L' Orologio è un ottimo spettacolo ma non salva il testo di Miller

L' Orologio è un ottimo spettacolo ma non salva il testo di Miller Al Carignano il dramma allestito dallo Stabile di Genova, regista Petri L' Orologio è un ottimo spettacolo ma non salva il testo di Miller TORINO — Ne L'orologio americano, da martedì al Carignano, nell'allestimento del Teatro di Genova, regia di Elio Petri, Arthur Miller mette in scena il duro quadriennio della depressione americana, dal "29 al '33, da Hoover a Roosevelt, affidandone la rievocazione al giovane Lee Baum, che ora fa il giornalista sportivo, ma all'epoca della crisi era il rampollo quattordicenne di un'agiata famiglia della borghesia ebrea newyorkese. La storia della famiglia Baum si intreccia di continuo con le vicende travagliate dell'America degli anni bui: finanzieri che si suicidano, contadini che si fanno giustizia da sé, vagabondi e disoccupati, e giovani, molti giovani, frastornati e trepidanti, sfrontati e sgomenti dinnanzi al cieco tunnel del proprio futuro. L'intreccio dei due racconti, pubblico e privato, è volutamente discontinuo: non importa il nesso tra sequenza e sequenza quanto il disegno complessivo, il puzzle che viene a darsi ordine nel suo stesso crescere. E l'impressione fi- naie è quella di avere sogguardato un vasto affresco murale, a pennellate rapide, ampie, di cui prima intravedi il disegno di fondò, pòi, quasi avvicinandoti, scorgi anche i personaggi minori. Il copione, insomma, ha una sua corposa presenza e lascia affiorare i temi più gelosi di Miller dal 1947, anno del suo lontano esordio, ad oggi: la fatica del vivere, la famiglia come nodo di affetti ma anche di contrasti laceranti, la nostalgia di un mondo sereno e innocente che non potrà tornare più. Ma il pùnto è proprio questo: il signor Miller ha tutti i diritti di scrivere nell'estate 1980 un dramma nel più puro stile documentario-intimistico, un dramma, insomma, d'una sconfortante ortodossia postnaturalistica, come se, dal 1947 in poi, sulle scene non fosse succèsso nulla: ma noi abbiamo anche il diritto di sapere che da allora, a teatro, sono successe tante cose, e di dichiarare a tutte lettere che quel modo di scrittura sociologico-sentimentale ci è divenuto, nel frattempo, intollerabile. Non a caso lo spettacolo — che preso a sé, come se andassimo a teatro per la prima volta, è di buonissimo livello — in realtà, è tutto volto a 'rincorrere- il testo, cioè a rimediare al tono risaputo e vecchiotto della prosa milleriana. Rincorre il testo il regista cinematografico Elio Petri, al suo esordio nella prosa, chiudendo l'incessante proliferare di situazioni e personaggi in una sola immagine scenica, una New York di rossi mattoni, con i grattacieli sullo sfondo, ma come dietro un velario (scene di Dante Ferretti): e, in primo piano, a delineare i vari ambienti, piazza oggetti vistosamente ingranditi (un paravento liberty, un immenso frigorifero, un juke-box d'epoca}. Gli attori sono bravissimi (senza offendere nessuno, que-

Luoghi citati: America, Genova, New York, Torino