La bandiera d'Egitto sventola sul Sinai Senza disordini il cambio della guardia di Bernardo Valli

La bandiera d'Egitto sventola sul Sinai Senza disordini il cambio della guardia Un'altra importante tappa del faticoso cammino verso la pace in Medio Oriente La bandiera d'Egitto sventola sul Sinai Senza disordini il cambio della guardia I soldati israeliani se ne sono andati senza cerimonie -1 bulldozer al lavoro sulle case - Restituito all'Egitto «il puro deserto» - 11 ministro della Difesa Sharon: «Non abbandoneremo più altri territori» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GERUSALEMME — Al di là della rete metallica, che segna la nuova frontiera tra Israele e l'Egitto, le bandiere bianco-rosso-nere del Cairo sono state issate prima dell'ora fissata, su alcune case di Rafa. Non per spavalderia. Gli impazienti abitanti della città tagliata in due, per lo più palestinesi, hanno anticipato di qualche ora il ritorno alla sovranità araba, dopo quindici anni di occupazione israeliana. I rari beduini, invece, hanno esposto bandiere bianche, che esprimevano abbastanza bene il loro spirito nomade. Al di là di quella rete metallica, nella Rafa rimasta israeliana, nessuno ha fatto caso a tutto quello sventolio. A mezzogiorno, i soldati israeliani hanno ritirato la loro bandiera bianca e blu e se ne sono andati prima che arrivassero 1 poliziotti egiziani. Niente cerimonie. Ma nessun gesto ostile. Tutto si è svolto con dignità. Cosi, nel Nord, è avvenuto ieri il ritiro degli israeliani dalla penisola del Sinai, conquistata quindici anni or sono, durante la guerra «dei sei giorni» e restituita, In tre tempi, come previsto dal trattato di pace tra II Cairo e Gerusalemme, firmato da Sadat e da Begin, nel 1978. In terri torio israeliano alcuni erano emozionati, non nascondeva' no il disappunto, in certi casi 11 livore. Duecento giovani religiosi erano stati autorizzati dai militari a recitare di prlfmo mattino, un'ultima preghiera tra le rovine di Yamrriit, la colonia israeliana a dieci chilometri da Rafa, distrutta dai bulldozer dell'esercito, per lasciare il deserto «intatto» agli egiziani. Quei giovani si erano raccolti attorno alla piccola sinagoga, il solo edificio lasciato in piedi a Yammit, che le autorità del Cairo si sono impegnate a rispettare. All'arrivo dei poliziotti egiziani al nuovo posto di confine, quei giovani religiosi, allontanati dai militari, hanno recitato altre preghiere. E hanno deciso, 11 su due piedi, di fondare un nuovo partito: «Il ritorno di Israele» (sottinteso, a Yammit. e più generalmente nel Sinai). Una piccola scissione del partito nazional - religioso, che per la verità nessuno ha preso troppo sul serio. Più impegnativo, invece, l'ordine del giorno alle Forze Armate lanciato da Ariel Sharon, il ministro della Difesa, diffuso dalla radio proprio mentre gli ultimi soldati israeliani si ritiravano dal Sinai. Nel suo messaggio, il focoso Sharon ha affermato che Israele ha raggiunto la «linea rossa», ossia che non arretrerà ulteriormente, non abbandonerà altri territori. E' una dichiarazione che implica, in sostanza, l'annessione di latto della Cisglordania e della striscia di Gaza, dove vivono un milione e duecentomila palestinesi. Mentre si applicava, ragionevolmente, il trattato di pace con l'Egitto, il ministro della Difesa si impegnava a violarlo nel futuro. Gli accordi di Camp David prevedono infatti negoziati per arrivare all'autonomia dei palestinesi, che abitano i territori occupati, entro cinque anni. Sharon ha annunciato altresì nuovi insediamenti israeliani in Giudea, Samaria (ossia in Cisgiordania) e a Gaza. E ha aggiunto, sempre rivolgendosi alle Forze Armate: «Il nostro esercito può distruggere una città nostra, ma nessun altro esercito sa rebbe capace di farlo». Egli si riferiva alla città di Yammit, nel Sinai, demolita con i bui ldozer militari, in seguito a una decisione che Sharon avrebbe preso insieme a Begin, senza consultare il resto del governo. E si è subito accesa una polemica sulla questione. Le parole roventi del «falco» Sharon non sono state raccolte come una provocazione, una sfida, dagli egiziani, che per non turbare ulteriormente gli israeliani hanno celebrato senza trionfali-' smi 11 pacifico recupero del Sinai. Un recupero ottenuto da Sadat, che In cambio ha riconosciuto lo Stato ebraico e con esso ha sottoscritto il trattato di pace, distaccandosi dal resto del mondo arabo. Ieri, il nuovo Presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha deposto, al Cairo, una corona di fiori sulla tomba del suo predecessore, assassinato per aver osato tanto. Nella mattina Mubarak ha telefonato a Begin, che stava presiedendo una riunione del governo, per ringraziarlo: «Lei ha mantenuto la parola data». E Begin ha inviato un telegramma alla vedova di Sadat, in cui rendeva omaggio al presidente assassinato. Questi sono stati gli unici gesti di cortesia che hanno riscaldato un ragionevole atto di pace compiuto con grande sobrietà, con sofferta disciplina da parte di Israele e con gioia contenuta da parte dell'Egitto. Nel Sud, a Ofira (da ieri ridiventata Sharm el-Sheik) il generale Aron, comandante della guarnigione israeliana, che per quindici anni ha controllato quell'importante punto strategico sul Mar Rosso, ha pronunciato parole molto sagge al momento dell'ammainabandiera. Ha detto ai suol soldati che non si trattava di una ritirata, ma di una rinuncia che consentirà ai giovani israeliani di vivere in pace. Le dichiarazioni contrastanti, appassionate, dubbiose, ascoltate in queste ore, rivelano il trauma della nazione ebraica. Da Sharm el-Sheik gli Israeliani se ne sono andati prima che gli egiziani arrivassero. La cerimonia dell'ammainabandiera è avvenuta alle 7,45. Verso mezzogiorno sono entrate in funzione le autorità del Cairo. Ed anche la MFO (Forza multinazionale d'osservazione) incaricata del poco Invidiabile compito di far rispettare alla lettera le clausole del trattato di pace nelle zone parzialmente o interamente smilitarizzate. La MFO è composta da 2670 uomini, appartenenti all nazioni occidentali, agli ordini del generale norvegese Fredrik Bull-Hansen, 56 anni, che ha installato 11 suo comando a Eitam, un'ex grande base ae rea israeliana nel Sinai, a 15 km dalle rovine di Yammit. Bull-Hansen conosce bene 11 Sinai, poiché nel 1956 faceva parte delle forze dell'Onu, che non riuscirono mai ad evitare le guerre tra Israele e l'Egitto. I suol «berretti arancione» avranno più fortuna dei «caschi blu» delle Nazioni Unite? II generale norvegese è ottimista, perché questa volta c'è un trattato di pace tra i due Paesi I tre dragamine italiani («Palma», «Mogano» e «Bambù»), con i loro 85 uomini a bordo e una ventina a terra, sono incaricati di pattugliare il Mar Rosso attorno a Sharm el-Sheik. Ieri è cominciata ufficialmente la loro missione. Altri reparti della MFO, con i «berretti arancione», garantiranno la pace in uno dei punti più contestati del Sinai: lo splendido posto turistico di Taba, in prossimità del porto israeliano di Eilat e di quello giordano di Akaba. Taba è uno dei quindici punti della nuova frontiera che hanno richiesto difficili negoziati: 14 sono stati risolti hei giorni scorsi, grazie a compromessi provvisori. Nel complesso, si trattava di qualche metro di sabbia. Per Taba i tempi si sono allungati fino a ieri sera, per motivi commerciali, finanziari, turistici. Non per ragioni militari e diplomatiche. Gli israeliani non vogliono abbandonare 1500 metri di spiaggia e un motel di lusso nuovo fiammante. La discussione è infine sfociata in un altro compromesso, grazie alla mediazione americana. Un compromesso che in realtà lascia tutto in sospeso, poiché è stato deciso di creare una commissione che discuterà il problema del motel e della spiaggia, senza limiti di tempo. Intanto tutto continuerà come prima, ma sotto il controllo dei «berretti arancione» della MFO. Cosi, tra litigi e sospetti, ma in un clima, in definitiva, dignitoso, è stato compiuto un importante atto di paco !n una terra abituata alle guerre. Bernardo Valli