Il Vietnam fuori moda
Il Vietnam fuori moda Il Vietnam fuori moda di VITTORIO ZUCCONI Ultime notizie dal Vietnam delle nostre speranze libertarie, della nostra «generosa» giovinezza: il generalissimo Vo Nguyen Giap, l'eroe di Dien Bien Phu e del Tet, è stato cacciato tre giorni fa dall'ufficio politico, il vertice del partito comunista vietnamita, al termine del quinto congresso. La situazione economica del Paese, otto anni dopo la riunìficazione, è patetica: secondo le notizie che arrivano a Tokyo, osservatore attentissimo di tutti i vicini asiatici, l'aiuto sovietico sfiora ormai i 6 milioni di dollari al giorno, quasi otto miliardi di lire, e Hanoi deve complessivamente a Mosca J miliardi di dollari, quasi 4000 miliardi di lire. La corruzione dilaga: in un solo trimestre dcll'81 le industrie di Stato e le fattorie collettive hanno perso oltre 150 miliardi di lire solo per «le truffe e la disonestà dei loro dirigenti», ha scritto il giornale del partito «Nhan Dan». L'unica industria fiorente è quella dei profughi, la «boat people»: da chi fugge, il partito ha ricavato finora fra tangenti, noleggio barche ed espropri 3000 miliardi di lire. Alla testa dell'operazione profughi, cioè del racket della disperazione, c'è un altro nome mitico, Le Due Tho, colui che trattò con Kissinger il ritiro e la sconfitta americana. Dal suo seggio nell'ufficio politico del partito comunista, Le Due Tho gestisce la ricca tosatura insieme con due fratelli entrambi in posizione di potete: Mai Chi Tho, sindaco di «Città Ho Chi Minh» (Saigon) e Dinh Due Thien, ministro dei Trasporti. Anche nel Vietnam liberato, la famiglia è sempre la famiglia. E non è tutto. Se corruzione, mismanagement e nepotismo sembrano essere sottoprodotti costanti- del socialismo reale, sia esso europeo, asiatico, africano, o latino-americano, il Vietnam della nostra giovinezza ci offre una primizia degna del colonialismo più turpe: 500 mila giovani vietnamiti sono stati deportati in Urss nel 1981 per lavorare in Siberia fino all'85 nelle mansioni che i lavoratori sovietici — ed è tutto dire — rifiutano. 1 loro salari sono trattenuti per metà dal padrone sovietico per recuperare una parte del debito nazionale vietnamita. Si capisce, di fronte a queste notizie, che del Vietnam non voglia occuparsi più nessuno. Non se ne occupa chi scese in piazza per Hanoi, non volendo dare oggi risposte troppo imbarazzanti alle sicurezze facili di ieri. Non se ne occupa chi scese in campo contro Hanoi, perché le tragedie di oggi hanno radici anche nella guerra e nell'occupazione di ieri. Così, come uno scheletro infame il Vietnam sta ben rinchiuso dentro l'armadio capacissimo della cattiva coscienza storica del mondo, insieme con il Ole di Pinochet, la Cambogia occupata proprio dai vietnamiti, la guerra nel Corno d'Africa: giocattoli politici sfruttati e ormai imbarazzanti. Se almeno servissero a insegnarci la prudenza prima delle grida, la riflessione prima dello slogan, le sofferenze interminabili d'Indocina non continuerebbefo invano. Ma la cronaca quotidiana non permette illusioni: c'è sempre una nuova «lotta» da lottare, e un «presepe» politico di buoni e di cattivi, di martiri e di aguzzini da eostruire, per chi vuole rappresentarsi il mondo come un teatrino dei pupi ideologico. Il Vietnam sta morendo? Viva i cento, mille nuovi Vietnam. Lo spettacolo va avanti: almeno finché il prezzo saranno solo gli altri a pagarlo, nelle risaie e nelle cordigliere lontane molti oceani dai nostri salotti.
Persone citate: Dinh, Kissinger, Pinochet, Vo Nguyen Giap
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