Schmidt il Cancelliere prigioniero dell'Europa di Aldo Rizzo

Schmidt il Cancelliere prigioniero dell'Europa CHI E' DI SCENA Schmidt il Cancelliere prigioniero dell'Europa Ai vertici europei c occidentali, sotto la pioggia di Dublino o il sole estivo di Ottawa, nelle sale di Palazzo Barberini o della Lancaster House, Helmut Schmidt era da anni (da otto anni, cioè da quando è Cancelliere della Repubblica federale) un simbolo rassicurante, un'immagine di solidità, ad uso non solo tedesco. Piaceva il suo arrivo, meglio se d'inverno, col corto impermeabile bianco e il celebre berretto a visiera dei portuali di Amburgo; piacevano le sue conferenze stampa, frasi energiche fra sigarette e sorrisi e qualche battuta, la sicurezza tedesca ammorbidita (o resa più convincente) da tocchi, come dire, fuori catalogo, di umanità. Ma ora, e non proprio da ro, Schmidt è in difficoltà, sua immagine rassicura e conforta assai meno: anzitutto in Germania, a giudicare dalla nuova e più dura sconfitta nelle elezioni regionali della Bassa Sassonia; ma anche, e parecchio, in Europa, pensando alle frasi quasi sconsolate da lui dette all'ultimo vertice di Bruxelles, circa le prospettive della Comunità. Anche la sua salute, a 64 anni, non e quella di un tempo, e la forzata astinenza da piccoli piaceri o peccati della vita, per esempio il fumo, non aiuta l'umore. Eppure i suoi esordi come Cancelliere (all'indomani delle improvvise dimissioni di Brandt per l'affare del segretario-spia) coincisero con la crisi forse più acuta del dopoguerra europeo (a parte il dopoguerra immediato): quel 1974 che vide l'esplosione dei prezzi petroliferi, la grande paura energetica, il sospetto quasi di un «anno zero» per l'Occidente industrializzato. Non era dav vero tempo di ottimismi, o forse lo era, come antidoto al la disperazione. Come ministro delle Finanze, prima di diventare Cancel licre, Schmidt aveva vissuto il fenomeno di un'incipiente di sgregazione europea e occi dentale, di un accavallarsi di tentativi nazionali di salvarsi «chacun pour soi». Un altro te desco, che però era segretario di Stato americano, Henry Kissinger, aveva convocato Washington, per combattere questa tendenza, una conferenza dei «grandi consumatori» di petrolio, e Schmidt gli aveva dato tutto il suo appog gio. Fu memorabile, nella capi tale degli Stati Uniti, lo scon- il Htro tra il ministro di Bonn e capo della diplomazia francC' se, quel Michel Jobert che po doveva convertirsi al mitter randismo e che allora era la punta di diamante del post-gollismo anti-americano. Jobert, al suo rientro a Parigi, disse ai giornalisti: «Schmidt ha dimostralo che, tra l'Europa e l'America, il suo cuore ha già scelto». In realtà Schmidt non ave va fatto di queste scelte, ma aveva constatato come fosse assurdo, per gli europei, ir quel momento e in quelle cir costanze, dissociarsi e anzi mettersi contro gli Stati Uniti. Come tedesco, e soprattutto come tedesco, sapeva contem poraneamente che il suo Paese era un fattore decisivo di ogni costruzione europea e che altrettanto decisivo era il persi stere della «garanzia» americana, nei termini vitali della sicurezza e dell'equilibrio strategico. In quest'ottica complessa, si sarebbe mosso come Cancelliere, sicuro di sé e delle sue ragioni. Lo confortavano anche o sopratrutto le condizioni dell'economia tedesca, che mostrava di non risentire più che tanto delle circostanze mondiali: l'inflazione più bassa di rutto l'Occidente e la macchina produttiva sempre su di giri, sullo sfondo di quella relativa «p3ce sociale», che il modello socialdemocratico aveva) promesso e ottenuto, dopo gli anni «liberisti» di Erhard. La forza economica gli dava credibilità politica anche sul piano strettamente europeo: se gli altri parlavano di Europa, la Germania federale se ne accollava più di tutti le spese, nell'ambito della Comunità. Quando comincia una certa metamorfosi? Il primo episodio che viene in mente si riferisce al vertice di Londra dei sette maggiori Paesi industrializzati, nel 1977. Ricordo un'improvvisa conferenza stampa del portavoce tedesco per smentire alcuni giudizi alzi' qtcvtsaslnstudGadcpcQgcgg quanto drastici, che erano stati attribuiti a Schmidt, circa la capacità di governare del nuovo presidente americano, Carter. Avemmo tutti l'impressione netta che, al di là dei daletterali (ciò che Schmidt aveva veramente detto, del resto in un convegno informale) e di quelli diplomatici (la necessità di smentire), qualcosa stesse cambiando nella politica di Bonn. Carter, col suo moralismo un po' dilettantesco, aveva introdotto un nuovo elemento di rigidità nelle relazioni Est-Ovest, proprio quando la Germania, pur restando legata agli Stati Uniti dal vincolo della sicurezza militare, si accingeva a esplorare tutte le possibilità pratiche della politica di riconciliazione con i vicini orientali («Ostpolitik»). Quella politica, avviata da Brandt, Schmidt l'aveva proseguita, integrandola con un rapporto privilegiato col francese Giscard, a sua volta epigono moderato e pragmatico del nazionalismo «franco-europeo» di De Gaulle e Pompidou. E fra le possibilità pratiche della «Ostpolitik» c'erano anche, in primo piano, quelle economiche ...e,, commerciali», tanto, piùpnei.momento inicui la resistenza tedesca alla crisi generale mostrava le prime crepe, di carattere recessivo. Da allora, è stato un progressivo deteriorarsi, o almeno complicarsi, del rapporto tedesco-americano, fino alle incomprensioni aperte del dopo-Afghanistan e del dopoPolonia, mentre a Washington si passava dalle rigidità ideologiche o addirittura religiose di Carter a quelle strettamente politiche (e apparentemente più spregiudicate, ma altrettanto contraddittorie) di Reagan; e, naturalmente, mentre a Mosca ci si provava con successo a sorvolare sulle une e sulle altre, inseguendo obiettivi di potenza insieme difensivi e offensivi. Ma, tutto questo, senza che in Schmidt e nella politica di Bonn si aprisse per reazione una vera «campagna europea». Anzi, essendo succeduto a Parigi il socialista Mitterrand al conservatore Giscard, si appannava paradossalmente il rapporto franco-tedesco. Si è complicato anche il quadro interno della Repubblica federale, nel senso di una crescente recessione economica e di segni d'instabilità o stanchezza dell'elettorato socialdemocratico, e Schmidt ne ha tratto la convinzione, esplicitamente e persino a ostentatamente detta Bruxelles, che è giunto il momento, per ciascuno, di pensare essenzialmente a se stesso. «Chacun pour soi». Il «caso Schmidt», a questo punto, rischia di diventare il caso più importante e rappresentativo di un'insuperabile, di un'insuperata contraddizione europea, oltre che il caso di un ripiegamento personale, sotto la spinta delle circostanze. E' un caso che si gioca, che si risolve, in un senso o in un altro, in una serie di scadenze del calendario politico tedesco: il congresso del partito socialdemocratico a Monaco, le elezioni ad Amburgo (dove il Cancelliere è nato, ha fatto il liceo e si è laureato in economia, e ha anche diretto l'ufficio per il traffico, prima di diventare deputato) e le elezioni in Assia. * * ancora ottimista sul futuro politico di Schmidt pensa alle difficoltà, nel suo e Chi è \\fe negli altri partiti, di trovare un successore della sua statura; chi è pessimista ritiene che il declino elettorale della SPD sia comunque inarrestabile, in un Paese in cui troppi cominciano a guardare più a sinistra c'più a destra del punto polita ci?'in cui si xoHoea> il Cancelliere. ' - •*»• Ma forse il vero problema non è tanto se Schmidt ce la farà, quanto quale sarà la sua politica, se ce la farà; e quale sarà la politica di Bonn, in ogni caso. E' stato osservato che, dopo avere avuto un Cancelliere per l'Ovest (Adenauer) e uno per l'Est (Brandt), la Germania ne cerca ora uno per se stessa. Si tratta di vedere in che senso. Ed è un interrogativo che condiziona, con Schmidt e oltre Schmidt, l'intero futuro europeo. Aldo Rizzo Helmut Schmidt visto da Levine (Copyright N.Y. Rwtew ol Books. Opera Mundi e por lltalia .La Stampa»)