Madeleines dalla Sicilia di Nico Orengo

Madeleines dalla Sicilia DUE LIBRI SU ANTICHI DETTI E MESTIERI Madeleines dalla Sicilia Ci sono luoghi che resistono nella memoria a dispetto di qualsiasi scempio urbanistico o inevitabile trasformazione: sono i luoghi dell'infanzia, della periferia, del paese. Sono i luoghi di formazione, di appartenenza, quelli lontani dalle città, dove più affondano le nostre radici originarie. Ma queste «rovine perdute della memoria», oggi non chiedono più di essere vissute come struggenti madeleines proustiane, soddisfatte del ricordo ma dimentiche della loro pasta, della profondità reale del ricordo stesso. Il nome di una collina, di un muro, di un grumo di case, di un'erba, il grido di un vecchio mestiere, di un modo di dire, di un proverbio o una ninna-nanna, di un soprannome costituiscono i profili di una geografia lontana e il più delle volte dialettale che, se ricordata, pronunciata sanguignamente, aiutano 1 oggetto stesso a non sbriciolarsi nella dimenticanza, nell'abbandono. Ci provano due scrittori di oggi, assai diversi fra loro, ma entrambi della stessa terra: la Sicilia. Sono Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, l'autore che l'anno scorso sorprese lettori e critici con il suo primo romanzo, vincitore al «Campiello», Diceria dell'untore, una straziante metafora della malattia. Pubblicano da Sellerio due libretti che potrebbero essere uno solo, o i volti diversi di una stessa medaglia: Kermesse di Leonardo Sciascia e Museo d'ombre di Gesualdo Bufalino. Sciascia, nelle sue pagine, ha steso le voci dei proverbi, modi di dire, soprannomi, della sua Recalmulo; Bufalino i vecchi mestieri, i personaggi stravaganti, i luoghi, ma anche proverbi e saggezze della sua Co mi so. Ha scritto il grande narratore argentino Jorge Luis Borges: «Ho l'impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato». Ed è sotto quest'ottica che Sciascia e Bufalino, ognuno interrogando il proprio passato, riscoprendo voci e volti dimenticati o mai guardati in profondità, si riaccostano al «ventre caldo» del loro paese, il perimetro di quella che è stata la loro terra d'esperienza. E la melanconia di fronte al «presepe» viene smorzata dalla fatica di '^recuperare alla luce gli '.chi e i suoni più nascosti, le immagini sepolte fra le macerie della dimenticanza. Sciascia ricorda frasi lapidarie che dietro e dentro contengono su di secoli, aspre e violente, frasi che in una riga riassumono magari vite di più generazioni, lotte fra paesi, codici di comportamento. «Si pò riviri 'ntre un bicchieri d'acqua:> : si può bere dentro un bicchiere d'acqua. E' la bellezza femminile diversa, non bruna, non formosa, quella bionda e fragile, senza inganni: la donna dei padroni, quella da guardare di lontano, quella che accompagnava gli ingegneri minerari inglesi nell'epoca napoleonica. «Quantu è laida la vista di l'uocchi»: quanto è brutta la vista degli occhi. Quanto è brutto vedere tutte le cose belle e buone che non si possono avere. Espressione che viene dalla povertà che incolpa gli occhi di far vedere ciò che mai si potrà avere mai. «Sunari», suonare. E' fare all'amore, una metafora poetica che ne richiama all'opposto un'altra: «tignane, intraducibile ma che evoca la tigna, la malattia che rode e straccia la pelle. Bufalino inizia il suo libro con una galleria di mestieri: il lampionaio, il venditore di lupini, l'aggiustatore d'ombrelli, la venditrice di sanguisughe, lo scorticatore di cani senza padrone, di vecchi muli. E prosegue elencando gli angoli del suo mondo contadino scomparsi: ^abbeveratoio, vecchi cinematografi, vigne, orti, grumi di case. Nel teatrino della memoria di Bufalino i luoghi immaginari e reali si intrecciano: castelli di un reame fantastico e pozze d'acqua nascoste dai carrubi, volti di ragazze e canzoni degli Anni 30, personaggi come Raffaele Zanghi, Mister Garden, Padre Flaccavento, Filippo Cacaghiande, eroi balordi di paese, donchisciotti teneri, custodi di cimiteri sempre in vena di burle, bibliotecari in lotta con i topi, sognatori di Americhe lontane, lottatori di sogni. Con Kermesse e Museo d'ombre, Sciascia e Bufalino redigono non con l'occhio dell'archeologo ma con quello stregato della memoria un catalogo di documenti da riimmettere nel quotidiano di oggi, una nuova carta che vada a sovrapporsi con intelligenza e sentimento a quelle polverose e lacere del catasto di ogni «storia locale». Nico Orengo

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