Puccini: melodie, donne e motori

Puccini: melodie, donne e motori In un epistolario del compositore l'Italia musicale del primo '900 Puccini: melodie, donne e motori LA nipote di Puccini pubblica, con accuratezza diplomatica e ricco commento illustrativo, le lettere del musicista all'amico Riccardo Schnabl, conservate nella biblioteca del Conservatorio di Milano: abbracciano il periodo 1899-1924, sono circa centotrenta, più alcune del corrispondente, e soltanto ventitré erano già note.. (Giacomo Puccini, Lettere a Riccardo Schnabl, a cura di Simonetta Puccini. Emme Edizioni. Il Formichiere. Pag. 273, lire 14.000). Lo Schnabl era un ricco proprietario terriero, nato a Perugia nel 1872, quindi assai più giovane di Puccini. Di origine austriaca per parte di padre, e quindi perfetto conoscitore del tedesco, girava il mondo per curare 1 propri interessi (anche in Argentina), ma soprattutto per seguire i grandi spettacoli d'opera da Milano a Vienna, da Roma a Parigi, da Montecarlo a Buenos Aires. Pare che suonasse bene il violino. Non si sa come avesse conosciuto Puccini, al quale si legò d'un'amicizia devotissima, quasi servendogli da segretario e da interprete nei rapporti coi teatri tedeschi, specialmente Vienna e Monaco, e talvolta sostituendolo nella supervisione di spettacoli all'estero, come avvenne per 11 Trittico a Londra. S'incontrava con Puccini in molti gusti comuni: per i viaggi, 1 motori, la caccia, le donne. Quando furono in confidenza, Puccini si servi spesso della sua complicità per eludere la sorveglianza coniugale ed organizzarsi evasioni ed incontri, specialmente con la baronessa austriaca Josephine von Stangel, ultimo grande amore, che fu letteralmente sacrificato sull'altare della patria, quando la guerra chiuse ai due amanti le frontiere. Il che contribuì non poco aU'anti-interventlsmo di Puccini, di cui risuonano alte note in queste lettere. -Il mondo è schifo... però spero sempre in Giolitti.'». Ahimè! si era nel 1920, e c'era ormai poco da sperare. -Come sono stufo di qui», scrive durante i disordini del dopoguerra che porteranno al fascismo, «e forse anche della nostra povera Italia! Che schifo il mondol». E, ben sottolineato, il sospiro del neutralista inascoltato: «Se ci davano retta!: L'occupazione delle fabbriche gli fa esternare un credo politico: -L'Italia, in fondo, ho sempre pensato e detto: che è un Paese agricolo e artistico — coltiviamo e operiamo: (Probabilmente-intendeva, nella brachilogia del suo linguaggio scherzoso: «Scriviamo opere»). 'Lasciamo le industrie a chi non ha agricoltura e poca genialità: Poco prima della marcia su Roma scriveva all'amico, che si trovava a Vienna: «Qui i fascisti come tu saprai vogliono il potere vedremo se riusciranno a rimettere questo nostro bello e grande Paese in ordine ma lo temo». ** Le lettere di Puccini non sono mai «storiche», non hanno di mira la posterità. Si rivolgono ad un amico con frettoloso stile confidenziale che sorvola sulla punteggiatura ed impiega le abbreviazioni d'un lessico colloquiale quasi incomprensibile per gli estranei. Ma l'uomo ne vien fuori intero: elegante nella sua fanciullesca incostanza, nell'amore inesausto per la vita. «Sto bine, questa vita io l'adoro!*, scrive raccontando di cacce in Maremma: « Vado in auto per i campi e molte volte si rimane piantati - povera Fiat!: Salvo poi cominciare a sbuffare da Torre del Lago: «Sono qui e dopodomani a Milano - non ne potevo più di Maremma!». Ma tosto di nuovo: «Marc - motore - vela questa è la mia vita!». Era ossessionato dalla paura di perdere la virilità, e considerò piti volte seriamente di sottoporsi alla cura del prof. Voronoff e più tardi d'un certo dottor Steinach,, che per cinquantamila corone, pari a tremila lire, aveva promesso eterna giovinezza all'ex imperatore Guglielmone. «ZI soggetto è al giusto punto (quasi 64 anni come me) per essere operato». Cosi riferiva un altro dottore, e Puccini s'era perfino assicurato il consenso della moglie! -Elvira non si opporrebbe più». Ora pregava Schnabl a Buenos Aires di cercare un certo maestro Piazzinl: «Lo incontrai qui in primavera e aveva fatto l'operazione - era raggiante - vorrei sapere se ancora è felice». Queste lettere non rivelano soltanto l'uomo, ma aprono spunti importanti sulla musica sua e degli altri. Le opere di cui principalmente si tratta sono: il «cosiddetto, abusivamente e impropriamente. Trittico» (ma noi ci si adatta e lo chiama sempre cosi), la Rondine («povera opera mia cara!») e Turandot, di cui si seguono gli alti e bassi della laboriosa gestazione, tra alternative d'entusiasmo e di svogliatezza. Terribile l'ultima lettera da Bruxelles: -Penso a Turandot non finita!!! Spero die riusciranno a guarirmi ma è molto difficile la località la base dell'epiglottide! Ciao». Il Trittico (con la Rondine che, scriverà Schnabl, «egli amava come le madri amano i figli dagli occhi belli, pieni di charme che purtroppo zoppicano/») 11 Trittico è il lavoro su cui più si diffonde. Curiosamente, Puccini era occupatissimo, come noi ora, a stabilire quale delle tre opere valga di più. -Schicchi mi pare la migliore delle tre», asserisce dapprima. Ma poi gli si sviluppa una crescente affezione per Suor Angelica, sulla cui interpretazione e messa in scena ritorna di continuo. Del Tabarro non parla quasi mal. come se poco glie n'importasse. I giudizi sulla musica altrui sono critici in ogni direzione. Nel 1920 vorrebbe raggiungere Schnabl a Monaco «per ricevere un tuffo di musica dopo guerra». Ma «Elettra macigno- sarà ben presto il suo lapidarlo giudizio. E: •Quanto più penso alla Donna senz'ombra mi domando se fa sul serio Strauss». Alla Neue Freie Presse rilascia un'intervista con -critiche un poco di cattivo gusto e scortesi per Pfitener, Schreker e per lo stesso Strauss», che 11 bravo Schnabl si cura di rettificare. Forse il giornalista aveva travisato il suo pensiero, ma in realtà, all'amico, Puccini aveva scritto, dopo 11 viaggio a Vienna: -Ripenso alla musica che ho sentito e non provo godimento postumo... Tutt'altrol: Né gli piacevano i moderni di casa nostra. -Sono al solito senea libretto!», lamentava il giorno di Natale 1920. -Già sor. vecchio è meglio che smetta e lasci il posto ai Malipiero ai Fratello a tutti gli altri che non vogliono avere idee». Era indispettito dell'entusiasmo che Toscanini, «il divo», dimostrava per Debora e Jaele di PizzetU. • Quell'abolizione della melodia è un grande sbaglio». Aveva proprio tutu 1 torti? D'altra parte, niente che lo soddisfacesse neppure sull'altro fronte, quello dell'opera tradizionale e del melodramma verista. -Il mio paese mi fa schifo. Sarà bello ma non ha nessuna qualità e di poesia e di finezza. E'proprio il paese della Forza del destino dei pagliacci e di Compare Alfio! e del duettone/». (Questo non gli impediva di aggiungere sedici battute «calde» al duetto del second'atto nella Fanciulla del West, necessarie per «il nostro temperamento tripolino»). -Parli di Fidello/» (Schnabl l'aveva sentito a Vienna). -Che voglia di sentirlo così dato bene! ma da noi la musica non si può dire (?) neanche: è un lusso. E' uno sfregio continuo. E chi si interessa più? fox trot e Giovinezza Giovinezza!». Il Nerone di Boito, altra opera per cui Toscanlnl spiegava tanto zelo, invece di dare altre splendide edizioni delle opere sue, come aveva fatto recentemente per la Manon, per lui era un « bluff». ** In Zandonai, che chiama Ironicamente «l'astro», non ha fiducia -lo ci credo poco perché per vincere e restare bisognano doti speciali che a mio parere non ci sono. Mi sbaglierò? Vedremo». Giulietta e Romeo va in scena a Roma. «Il gran parto fu un aborto - c'era da aspettarselo. Che vuoi? sono 6 le opere e in nessuna c'è il palpito - salvo poche scene di Rimini». La va a sentire e la trova «forse anche peggio» di quanto Schnabl l'aveva giudicata. -Risentii Marat» (Il piccolo Marat di Mascagni). -E' quello che è ma sempre meglio di Giulietta — almeno li c'è una frase (non sua) sono i cieli bigi in piena burrasca ma almeno esaltano... i buoni romani fedeli all'autore — ma nell'altra tutto è sbagliato e inutile —Romeo e Giulietta senza un bel grido d'amore senza larva di tenerezza!». m' Insomma, nessuna musica gli andava fuori della sua, come riconosce in un momento di sincerità, già nell'ultimo anno di vita: «Il mondo non mi svaga più — l'arte è quella che è e soprattutto è quella che faccio io — degli altri non mi interesso perché anche non mi piacciono». Eppure, con tutto 11 suo infantile egocentrismo, che caro, incantevole uomo! «Non è facile essere amato come tei», gli scriveva Schnabl in una delle ultime lettere a Bruxelles, dove aspettava la fatale operazione. E lui stesso, in fondo, pur con le sue gelosie verso i colleghi, non poteva dirsi insoddisfatto: «La mie produzione antica e moderna — scriveva nel 1920 — ho. preso una diffusione enorme quasi direi indecente. Iv~$otnma non si muore di fame — ma per il dio santissimo, il guaio è che invecchio — c bisogna che ricorra a quel professore di Berlino, quello delle Glandule — e se davvero è riuscito io mi faccio rinno- mre"- Massimo Mila Giacomo Puccini: Lettera a Riccardo Schnabl. A curo di Simonetta Puccini. Emme - Il Formichiere, 273 pagine, 14 000 lire. iPMBPffiili Scrive nel 1920 all'amico e segretario Schnabl: «Da noi la musica è un lusso. E' uno sfregio continuo, fox trot e Giovinezza Giovinezza». «Il mondo non mi svaga più. L'arte è quella che è e soprattutto è quella che faccio io. Il guaio è che invecchio»