Povero tifoso, nessuno sa quanto patisce le partite di Gian Paolo Ormezzano

Povero tifoso, nessuno sa quanto patisce le partite Povero tifoso, nessuno sa quanto patisce le partite L'angoscia da sport è una delle più note o chiacchierate, nonché — pare — anche delle più colpevoli. Non c'è infatti angosciato sportivo che non cerchi di presentare il proprio problema come una scelta, un hobby, un rito. Scelgo di essere angosciato anche perché non ho altro di meglio da fare, al momento: ma sia chiaro che è tutto un gioco. L'angoscia da sport appartiene e al voyeurs, chiamati anche spettatori, e agli atleti, chiamati anche attori. Non sempre c'è legame fra gli uni e gli altri. Talora gli spettatori provano un'angoscia che gli attori manco conoscono. Tipico il caso di ieri, la partita di calcio tra Fiorentina-Juventus, con spettatori tesissimi, angosclatissimi, e attori alle prese con una routine che, quella volta, e per pressioni esterne, aveva la «erre» maiuscola, niente più. Talora invece gli attori vivono un'angoscia della quale gli spettatori non sanno nulla: o hanno motivi tutti loro, la parola è comprata, è venduta, è assurda, è incerta per cause speciali, è di scrittura criptica, per gli addetti ai lavori, o semplicemente hanno dovuto accettare di giocare al gioco dell'angoscia, per ragioni lmper- scrutabill, può bastare un'alzata di sopracciglio da parte di un dirigente al nome di un arbitro. C'è un abbastanza celebre calciatore italiano che vive ogni vigilia di partita spendendo migliaia e migliaia di lire a quel giochetti elettronici chiamati videogames: dice che gli acuiscono i riflessi, ma in realtà gestisce cosi, con un videoagitato, con un sound fra Stockhausen e Cage, la propria specialissima angoscia. Sono pure previsti e abbondantemente inquisiti momenti liberatori di quest'angoscia. Parliamo, chiaro, sempre dello sport: la crassa risata popolare, il ridicolo infortunio atletico, la vistosa cretinata arbitrale, molte sono le opportunità di liberare dall'angoscia e chi la vide e chi la fa vivere. Le cronache sportive, mica soltanto calcistiche, abbondano In narrazione di sfi-1 de esorcizzate, dimensionate da repenti fatti speciali, come appunto il sospiro liberatorio, 11 curioso accidente, il relax umoristico. Ecco: l'angoscia ufficiale del tifoso e del competitore, della massa corale e del singolo interprete, in realtà è angosciosa specialmente per chi deve Inquisirla, per chi deve sportivamente e giornalisticamente gestirla: sempre con la paura di trovarsi a serrare un troppo o un niente. Righe, articoli, pagine su un'angoscia individuale che è da copione, su problemi che il bipede-campione, provvisto di denaro e sicurezza, manco conosce, anche se vengono presentati come suoi. Oppure im medeslmazlonl preoccupate in una folla che poi si rivela tutta diversa dal previsto, ospita magari una violenza improvvisa e misteriosa, oppure si concede a cavalleresche dolcezze. L'angoscia, insomma, l'abbiamo in gran parte inventata noi: per lo meno nelle sue forme più spettacolari, pubbliche. Nelle forme sottili, no: anche perché non ne sappiamo niente. Abbiamo sempre avuto paura di affrontarle. Ohi per caso si è trovato alla partenza di una maratona olimpica, allora si che ha visto e palpato l'angoscia. Ma si è ritratto da essa, troppo difficile da narrare, da mettere per iscritto, troppo trafficata da risvolti, substrati sottintesi. Lo stesso per chi, casualmente o no, ha contattato l'angoscia autentica del tifo¬ so, non quella da copione, non quella collettiva. Fatta magari di amore contorto per una squadra, di paura dello sfottò In ufficio, di problemi per spiegare alla donna come mai le si sottrae quel tempo festivo. Sondare, spiegare quest'angoscia appare, oltre che difficile, quasi blasfemo. Un'angoscia che è una proprietà, un patrimonio di ognuno. Ma al tempo stesso ognuno la serra bene accanto, dentro di sé, non la esibisce. Molti hanno scritto la tristezza o la gioia delle tifoserie, nessuno l'angoscia spic¬ ciola del tifoso. Trattasi di uno degli ultimi giardini o delle ultime giungle dell'uomo. Per questo nello sport si parla sempre di folla e mai del singolo: quando pure quello del ragionier Pautasso che patisce una partita e le rifila immani problemi suoi di vita, le impone compiti di soluzione esistenziale, sarebbe un problema affascinante. Ma anche Freud va allo stadio per studiare la folla, non Pautasso che. proprio nella folla, è più che mai se stesso, cioè solo. Gian Paolo Ormezzano

Persone citate: Cage, Freud, Pautasso, Stockhausen