La ricetta Kadar per l'Urss di Frane Barbieri

La ricetta Kadar per l'Urss La ricetta Kadar per l'Urss Viaggio attraverso il comunismo, dopo la Polonia un'isola tranquilla L'attaccamento a Mosca, oltre ad una scelta coatta, è divenuta per gli ungheresi una scelta ragionata • Il successo della riforma degli Anni 60 ha trasformato il declino della nazione nella sua rinascita - Politici ed economisti, sentendosi in un primo momento intrappolati nell'impero socialista, hanno finito con il sentirsi alla sua avanguardia e non esitano a dire: «Nel futuro dell'Urss e degli altri Paesi dell'Est sta il nostro modello» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BUDAPEST — Dopo tanti anni mi prende un forte dubbio: o tutti ci siamo sbagliati sul conto dei magiari o nel frattempo sono profondamente cambiate la posizione e la mentalità storica degli ungheresi. Quando usavano gli slogan leninisti o quando giuravano sull'eternità dell'alleanza con l'Urss pensavamo che barassero abilmente. Si credeva: vogliono calmare i sospetti di Mosca per poter inseguire meglio il proprio autonomo disegno riformistico. Mai una festa nazionale era apparsa cosi mendace come quella che in Ungheria si celebra ai primi di aprile. Intonando inni sovietici e ungheresi si festeggia l'anniversario dell'entrata delle truppe sovietiche del maresciallo Tolbuhin a Budapest. Un'occupazione che poi è diventata anche duplice (riconfermando nel '56 quella del '44) passa come il giorno più solenne della libertà nella storia di una nazione che può mancare di tutto tranne che di una storia solenne. Prendevamo tutto come una ben dipinta facciata internazionale dietro la quale doveva svolgersi una disinvolta vita nazionale. La porta adornata aperta verso Mosca sembrava camuffare il traffico sempre più intenso che passava dalla disadorna porta posteriore verso l'Occidente. Mentre i polacchi contrastavano i sovietici in modo enfatico e irrazionale, ai limiti dell'autodistruzione, pareva che gli ungheresi avessero preferito gabellarli, rinsaviti dopo il trauma di una rivolta sol focata. Durante l'attuale visita mi viene il dubbio, appunto, che questo giudizio tanto ovvio fosse in fondo sbagliato. Non si tratta dell'opportunismo di chi si è scottato già una volta, non si tratta dell'amara rivelazione che l'ipoteca dell'Urss sia indissolubile, non si tratta della rassegnazione di un popolo di fronte alla propria malasorte geopolitica. O forse in precedenza si trattava di tutto questo, ma oggi mi pare che i complessi rapporti ungaro-sovietlcl siano sfociati in una qualità nuova: al di là dell'inganno si intravede la convinzione. E non credo che gli ungheresi, cercando di ingannare i sovietici, abbiano finito con l'ingannare se stessi. Il modo di vivere e anche di pensare degli ungheresi rimane diverso da quello dei sovietici. Restano uguali solo gli slogan e le costruzioni ideologiche improntate al leninismo. Tuttavia, il riferimento all'Urss. le professioni di fedeltà risultano sempre meno coatte o calcolate. Nell'impero ideologico è venuto man mano a galla che la metropoli piuttosto paga i suoi domini invece di sfruttarli. L'imposizione è politica e strategica, ma in cambio è l'Unione Sovietica a pagare il prezzo in campo economico. Il paneconomismo dominante nel modello e nel modo di pensare ungheresi non ha potuto che portare ad una riconsiderazione del rapporti con l'Urss anche in questo senso. Sono queste più o meno le premesse del sillogismo esistenziale dei magiari: l'Ungheria è un Paese costretto ad importare tutto, l'energia e le materie prime, da trasformare in valori esportabili. Nella sua economia è determinante l'abilità di produrre e quella ancora più spiccata del vendere. Tre quarti del reddito nazionale sono legati al commercio estero. Il ciclo comincia dall'Urss, che fornisce tutto il petrolio e tutte le materie prime necessarie, si evolve nelle industrie ungheresi che valorizzano tutto In prodotti elaborati, i quaii poi vengono esportati nell'Ùrss, per coprire il costo delle forniture, e verso l'Occidente, dove servono per l'acquisto delle tecnologie avanzate e la realizzazione del profitto. L'Urss si è rivelata In questo ciclo un fattore sempre più determinante. Non solo garantiva l'afflusso vitale di energia e materie prime, per le quali nell'attuale congiuntura mondiale gli ungheresi non troverebbero alternative, ma è servita anche come un mercato di scarico stabile dove l'economia ungherese riversava i residui non vendibili e non venduti in Occidente. La perfetta macchinetta dell'economia ungherese è risultata cosi efficiente in quanto disponeva di un retroterra tanto solido quanto sterminato: le riserve naturali siberiane e il mercato sovietico, da cui proveniva la stabilità dei rifornimenti e la possibilità di scaricarvi tutti gli insuccessi qualitativi e le eccedenze. ..,quan.titatiye . registrati sui mercati occidentali. Mosca in più sovvenzionava in un primo tempo l'economia ungherese nella fase di decollo (in cambio della pacificazione) e ancora oggi applica un trattamento preferenziale nei prezzi del greggio e delle materie prime, che si calcolano in base alla media mondiale del quinquennio passato. Con l'economia mondiale terremotata, la minuscola barca magiara sarebbe stata, esposta a molte più incertezze i senza il potente ancoraggio sovletico. Di conseguenza, spaziando in Occidente, da dove si assicurano i livelli tecnologici e lo standard civile, gli ungheresi si curano più che mai di non compromettere o magari restringere i legami con il retroterra sovietico. L'attaccamento all'Urss. oltre ad una scelta coatta, diventa anche una scelta ragionata. Nelle menti degli ungheresi ci sta piuttosto il nazionalismo che il socialismo, ma sono giunti alla convinzione che la nazione ormai può esprimersi e salvarsi soltanto nel socialismo. Cosi non gli è rimasto, più che adattarlo alla propria nazione, che renderlo vivibile. Risultato conseguito semplicemente capovolgendo certi ordini di valori dogmatici. Come dice il professor Berend, la riforma degli Anni 60 ha fatto «crollare l'idolo» dell'accumulazione e degli investimenti. Al posto dei fondi statali l'obiettivo centrale è diventato l'aumento del red dito della popolazione.«Si è fatto valere il primato dei sa- lari reali e dei consumi invece di misurare l'incremento del socialismo in base agli alti tassi di accumulazione centrale». Sono sorte subito le polemiche sul «socialismo del frigorifero» e le contestazioni alla «piccola borghesia» che avrebbe imposto il suo modo di vivere. In fondo si trattava per certi versi di trasformare gli operai in borghesi e non i borghesi in operai. Il colpo cecoslovacco ha fatto arrestare i primi slanci riformistici anche perché le stesse imprese ungheresi non erano in quell'epoca ancora pronte ad affrontare certi rischi. Me lo spiega il direttore del piano, Szepessy: «Non si era previsto che ci volesse molto per creare uno spirito imprenditoriale, i dirigenti aziendali preferivano essere tutelati dallo Stato, gli operai intendevano il socialismo come salario uguale e non come uguali possibilità». Cosi la riforma era rientrata e il suo ideatore Nyers doveva uscire dal Politburo. Oggi slamo al rilancio e il nuovo riformismo viene ispirato dallo stesso Nyers (rimasto a far parte del Comitato centrale) nella sua veste di direttore dell'istituto economico dell'Accademia. Di fronte all'imperversare della crisi mondiale, con una bilancia dei pagamenti deteriorata, si è deciso di ritornare al concetto degli Anni 60, cioè di cercare l'uscita dalla crisi procedendo avanti sulla via riformistica invece di arroccarsi nel dirigismo burocratico. Le imprese acquistano cosi più autonomia: «Siamo oggi un'azienda autonoma che cerca di realizzare il profitto» mi spiega il direttore di un grande cantiere. Per renderli più mobili vengono sciolti i grandi trust, ossessione del socialismo, e si punta su aziende medio-piccole capaci di inserirsi agilmente nei ..buchi» del mercato mondiale. Ai pensati jumbo-jet socialisti, che non riescono a decollare, gli ungheresi hanno preferito i leggeri e mobili piccoli aerei capaci di volare e atterrare come vogliono. Si stimola la fondazione anche di cooperative dei privati, fino a quindici soci, per agevolare le iniziative, coprire le lacune nei servizi, ma oltretutto per impegnare nelle attività economiche i rispaimi privati. Operano già sette imprese miste a capitale ungaro-occidentale. I prezzi diventano sempre più liberalizzati, ma all'interno possono aumentare o devono diminuire solo ai livelli dei prezzi conseguiti sul mercato internazionale (prima si caricavano all'interno per compensare le perdite all'esterno). Anche la media del prezzi del consumo deve attenersi alla media dei prezzi di produzione senza sovvenzioni che stravolgono 1 bilanci. Applicando o «simulando» i prezzi mondiali il fiorino raggiunge un corso unico e variabile secondo l'andamento del mercato. «Ci criticano che eliminiamo il mitico piano — dice Szepessy —, ma non si trat- j ta di questo, passiamo agli strumenti economici in sosti- i Rrpione delle direttive amministrative. Se l'eliminazione delle tabelle significa la fine del plano allora il piano non c'è più, ma noi vogliamo che il piano esprima i complessi in- \ teressi sociali, che rimanga non degli economisti ma aper- ! to agli impulsi della base eco- nomica nazionale e mondia- le». L'economista Kozma lo spiega in altri termini: «Vo- gliamo sostituire alla piramide un sistema a cerchi concentrici». Per uscire dagli steccati autarchici, l'Ungheria intende associarsi anche al Fondo monetario ed alla Banca mondiale. E' una sconfessione dell'ideologia del Comecon, che pretendeva che l'economia mondiale fosse spaccata in due economie: quella socialista e quella capitalista. Gli ungheresi la scoprono tutt'unica. come per loro è tutt'unica anche la crisi mondiale. Ciò non toglie che «la nostra base rimane il Comecon» ma che, anche forti di questo retroterra, ci si «deve integrare nelle correnti mondiali». Anche perché 11 mercato del Comecon «diventa sempre più duro» risentendo della congiuntura mondiale, mentre le valute forti e i crediti si trovano pur sempre in Occidente (gli scambi ungheresi si mantengono più o meno sul 50 contro 50 per cento fra Est e Ovest, con un lieve attivo in Occidente e deficit in Oriente). L'economia ungherese vive sul mercato mentre quelle degli altri Paesi socialisti muoiono sul mercato. Malgrado ciò 1 magiari insistono nel dire che tutto quello che applicano «si rrofa in Lenin». Il meccanismo ungherese non sarebbe che una variante del famoso Nep leniniano, questa volta applicato e riuscito, mentre nell'Ùrss lo avrebbe interrotto il nascente stalinismo. Mi dice l'accademico Bognar: «Storicamente la nazione per la prima volta può dire di aver raggiunto un successo-. Infatti dalla famosa rivoluzione repressa del 1848, al crollo della Repubblica rossa del 1919 e all'instaurazione della dittatura Horty, in sostituzione al defunto impero austro-ungarico, alla sconfitta nell'ultima guerra e al soffocamento dell'insurrezione dei 1956, non si registravano che disfatte (compensate solo con la vittoria sui campi sportivi). Ora per la nazione degli eterni sconfitti il successo viene da uno dei disastri nazionali più traumatici. Il socialismo si presentava come il declino della nazione e Kadar lo ha trasformato nel suo risorgimento. Cosi succede che gli ungheresi, sentendosi in un primo momento intrappolati ! **-!? "teste d uovo nell'impero socialista, finiscono con il sentirsi alla sua avanguardia. Dal ministro Veress allo stesso accademico Bognar. dall'economista Cozma all'ideologo del partito Renyi mi assicurano che nel futuro dell'Urss e degli altri Paesi dell'Est sta un rilancio del riformismo alla magiara. Bognar: «I limiti di tolleranza dell'Urss si stanno allargando: l'Ungheria ha il suo modello economico, la Germania democratica acquista la sua mentalità nazionale e l'efficienza che tutti invidiamo, la Romania ha acquisito non voglio dire ette cosa, la Bulgaria si sta pure differenziando, la Polonia non si sa dove vada ma sarà diversa. Mosca sta imparando a convivere, e se finalmente lo imparerà saranno per tutti grossi passi in avanti». Il collega giornalista Renyi, vicecapo redattore dell'organo del partito e membro del Comitato centrale, è pronto a scommettere che dalla crisi attuale nascerà un rilancio delle riforme: «Nei pensieri dei ìnoscoviti vedo molti movimenti,,. Sostiene anzi della Ca¬ sa Bianca abbiano deciso di forzare la corsa strategica in quanto allarmati della prospettiva riformistica nei Paesi dell'Est. Bognar vede i peri- 0011 nei -dogmatici e conscr ™tori d'ambedue le parti, i auali nelle differenziazioni ri tomistiche vedono segni di decadenza, ma adattarsi alla D'te non è decadenza. Perciò 0H um emano di bloccare le riforme e gli altri imperversano pensando che siano la fine del socialismo». Curioso il giudizio d: un membro del governo: «Se gli occidentali ci costringeramio a risolvere più problemi di quelli attuali, dai quali non abbiamo la certezza di uscirne, e se ci mettono in condizione di non proteggere la situazione e lo standard attuale, si apriranno le porte al dogmatismo». Si dichiarano allarmati perché, mentre «la bilancia con i Paesi del dollaro cresce spettacolarmente, il mercato incomincia a chiuderci non solo per motivi economici ma anche per disegni politici,. Non soltanto a Mosca quindi, ma anche in Occidente si risolve in definitiva la sorte del riformismo socialista. Anzitutto per l'Ungheria. Così si spiega un anti reaganismo esacerbato che incontriamo in tutti gli ambienti di Budapest. Si spiega in questo modo anche la strana combinarle»"* ne di Kadar il quale in una sola volta riceve la visita di Jaruzelsky e va a visitare Schmidt. Da un lato si preoccupa che le riforme non si blocchino a Varsavia in un rigurgito autoritario e dall'altro cerca di agganciarsi a Bonn per non vedere sfumare la componente occidentale del ciclo economico vitale per le riforme ungheresi, anche se radicato nel retroterra sovietico. Convertiti al socialismo, gli ungheresi hanno distrutto però l'utopia socialista. Mi raccontano che Kadar. nel momento in cui si varava il disegno della nuova riforma economica, ammoniva: «Attenzione, non dobbiamo credere di aver escogitato uva medicina ideologica miracolosa. Non scordatevi die oltre la riforma e l'ideologia bisogna, pure lavorare». E il segretario dei sindacati Solyom, quando gli chiedo cosa li differenzia da Solidarnosc, mi risponde«Noi pensiamo che si possa distribuire soltanto quello die si è prodotto». Di Kadar si disse, fra tanti giudizi contrastanti, che in fondo non era altri che un abile e malleabile proconsole sovietico. Infatti, ha convinto la propria nazione dell'ineluttabilità dell'alleanza con l'Urss. Ma ha saputo manipolarla a tutto vantaggio degli ungheresi. Frane Barbieri Budapest. Una delegazione del poup e del governo polacco, guidala dal generale Jaruzelski, è in Ungheria per colloqui di carattere economico. Nella telefoto Ap. Janos Kadar. primo segretario del partito comunista ungherese, dà il benvenuto al premier polacco