Le spade di Kurosawa e i sentimenti di Ozu di Gianni Rondolino

Le spade di Kurosawa e i sentimenti di Ozu UN MAESTRO SCOPERTO ALLA TV Le spade di Kurosawa e i sentimenti di Ozu tLa scoperta europea del cinema giapponese avvenne, come molti ricorderanno, nel 1951, quando il film Rashomon di Akira Kurosawa vinse il Leone d'oro alla Mostra di Venezia. Fu una vera e propria rivelazione, anche per i critici e gli storici del cinema. Una nuova immagine semovente d'un mondo lontano e d'una cultura poco nota, d'una società profondamente diversa dalla nostra e d'una tradizione spettacolare inconsueta, si aggiunse alle molte immagini di luoghi e d'ambienti, di uomini e di cose cui il cinema europeo e americano ci aveva abituati nel corso degli anni. Rashomon e gli altri film di Kurosawa che furono proiettati in Italia e negli altri Paesi europei, ai quali si aggiunsero ben presto i film di Mizoguchi e di qualche altro regista nipponico, offrirono per alcuni anni un panorama, non molto ampio ma certamente significativo, d'una cinematografia che si rivelava indubbiamente vivace, ricca di valori artistici e d'un sottile fascino esotico. Anche il cinema giapponese, come la letteratura e la pittura, emanava un indefinibile profumo di luoghi lontani, ci immergeva in un'atmosfera di sogno, e a volte di incubo, in cui samurai e geishe, violenza e amore sublime, paesaggi evanescenti e situazioni fuori del tempo, tendevano a comporre un quadro estremamente complesso e di non sempre facile decifrazione. Poi l'interesse per il cinema giapponese declinò. Ai film di Kurosawa e Mizoguchi subentrarono, per un breve periodo, quelli più duri e coinvolgenti di Nagisa Oshima, con lo scandalo àcW'lmpero dei sensi, e solo di recente il nome di Ku rosawa è tornato alla ribalta con il bellissimo Dersu Uzala c con l'affascinante Kagemusha. Ancora una storia di violenza sullo sfondo del Giappone medievale, con guerrieri e signori della guerra, sebbene pervasa dall'inquietante dilem ma del vero e del falso, dell" denti tà e del doppio. In altre parole, la maggior parte dei film nipponici o per 10 meno quelli che riscossero 11 maggior successo di pubbl' co, affondavano lo sguardo nel passato del Giappone, nel la sua tradizione storica e cu rurale, e prospettavano i prò blemi dell'uomo contempora neo nei modi e nelle fórme d'uno spettacolo simbolico, in cui la Storia era null'altro che la metafora della condizione umana. Mancava il più delle volte, in quei film, la rappre sentazione della vita quotidia na, i piccoli fatti d'ogni gior no vissuti nell'oggi, pcrcepit come brandelli dell'esistenza anonima della gente comune. Ed ceco invece la rivelazione d'un regista, d'un grande regista non certo inferiore Mizoguchi e a Kurosawa, che di quell'esistenza ci mostrava al tempo stesso l'apparenza l'essenza. Un regista apparta to, schivo, discreto, il cui nome, Yasujiro Ozu, divenne noto una ventina d'anni fa, solo ora, grazie alla televisione italiana, comincia a essere conosciuto anche dal grande pubblico. La rivelazione avvenne Parigi nell'estate del 1963, po chi mesi prima che il grande Ozu morisse all'età di sessan t'anni. Per iniziativa di Henri Langlois, la Cinémathèque Francese presentò allora una grande retrospettiva de! cine ma giapponese che comprendeva ben undici film di Ozu, da // cuore di Tokyo (1931) a Tardo autunno (I960). Era veramente un nuovo modo di vedere e rappresentare sullo schermo la quotidianità, di gettare lo sguardo indagatore della macchina da presa non ià sugli oggetti c sugli annienti, ma sui gesti degli uomini, sugli impercettibili movimenti dei corpi che rivelano gli stati d'animo, le passioni e i sentimenti. Ad accorgersene furono i giovani dei Cabiers du cinema, che scrissero in quella occasione d'aver scoperto un grande maestro, un «oien inquiétant cinéaste». E l'inquietudine nasceva proprio dallo stile di Ozu, da quel suo modo apparentemente ordinario, persino banale, di riprendere gli interni familiari, le azioni sempre ripetute, i soliti fatti d'ogni giorno: uno stile che, a ben j guardare, si rivelava straordi t nanamente aperto all'interiori m tàdcaqsnhfppbOddniqfiabsdcpsdapltsrmsr te tà, all'espressione d'un modo di pensare e di vivere che toccava le corde più profonde e autentiche dell'animo umano. A quei solo nel distanza di vent'anni, film — di cui purtroppo quattro sono compresi ciclo televisivo — non hanno perso nulla della loro forza rappresentativa, anzi paiono ancor più «moderni», più aderenti alla nostra sensibilità. Forse perche lo stile di Ozu, come scrisse Paul Schrader in un interessante saggio del 1972, c «trascendentale», nel senso che trascende i dati immediati della conoscenza, e quindi i modi e le forme della appresentazione cinematografica, per porsi come occhio aperto su una realtà non sensibile, sul mondo ineffabile dei sentimenti c delle tradizioni, della morale e dei costumi, che costituiscono gli elementi portanti della sua etica e della sua estetica. Non ve dubbio che la tradizione culturale nipponica abbia influenzato notevolmcn l'opera di Ozu, e forse non possibile comprenderne ap pieno il significato se non col locandola sullo sfondo dell'arte e della cultura Zen, con la stilizzazione delle forme, l'iterazione dei motivi, la stasi del narrazione. Un'arte che, come la pittura, predilige la fissità, la campitura degli oggetti dei personaggi nel quadro meticolosamente predisposto, l'osservazione acuta d'ogni particolare. Tuttavia, al di là della costruzione formale d'ogni singolo film, di cui l'iterazione delle azioni e la stasi drammaturgica costituiscono gli clementi caratteristici, o meglio attraverso questa costruzione formale, il dramma e a volte la tragedia del quotidiano acquistano uno spessore inconsueto. E' un superamento radicale tanto del realismo minuto quanto della stilizzazione, è un progressivo addentrarsi nelle pieghe della condizione umana, nei meandri dei conflitti individuali. In questa luce di disseccata imagerie — interni spogli, paesaggi limpidi, pareti nude, gesti discreti, dialoghi sommessi —, le relazioni familiari si caricano d'una impercettibile drammaticità. I contrasti tra padri e figli, fratelli e sorelle, mariti e mogli, le difficoltà economiche e i rapporti sociali, escono dal chiuso d'un mondo lontano, d'una società diversa dalla nostra, per porsi come termine di riferimento di ogni nostra azione, nei nostri pensieri e sentimenti. Qui sta la modernità e l'universalità dello stile «trascendente» di Ozu. Per questo il suo cinema ci parla il linguaggio del no stro tempo inquieto. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Giappone, Italia, Parigi, Tokyo, Venezia