Una verità muta di Gianfranco Piazzesi

Una verità muta Una verità muta Fu un delitto politico? In una testimonianza dinanzi alla Commissione parlamentare, resa nota solo alla vigilia del processo, Eleonora Moro ha detto che suo marito era stato sottoposto a pressioni di ogni genere, da parte di chi osteggiava la «solidarietà nazionale». Mentre era in visita a un Paese straniero. Aldo Moro si sarebbe sentito rivolgere, in lingua straniera, una minaecia ben chiara: o rinunciava a questi suoi propositi, o «l'avrebbe pagata cara». La vedova ribadirà al processo la convinzione che il marito è stato vittima di un complotto e la sua deposizione sarà certo uno dei momenti cruciali del dibattito. Infatti la dinamica del rapimento e del delitto è ormai ben nota e si sanno con certezza i nomi di tutti coloro che vi hanno partecipato; invece sono sconosciuti i veri motivi per cui le Br decisero questo rapimento. Tutti coloro che hanno concepito e realizzato una delle più spettacolari e terrificanti imprese terroristiche del secolo non hanno parlato e non sembrano disposti a cambiare idea; Peci e Savasta, i due «pentiti» che hanno fornito i maggiori particolari, quattro anni fa svolgevano un ruoio di secondo piano. Oggi anche i più scettici sono convinti che le Br abbiano tenuto rapporti molto stretti con governi stranieri, ricevendo armi e aiuti, però nessuno ha ancora dimostrato che insieme alle armi giungessero anche degli ordini. Ma anche se il seouestro non fu eseguito su comiwissione di un «grande vecchio» o di un Paese straniero, anche se i brigatisti si proposero di rapire un democristiano importante, non già quel particolare democristiano, anche se essi tentarono di destabilizzare un Paese più che compromettere una' determinata strategia, grandi furono egualmente le conseguenze politiche della loro impresa. Grandi, ma anche di segno contrario, rispetto a tutto ciò che i terroristi avevano previsto e desiderato. I brigatisti, quale che fosse il livello delle loro ambizioni, pensavano di avere scelto come bersaglio un uomo magari rispettato però impopolare. Invece Moro acquistò subito la dignità del martire. Anche se non avevano costruito piani politici troppo sofisticati avevano comunque cercato di seminare panico e confusione Invece democristiani e comunisti, che il giorno prima si erano accordati con grande fatica, o con mille riserve mentali, capirono a volo che dovevano far fronte comune. Berlinguer — lui stesso lo ha ricordato ieri su questo giornale — propose e ottenne che il governo Andreotti fosse votato in quella stessa giornata tanto alla Camera che al Senato. Se l'attentato a Togliatti, nel 1948, aveva spinto gli italiani sull'orlo della guerra civile, il sequestro Moro, quasi trent'anni dopo, impresse una spinta potente verso la concordia nazionale. Mai come quel giorno gli italiani si sentirono cosi vicini. Ma l'attentato a Togliatti fu anche uno degli ultimi sussulti della guerra fredda: dopo l'emozione iniziale, democristiani e comunisti si accorsero che tra di loro il baratro non era poi cosi profondo come essi per primi avevano temuto. Invece il sequestro Moro rivelò che una intesa tra de e pei era prematura, o che comunque i due partiti erano ancora impreparati a gestirla. Oggi non va esagerata l'importanza delle polemiche che turbarono la maggioranza, durante i 55 giorni della prigionia. Saggiamente Andreotti ha ricordato che nessun partito si dissociò dalla linea della fer- mezza «mentre la ricerca di una possibile soluzione umanitaria fu comune a tutti, anche se con espressione esterna più 0 meno pubblica». Comunque, non furono le divergenze dei democristiani e dei comunisti nei confronti del psi a compromettere la «solidarietà nazionale». Le prime esitazioni affiorarono tra i comunisti dopo 1 risultati per loro sfavorevoli ottenuti alle amministrative; dissensi più profondi emersero l'anno dopo. Metà della de era stata convinta da Moro con grande fatica, ed era incline ai ripensamenti; gran parte della base comunista non tollerava quei tempi lunghi che Moro aveva imposto e Berlinguer aveva accettato. Non sarà tuttavia il processo a sciogliere gli ultimi misteri, a far dire una parola definitiva su quale è stata l'incidenza del sequestro di Moro sui rapporti tra i partiti italiani. Gli imputati per ora non intendono raccontarci con quali argomenti, e per quali propositi, qualcuno voleva Uccidere il prigioniero, e qualcun altro era disposto a liberarlo. E del resto, anche nei processi dove gli imputati parlano, ben di rado veniamo a conoscere la verità. Rassegniamoci, e non lavoriamo di fantasia su alcuni labili indizi. Speriamo, piuttosto, che i nuovi elementi che scaturiranno dal dibattito, pochi o molti che siano, non diventino pretesto per nuove polemiche e mediocri speculazioni. Moro è uno dei pochissimi statisti che hanno operato con impegno e con qualche successo per estendere i confini della democrazia e allargare le basi del consenso. Le polemiche non sarebbero certo il modo migliore per onorare i suoi meriti e ricordare la sua triste fine. Gianfranco Piazzesi