Così Manzoni scacciò Satana

Così Manzoni scacciò Satana LETTERE DALL'ITALIA: «I PROMESSI SPOSI» E IL DEMONIACO Così Manzoni scacciò Satana Nel romanzo lo scrittore sembra farsi «esorcista»: cerca di mettere ordine nelle confuse morali individuali e nella storia, regno del fuoco maledetto - Per lui sono demoniaci la folla e l'amore; sono figli del Caos l'autorità, Io Stato, i magistrati - Invece, la peste è demiurgica, e rimedio del male - Non si legge Manzoni per divertirsi, ma per bisogno di guarire E il demoniaco cominciava a invadere tutto, fino alle lettere e pitture più. alte e tragiche, dalla Spagna alla Siberia, da Parigi a Pietroburgo: perché non entra, da Porta Tosa, da Porta Ticinese, per i Navigli e le cloache, o giù per i camini, in Milano? A Milano, il più grande scrittore italiano del secolo esclude il demoniaco dal suo unico romanzo come dagli altri suol scritti, dalla sua teologia morale, dalle sue lettere, da ogni espressione del suo pensiero. Neppure Stendhal l'aveva messo nelle sue storie; ma Stendhal non era scrittore religioso e teologico, e neppure un allucinato romantico; Manzoni è scrittore religioso integrale. E' scrittore cristianissimo, e ancora al suo tempo Satana era l'avversario di Dio nella vita interiore del credente, viveva nelle crepe metafisiche e nelle notti dei santi; l'Anticristo era nel timori e nelle attese del residuo messianismo cattolico: il papa poteva permettersi di nominarlo. In un altro scrittore cristiano integrale, Dostoevskij, l'intero problema morale è gettato nel crogiuolo del demoniaco e studiato, messo in luce mentre il regno anticristico schiuma, preme, vicino. Manzoni è muto. In Manzoni molte cose sono taciute, non per questo annullate. Avendo con lui una certa pratica quotidiana, potrei tentare uno scandaglio. Manzoni fu un uomo assediato da innumerevoli terrori, non tutti spiegabili con la sua eredità nervosa. Uno dei più sottili tra i suoi terrori era quello di non riuscire a dire, sempre, la verità tutta intera, di non servirla abbastanza... La verità morale gli appariva sotto tanti aspetti e così complicata da rendergli ogni cosa in cui dovesse impegnarsi per lei un combattimento estenuante. Si può leggere il romanzo anche come un combattimento per la verità, condotto con uno scrupolo smisurato. E poiché tutta la verità per lui si accordava perfettamente con l'insegnamento della Chiesa, temeva continuamente che un ptinto gliene sfuggisse, lasciandolo scoperto, come per castigo, sospeso nel vuoto, senza più il braccio soccorritore della religione, sentita inconsciamente piii implacabile che pietosa. Non poteva vivere senza quel riparo. C'è una forte agonia cerebrale, dietro le palpebre socchiuse della sua anima pensosa: una natura predestinata alla lotta con l'angelo di Dio, nella forma di una correzione spietata, dolorosa, perfino raffinatamente maniacale, del proprio pensiero e di ogni dottrina che contrastasse con la regola celeste che si era imposta. Per Manzoni, quel che non è morale è irrazionale. Anche in un'ombra leggera, poteva già condannare il crimine d'irrazionalità. Tutto l'immaginario manzoniano, die culmina e si esaurisce nel romanzo, non solo si dispone dentro un ordine morale: è questo stesso ordine, figlio e frutto del suo tormento nervoso, etico e spirituale. Tutte le sue creature ricevono umanità dal loro essere animali morali in movimento, frammenti di morale in cerca di verità unificatrice, promessi sposi morali che anelano al matrimonio, ad un ricongiungimento sistematico, per mezzo di prove dolorose che cancellino da loro le tracce del peccato d'origine. E' un miracolo ette Manzoni abbia saputo farne, tra molti rischi di cadute nell'edificante ad ogni costo, realtà umane in un respiro di poesia pura. Chiusa l'epoca del romanzo, ripiglia la sua eterna ricerca morale senza più metafore, ma con uno stile combattente che non vacillerà che al cecldere manus dei suoi ultimi giorni di vigilia sabbatica. Se il demoniaco è assente da questo romanzo del -tormento e dell'Iniziazione morale, devo pensare lo fosse interamente dall'orizzonte manzoniano? Robespierre Mi provo a definire il demoniaco senza disturbare angeli sprofondati né il prlnceps tenebrarum, lasciandoli però agitarsi al di là del velo concettuale, come enti irreali misteriosamente possibili. Demoniaco è il male che, nell'esperienza umana, produce pena e disfacimento morale e mentale: la sua dipendenza (o non può avere questo nome) da un principio assoluto, pone il problema della prova da parie di Dio che si fa lui stesso l'Aiwersario e il persecutore occulto, o del dualismo metafisico (se esista un principio tenebroso contrario al Bene). Demoniaco è il Caos primordiale (prima e dopo tutti i Big Bangs) riflesso nel ynlcrocosmo umano, che ne è dal giorno di assunzione nella coscienza (la vera uscita dalla preistoria!) come lacerato e minutarnente stigmatizzalo; e Irrompe violentemente e capillarmente nella pazzia, nel crimine, nella storta, nelle costrizioni mentali (i mlnd's manacles di Blake), nella morte dell'anima, nell'incubo, nelle passioni, ed è un fuoco inestinguibile. Ora, dal suol effetti sovranamente calmanti, e dal suo segreto procedere rituale, si può definire lo stile manzoniano come altissimamente ed eminentemente esorcisti-, co. Né stola, né aspersioni, né formule... Esoreistico, alla lettera: per cacciare via, per scongiurare... E oltre questo: esoreistico per Intima volontà demiurgica, uno stile che si elabora per mettere ordine, nel caos morale individuale e nella storta, vissuta come specchio del caos morale, regno del fuoco maledetto. Un partigiano innocente del demoniaco — i grandi romantici lo sono tutti — come Victor Hugo, sguazza felice nel caos della storia, gli scopre addirittura un proprio ordine (demoniaco) perfetto, che si configura in un ideale progresso, e arriva a produrre visioni compiaciute ed entusiasmanti, molto più piacevoli delle manzoniane: la Rivoluzione, Waterloo, la Parigi di Luigi XI e di Luigi Filippo; Manzoni applica alla storia la museruola inflessibile del suo stile esoreistico, obbliga il grande serpente a sputare ti suo tossico nel recipiente, mette in guardia il lettore (ti novizio, l'iniziando) dalle tentazioni e dalle metamorfosi del mostro. Qualunque cosa dica, in qualunque ope¬ ra In versi o in prosa, Manzoni pronuncia un preciso scongiuro contro le potenze invisibili del caos, di cui ha una profonda, eterna, non domatapaura. Ha i suoi grandi momenti di prova: la guerra del Trentanni, nello scorcio satirico del romanzo, sottoposta al trattamento magnetico manzoniano, è una gorgòna di demenza placata, messa sotto chiave; e cosi la presa della Bastiglia, nel saggio senile sulla Rivoluzione. Quanto al demoni presenti nelle storie delle unzioni, sappiamo da che parte si trovino. Più sottilmente, si misuri l'ablssalttà benefica dello stile manzoniano — tanta da stare alla pari con gli abissi di male che fronteggia — sia nelle magni-. fiche confutazioni della morale fondata sull'utilità, che nel giudizio di Robespierre, nel dialogo dell'Invenzione. Non pigila mal le vie facili: per Manzoni, Robespierre non è per niente un mostro, Tua un mistero. Ed ecco definito, con inuguagllablle portata di stile, un uomo die ebbe certamente una parte di demoniaco e ne Introdusse nella storia: «Ma un'astrazione filosofica, una speculazione metafisica, che dominava i pensieri e le deliberazioni di quell'infelice, spiega, se non m'inganno, il mistero, e concilia le contraddizioni. Aveva imparato da Glanglacomo Rousseau...'. Così, eccoci, quasi dostoevschianamente, nel demoniaco dell'ideologia, il rinnegamento del peccato originale imparato da Rousseau fatto causa della perversione mentale e politica di Robespierre. Sappiamo bene che Sade, Necaev, Lenin, Hitler sono tutti figli di un'astrazione filosofica. Furet, senza di cut è impossibile decifrare a fondo il fenomeno rivoluzionarlo francese, perfeziona Manzoni: «Robespierre è un profeta... nessun contemporaneo ha interiorizzato come lui il codice ideologico della rivoluzione». Ma per Manzoni il demoniaco (non nominato) di Robespierre, e di tutta la filosofia dei lumi, è nell'ignoranza del peccato originale, in un errore metafisico. I monatti La folla, manzonianamente, è sempre demoniaca: la esorcizza energicamente con lo stile. L'amore... Se non lo lava in chiesa, dove deve «venir comandato e chiamarsi santo», resta per lui essenzialmente demoniaco. Non basta procreare, riprodurre uomo anzi non è un gran bene... Manzoni accolse Malthus, quasi unico tra i cattolici, con estremo favore. Ma anche l'Ordine civile (l'autorità, lo Stato, i magistrati) è Caos. Anche l'amore repretto (Gertrude) è Caos. L'unico personaggio in cui II demo- ntaco è scritto in faccia in cubitali è il miserabile padre di Gertrude, un distruttore di germogli d'amore e causa sinistra del futuro comportamento succubamente demoniaco della figlia monacata per forza. La peste, invece, non è demoniaca. La peste, sebbene rompa tutto l'ordine morale-razionale e spalanchi le porte della città a1 Caos, è demiurgica e rimedio del male: il suo trionfo introduce addirittura la giustizia provvidenziale tra le leggi umane sconvolte. Manzoni la adopera come estremo e infallibile ricorso esoreistico: i monatti, la folla che lincia untori sono demoni scatenati, ma l'eccesso del male fa sovrabbondare paolinamente la grazia, e porta al culmine la perfezione dello stile manzoniano scongiuratore e riparatore. Il gallo del lazzaretto canta: l demoni — tutti, meno la vigliaccheria tenace di don Abbondio — spariscono. La giustizia redentrice si manifesta simbolicamente nella pioggia diluviale, che si annuncia al lazzaretto, tra la polvere e i lamenti, come una figura dt salvezza, e finalmente investe e inzuppa nella sua corsa solitaria fuori Milano il promesso sposo, significandogli che la prova è superata. Il resto, non è più che il graduale e ordinato spegnersi di una musica. Non si legge Manzoni per divertirsi, ma per bisogno di guarire. Dopo ogni rilettura, si resta imbevuti di calma, come liberati da una crisi isterica, da un'idea ossessiva, da un possesso diabolico. « Una mano ferma —- dice di lui Eugenio D'Ors in Nuevo dosarlo — che di tra le ombre si tende verso di noi, e a cui possiamo aggrappare la nostra, nel momento in cui stavamo per scivolare, forse a perderci irremlsibUmente». Certo, Dostoevskij è infinitamente più attuale; perché è un profeta russo, mentre Manzoni è un poeta italiano, che vide bene la storia come Caos., senza però vedere-.un futuro in cui il mondo umano, in preda al demoniaco, sarebbe diventato, progressivamente, come una macchina inerte: «... in qualche secolo si può a tal punto mortificare il mondo che dalla disperazione comincerà effettivamente a desiderare di esser morto» (Taccuini del Demoni). Qualcosa d'Insoluto è nella sorte del castello dell'Innominato, quando da nido insanguinato del delitto si trasforma, in asilo sicuro di afflitti, vigilando dall'alto (senza neppure sparare un'archibugiata: gli basta sssere entrato nell'ordine morale-razionale) contro il disordine cieco della guerra, che si sfoga e passa nella pianura. La conversione del famoso brigante può avere spiegazioni psicologiche, ma quella del castellacelo e di tutta la sua valle ha ancor più del miracolo, del teatro e della fiaba: perché non è un'anima d'uomo, è un simbolo pietrificato del disordine e del male. Al castello Un'insegna, un'espressione visibile del mondo infero, può così facilmente farsi l'insegna del Bene sulla stessa altura, la Malanotte cambiarsi nell'osteria della Buonanoti te, i cattivi agire da guardiani e da infermieri conservando le stesse facce? La grazia della palingenesi morale si estende anche all'inanimato, al sicari, ai pugnali? I dubbi di don Abbondio, quando va al castello, testimoniano di una interessante esitazione di Manzoni stesso: è davvero possibile che lassù tutto sia ormai eliso e salvezza? Se adesso lì spuntasse una ama-, ntta fallolde, sarebbe commestibile? Il Male, se veramente esiste come tale, può cambiare natura? Dietro al povero curato, pauroso cronico, il grande indagatore interroga l'universo morale, il più difficile del mondi, perplesso. Guido Ceronetti lll'iife.rrtiii Pfjlli• '< ih «'[/'' ri1. li/'!'! I Éflìifl i'';;.:»-);!-1," |f.i!'l ;.* M' WllII. Ili' I • ! :l ! Gertrude, la monaca di Monza, nella celebre illustrazione di Gonin per «I promessi sposi»

Luoghi citati: Milano, Monza, Parigi, Pietroburgo, Siberia, Spagna