Il sessantenne era un vegliardo ora lo trovi sui campi di tennis

Il sessantenne era un vegliardo ora lo trovi sui campi di tennis Il sessantenne era un vegliardo ora lo trovi sui campi di tennis di Luciano Curino Si dice anziano invece di vecchio e quella che era stata definita vecchiaia adesso è la terza età. Quando è che si esce dalla seconda età e si entra nella terza? Accade sempre tardi. Più si risale addietro nel tempo, più si constata che la vecchiaia era precoce. Per Balzac la donna a trentanni doveva cominciare la vita del ritiro, della rinuncia. Aveva praticamente chiuso, o stava per chiudere. Oggi chiunque conosce ultraclnquantennl dotate di tutto il fascino femminile, desiderabili. Se si guardano i ritratti di persone celebri dell'altro secolo, se si sfoglia l'album di famiglia con fotografie di tre, quattro generazioni, si constata come il sessantenne di allora fosse un vegliardo e quello di oggi un dinamico e ben portante signore, maturo ma non vecchio. Uno che puoi trovare su un campo di tennis. Quelli che adesso ìianno cinquantanni o giù di lì sono crescuti in una casa dove c'era un nonno o una nonna. C'era ovunque, allora, un manifesto pubblicitario dove una vecchina porgeva una tazza di cioccolato a un vecchietto. Si sorridevano, erano evidentemente sereni e felici. Allora ai bimbi pareva naturale che così dovesse essere la vecchiaia. Invece, sovente vedevano che i loro nonni non erano in gamba, sereni e felici come i vecchietti del manifesto, e più che tazze di cioccolato si porgevano qualche medicinale. Di uno che arrivava allora ai settanta, agli ottanta, si diceva che aveva una bella età. Si diceva: «Ha la bella età di ottantacinque anni». Ma quando si andava da quell'uomo con questa età, lo si trovava d'umore amaro o sonnolento, imbronciato o annoiato, afflitto da malattie piccole o grandi. Disturbi della circolazione o bronchite cronica, asma, la cataratta o l'ernia, lamentava dolori reumatici, artrite o artrosi. Sdentato e senza protesi, costretto a nutrirsi di pancotto. Con lui si discorreva di medici, di medicine, di infermità. Al di fuori di questi argomenti la conversazione languiva. Era uno che appariva, tutto sommato, abbastanza infelice, e non si capiva perché dicessero che aveva una bella età. C'erano anche ottuagenari forti come vecchie aquile e pieni di saggezza, e ottuagenari con spirito incantevole. Erano vecchi suggestivi. Ai primi del secolo, quando l'età media della sopravvivenza era assai più bassa di quella di oggi, questi vecchi solidi come querce rappresentavano la vittoria della vita sulla morte. Erano ammirati, venerati, soprattutto perché ognuno sperava che così sarebbe stata la propria vecchiaia. ** Facilmente si ritiene, oggi, che due o tre generazioni fa i vecchi fossero tutti grandi e magnifici vecchi, tutti patriarchi ascoltati e ubbiditi, che ancora amministrassero, dirigessero, punissero, premiassero. Che in loro st riconoscesse l'unità della famiglia. Ma questa è un'immagine parecchio letteraria. Un uomo pieno di anni e di saggezza, Arturo Carlo Jemolo, ha detto che non bisogna avere una visione idilliaca di un passato che ha avuto le sue ferocie. Se leggiamo La terre di Zola e certe novelle di Maupassant, non abbiamo ragione di invidiare i vecchi di cento anni or sono. La vecchiaia non era soltanto più precoce, ma anche più indifesa e sofferente. In una società prevalentemente agricola, il vecchio in campagna troppo spesso era un «tiranno» o era tiranneggiato. Dal passaggio da una società agricola a forme di vita industriale, la famiglia patriarcale (nonni, padri, nipoti) è stata sostituita dalla famiglia coniugale (genitori e figli), e il vecchio ha perduto l'autorità e il prestigio che gli derivava dall'esperienza. Non essere più ascoltati, notava Camus, è la cosa terribile quando si diventa vecchi. Si esce di casa e la meta è la panchina del parco. Questo accade oggi, ma anche cinquantanni fa. Olà allora un medico che conosceva bene la condizione degli anziani, diceva: «Non Invecchiate se siete poveri Non invecchiate o vi tratteranno come una vecchia scarpa». Non soltanto cinquantanni fa, ma è sempre stato così. Catone, che era benestante, tesseva per i suol educati ascoltatori l'elogio alla vecchiaia. Ma il grande e venerato ipocrita doveva poi ammettere che «nell'estrema povertà la vecchiezza non può essere lieve nemmeno a un savio».

Persone citate: Arturo Carlo Jemolo, Balzac, Camus, Catone, Luciano Curino, Maupassant