluttà NEL viaggio di Flaubert in Egitto e nel vicino Oriente la critica ha voluto vedere il primo avvio, abbastanza inatteso e favoloso, della genesi di Madame Bovary. Se si basasse solo sulla testimonianza, tanto circostanziata quanto dubbia, di Maxime Du Camp, compagno e guida del romanziere in quell'avventura orientale (-Alla seconda cateratta, esclama: "Ho trovato, eureka! eureka! La chiamerò Emma Bovary.'»), la congettura risulterebbe molto debole, ma ci sono le lettere di Flaubert, che tuttavia di questo episodio e del futuro romanzo non fanno alcuna menzione, a renderla largamente condivisa. Sono lettere su cui si è molto favoleggiato prima che venissero rese note nella loro integrità, perché si sapeva che su esse si erano accanite le pudibonde forbici della nipote dello scrittore e ci si aspettava chissà quali oscenità: non che queste manchino, soprattutto nelle lettere a Louis Bouilhet che svelano senza perifrasi e forse anche con un poco di giovanile esagerazione i mediocri paradisi dei postriboli e dei bagni turchi; ma sono uno del tanti ingredienti di un resoconto di viaggio vivace e a tratti anche meticoloso. Flaubert è un viaggiatore coscienzioso, al punto da adottare subito le consuetudini alimentari e vestimentali dei paesi che visita, ed è un figlio amoroso che, per consolare la madre della lunga separazione, si prefigge di descriverle minutamente le sue impressioni di viaggio. Ma è un viaggiatore velleitario, che, malgrado 1 buoni propositi («Val meglio essere occhio, e niente altro») e dopo una prima fase di entusiasmo («Mi sono fatto un 'abboffata di colori, come un asino che si riempie di avena»), si stanca di paesaggi e monumenti e si lascia sprofondare nel torpore e nella noia: «Si ha un bel viaggiare, vedere dei paesaggi e dei tronchi di colonne, tutto questo non rallegra. Si vive in un torpore profumato, in una specie dì sonnolenza. Niente dispone più al sonno e alla pigrizia». E in Francia non ha lasciato soltanto una madre apprensiva, ma anche «la voluttà permanente della tavola rotonda» del suo studio, «l'indipendenza, la libertà della fantasia, le duecento penne tagliate e l'arte di servirsene». E' insomma, malgrado la sanguigna giovialità delle sue lettere, un viaggiatore della pcgglor psecie, un viaggiatore nostalgico. E' partito per curarsi 1 postumi di una ferita, e non tanto quella che ha lasciato sui suoi nervi la crisi epilettica del gennaio del 1844, quanto quella che hanno appena aperto nel suo orgoglio e nelle sue speranze 1 giudizi recisamente negativi con cui Louis Bouilhet e Maxime Du Camp hanno accolto la lettura della Tentazione di Sant'Antonio: opera fallita, opera da bruciare, che, alla prima verifica, mette in forse addirittura la stessa identità di scrittore del giovane Flaubert. E' una crisi dolorosa e apparentemente senza sbocco: Flaubert non sa concepire per sé altro destino — e in una lettera alla madre ribadirà perentoriamente la sua avversione per «quelle esistenze bastarde in cui si vende lardo tutto il giorno e sì fanno versi la sera dopo cena» — e ha l'impressione di avere speso In quell'opera tutte le sue risorse migliori: «Mi sento molto vuoto, molto piatto, molto sterile. Che cosa mai farò una volta rientrato nella tana, pubblicherò?non pubblicherò? che cosa scriverò? e addirittura, scriverò?». Di dimenticare non ha alcuna voglia, e d'altra parte gli sarebbe difficile avendo uno dei suoi giudici per compagno di viaggio e l'altro per destinatario delle lettere più calorose. Può solo cercare di stordirsi per tutto il tempo che sarà necessario a far rimarginare la ferita, di sottoporsi ad un cambiamento radicale di abitudini di vita che, oltre a fornire una salutare distrazione, possa propiziare una metamorfosi: « Vivo come una pianta, mi impregno di sole, di luce, di colori e di aria aperta. Mangio: ecco tutto. Rimarrà in seguito da digerire, poi da cacare, — e della buona merda!». Come questa metamorfosi sia avvenuta, come dalle ceneri di un'opera fastosa e visionaria quale il Sant'Antonio sia nato quel «libro su nulla» che è Madame Bovary, è uno di quei misteri che possono stupire soltanto chi non sappia che la creazione letteraria predilige i sentieri più tortuosi. E, oltre che tortuoso, quello che passa per l'Egitto, la Palestina, l'Asia Minore, la Oreeia e l'Italia, sembra anche fuorviante. Ma se la dissipazione dell'oriente è servita a far rimpiangere a Flaubert la solitudine e la concentrazione di Croisset, se il sovraccarico di emozioni è servito a rivalutare al suol occhi le «cose insignificanti che prendono allo stomaco», se, come pensa Thibaudet, la crassa pigrizia e il tedio del viaggio sono serviti a farlo riflettere sull'accidentalità del temi letterari e sull'importanza del 'principio intrinseco», dell'.anime delle cose», allora tutto converge verso la logica di un'evoluzione. Quello che poteva essere un tuffo giovanile nell'esotismo e nell'avventura diventa davvero un'inopinata, ma decisiva «educazione orientale» Giovanni Bogliolo Gustave Flaubert, L'educazione orientato. Lettore (1849-1851) traduzione di Elena Gaggi Rogard, Serra e Riva, 272 pagine, 14.000 lire. Delacroix: «Harems dans la tète» (pan.)

Luoghi citati: Asia Minore, Egitto, Francia, Italia, Palestina