Delfini, un ribelle allo specchio di Lorenzo MondoAntonio DelfiniAntonio Delfini

Delfini, un ribelle allo specchio I <<Diari>> di uno scrittore ancora da scoprire Delfini, un ribelle allo specchio ANTONIO Delfini modenese, morto nel 1963 a 55 anni, continua a essere pressoché sconosciuto, continua a mancargli, al di là dell'interesse dei aitici e della simpatia umana di quanti lo conobbero, uno spazio • di ascolto proporzionato all'importanza dèlia sua scrittura. E si spiega. La sua voce accanita e sommessa nell'inscguirc figure e occasioni «minori» della provincia (che pure costituisce fino ai nostri anni un serbatoio inesauribile ■por la letteratura italiana), la sapienza di una prosa che in brevissimo giro di pagine trasferisce una possibile tronche de vie o scena di genere in una specie di lievitazione fantastica e onirica, esigono una lettura non frettolosa, ma altrettanto partecipe e decantata. Mi riferisco soprattutto, ai dodici Racconti usciti nel 1963 ad ampliare una raccolta del 1938, // ricordo della Basca, che, così arricchita, contiene il meglio di Delfini, rappresenta la sua definitiva carta da visita. Là si trovava fra l'altro — nello stupendo racconto autobiografico Una storia — il suo autoritratto più compiuto. Quello di un . ricco rentier malato di letteratura che confonde in un pe- ' renne azzardo scrittura e vita, divertimento e poesia, ragioni ideali e atteggiamenti da bohémien in ritardo. Pigro e dissipatore, un po' «vitellone» (riuscì a ridursi senza un' soldo per inesperienza e incuranza), Delfìni conservò fino al termine dei suoi giorni un amore reverente per la letteratura che affrontò con severità, con mano di strenuo stilista. Era costituzionalmente un ribelle, per noia e snobismo, ma anche per un resistente fondo morale. Così, se a 14 anni indossava già la camicia nera, fece preste a smagarsi: si leggano, nelle sue pagine gustose, gli scherzi ai gerarchi, racquisto di vecchi fucili per una vagheggiata rivolta al mòdo di Oro Menotti, la preghiera a Dio perché Bado- §Ho cada nelle mani degli abissini. Scapolo patetico, peruto in una prolungata adolescenza dei sentimenti, sognava «amori romanzeschi narrati soltanto col fiato alle colonne dei portici» e si struggeva per la nostalgia di una donna, di una famiglia. Uguale alle sue figure incapaci di vivere peropoaaccamenoaava,uomnensognano impossibili amori, rimpiangono volti appena intravisti, esaltano nell'immaginazione le avare gioie, prc-' sentendone la rapida fine. { . Nel complesso, una delle cronache più illuminanti dei morti Anni Trenta; vissuti nella provincia modenese e poi, via via, a Firenze, Viareggio, Roma (con la breve apertura di Parigi da cui finse «di importare il surrealismo a Modena»), Ma nei suoi racconti, a prevalere, strettamente connaturate al suo filo di fantasia ariostcsca finita ad incontrarsi con Alain-Fournier, sono Modena, la città ducale, e le campagne della Bassa: dove i prati spartiti simmetricamente dai filari di alberi danno «l'idea di un'enorme infinita città signorile, mai apparsa né mai distrutta, la cui fondazione venne rimandata migliaia di anni fa ad epoca migliore e tempi più felici». Bene, di questo Delfìni così seducente e poco praticato ci vengono ora forniti i Diari, per lo più inediti che vanno, con intermittenze e riepiloghi, dal 1927 al 1961. Li pubblica Einaudi, che annuncia la ripresa di tutta l'opera di Delfini (dal Fanalino della Battimonda a La Rosina perduta, dì Modena.città della Chartreuse Me Poesie della fine del mondo) e li cura Cesare Garboli. Il quale in una straordinaria introduzione, un saggio che per. virjù simpatetica oltreché per intelligenza irrequieta sarà d'ora in poi parte integrante di cjuesti diari, ne centra subito il significato, il valore: Delfìni'era un personaggio di romanzo e qui, in modo sia pure spezzato, troppo reticente e troppo esibito, ha fatto ;in teinpo a raccontarsi diffusamente. Ed è la storia, aliora, «di uno scrittore ingenuo, di primo grado, completamente disarmato. La sua forza è il dono di esprimersi con la grazia e l'affanno con cui si respira. In Delfini non c'è traccia di letteratura. Non è un bel paradosso (non è sanguinante?) che uno scrittore sia posseduto dalla ^letteratura, ma non quando scrive.'!». Il diario comincia quando Delfìni ha veni'anni, c pur nell'estrema frammentazione, nel suo perdersi dietro registrazioni insignificanti o minute (il conto dei caffè c dcjle troppe sigarette fumate) vengono fuori i temi portanti, della sua vita che si fa romanzo. La madre; e la sorella, appaiate nella loro solitudine, figure della vendetta e del rimorso, dalla cui assillante autorità (il padre era morto prima che lui nascesse) Delfini si difende scambiando la notte con il giorno. Ma ci sono anche le altre donne, vagheggiate sulla spiaggia di Viareggio o in una stazione ferrovjaria con un abbandono stilnovistico che può spo¬ sarsi tranquillamente a un surreale decoro: «Mi sono svegliato con te, col tuo cappello bianco, grande come una vallata raccolta da Dio». Ci sono naturalmente le letture, attraverso gli anni. Gli indifferenti di Motivi* («libro grigio, uguale, pesante») sascitano in lui ammirazione e fastidio per \'«analisi quasi impeccabile di un mondo senza umanità». Ungaretti «i bello soltanto quando ì breve». Legge Pea «con una punta di rancore». Orca Palazzeschi (ma si tratta del romanziere) lascia curiosamente «ai posteri il facile silenzio». Quanto a sé, va allineando titoli di racconti, argomenti e pretesti sul modello dello Zibaldone leopardiano; ma talora si prova a svolgerli, a catturare l'aria malinconica di piazze e strade, le nebbie e i crepuscoli, gli squilli di tromba dalle caserme, il torpore dei caffè, a disegnare figurine tenere o crudeli. Appunta anche versi, alcuni molto belli, che fanno pensare ai fendenti visionari di Dino Campana, alla sua avventurosa eloquenza: «Torneranno le bandiere carbonare I per la prima volta sotto il sole antico I Rosso è. il sole, azzurro è il cielo I Nera è la notte, ma lontana... I Chiara speranza, grande campana». Queste poesie cadono intorno al 25 luglio e all'8 settembre del 1943, quando troviamo alcune delle pagine più rifinite dei diari: la comicità di quella giornata viareggina in cui Delfini tutto solo percorre la città in bicicletta incitando alla rivolta contro i .tedeschi; e l'indignazione aspra quando, nel momento della rotta, vede riemergere i profittatori di sempre. E' robusto e avvincente il suo piglio morale mentre predica la guerra totale ai fascisti, una guerra che li snidi .anche dal rifugio del nostro cuore, delle cattive inclinazioni di tutti. Già si avverte in lui l'amarezza del dopo, che lo spingerà a scrivere un manifesto comunista-conservatore, una trovata eccentrica che dà tuttavia la misura del suo scetticismo e scoraggiamento. «Di quale Europa parlano codesti europei. Qual e l'Europa alla quale gli europei non si siano ribellati nel corso della storia?». Accanto alle invettive civili, fioriscono le illusioni di sempre: «Da oggi è probabile che cominci il vero Diario. Poiché è da oggi^che hot moglie E i grandi scrittori i Journal li scrivono da sposati». È'' il 7 gennaio 1959, comincia il trascinante e alla fine delusivo rapporto con Luisa. Restano ormai poche pagine da .sfogliare, fitte di note per lo più burocratiche, fino al brusco, allucinato e misterioso arresto: «Correte e tacete e pensate alla speranza. Solo alla Speranza. La Chimera non è, non sarà...». v Lorenzo Mondo Antonio Delfini: «Diari», Einaudi, 41,7 pagine, 25.000 lire, Antonio Delfini Antonio Delfini

Persone citate: Antonio Delfini, Cesare Garboli, Dino Campana, Einaudi, Fournier, Palazzeschi, Ungaretti

Luoghi citati: Europa, Firenze, Modena, Parigi, Roma, Viareggio