Cane zoppo a 6 zampe
Cane zoppo a 6 zampe Cane zoppo a 6 zampe di MARIO PIRANI Nell'economia italiana i conti sono destinati a non tornare mai. Una specie di catena di Sant'Antonio rimbalza dall'uno all'altro soggetto sociale costosi benefici c perdite immani che, però, in un assurdo gioco dell'oca, non si compensano ma si sommano a spese del benessere generale e dell'equilibrio finanziario. Prendiamo l'intreccio petrolio-energia elettrica (le centrali elettriche sono in gran parte alimentate con olio combustibile). Ebbene l^altro giorno il nuovo commissario straordinario dell'Eni, Enrico Gandolfi, ha parlato per la prima volta per spiegare a una commissione parlamentare come l'Agip perda 37.000 lire per ogni tonnellata di greggio importato. La causa è da ricercarsi sia nelf'aumentato corso del dollaro sia nel fatto che i contratti sono stati conclusi a prezzi ufficiali quando il mercato petrolifero non era ancora orientato al ribasso. L'Eni, di conseguenza, presenta nel 1981 un buco di 850 miliardi, mentre si è indebitato per altri 14.000 miliardi anche per concorrere al salvataggio della Sir, della Liquichimica e dell'Egam che il governo ha pensato bene di addossargli. E' chiaro che un bel giorno, attraverso nuove tasse o altri marchingegni di spoliazione, i cittadini saranno a loro volta chiamati a sovvenzionare l'ormai azzoppato cane a sei zampe. Per le compagnie private l'alternativa è, invece, quella di abbandonare il nostro Paese, come già molte di loro hanno fatto. Proprio alla vigilia del discorso di Gandolfi, il presidente dell'Unione petrolifera che le rappresenta si è recato dal presiden¬ te dell'Enel e gli ha fatto all'inarca questo discorso: «O vi decidete a pagare le fatture o smetteremo di rifornire le centrali elettriche». Un linguaggio certamente poco diplomatico ma reso pregnante dalla contingenza che, dopo aver fatto distrattamente trascorrere la scadenza di pagamento per 350 miliardi di fatture, l'ente elettrico ha accumulato altri 350 miliardi di forniture, (destinate, si teme, a essere saldate chissà quando. L'Enel lamenta di non ricevere fondi sufficienti dallo Stato e di dover applicare tariffe di favore alle ferrovie, alle imprese siderurgiche, ai produttori di alluminio. Ma noi che c'entriamo, dicono non a torto le compagnie private? Quanto all'Eni, oltre a rimetterci in egual o maggior misura, teme di restar solo a dover fronteggiare i fabbisogni petroliferi, con conseguente allargamento delle perdite. Nel frattempo una risposta chiaramente negativa ha ricevuto la lettera inviata a suo tempo dal ministro dell'Industria, Marcora, ai segretari dei tre sindacati per segnalare che per gli investimenti del 1982 l'Enel presenta un fabbisogno di 6100 miliardi. Come attuarli senza incidere sulle tariffe preferenziali della cosiddetta fascia sociale, che abbraccia ben 1*84 per cento dei cittadini? Quegli stessi utenti che, considerati «poveri» quando pagano la bolletta, verranno, poi, giudicati abbienti dal fisco quando saranno chiamati a sovvenzionare a loro volta l'Enel sotto altre forme. Son questi i fasti di un sistema basato su uno statalismo sempre più spurio e inefficiente, uso spregiudicato dei prezzi amministrati, incongrue regalie, assistenzialismo improvvido e dilapidatorio di ricchezze, disprezzo assoluto del mercato.
Persone citate: Cane, Enrico Gandolfi, Gandolfi, Marcora
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