I marmi Ludovisi al Quirinale

I marmi Ludovisi al Quirinale PERCHE' TRASFERIRE DAL MUSEO NAZIONALE LA CELEBRE COLLEZIONE? I marmi Ludovisi al Quirinale II Museo archeologico romano, uno dei maggiori del mondo, è' chiuso da più di quarantanni - E' singolare Che le Belle Arti, incapaci di riaprirlo, ne giustifichino lo smembramento - Inoltre, il trasporto dell'insigne raccolta nel palazzo presidenziale ver rebbe a costituire una sorta di versione nostrana, e per giunta repubblicana, delle «raccolte di corte», care all'«ancien regime» Da qualche mese circolava, e se ne era avuto anche un accenno sulla stampa quotidiana, ma ora la notizia è confermata a grandi titoli: si progetta (e non si sa neppure se si sia già passati alla fase esecutiva) si progetta dunque di sminuire uno dei massimi: Musei archeologici del mondo, il Museo Nazionale Romano (detto anche Museo delle Terme), sottraendogli uno dei suoi più insigni elementi costitutivi, la Collezione Ludovisi. Questa dovrebbe essere tolta alla sede che occupava da un ottantennio, e trasportata a decorare il piano nobile del Palazzo del Quirinale: un articolo di Livio Colasanti, apparso sul quotidiano II Tempo del 7 marzo, si intitola ^Pertini dà il via: il Quirinale diventa anche museo e ospita la collezione Ludovisi». Data l'importanza della raccolta di marmi, e data anche la sua celebrità (pari a quella del Museo Nazionale cui appartiene) la prevista operazione è di grande momento, anche e soprattutto per i't suo connotato controcorrente. Sino a oggi, nell'Europa moderna, si procedeva alla trasformazione in pubblici Musei delle raccolte già ospitate nelle sèdi del Potere; in questo caso si segue la via opposta, e i marmi Ludovisi dal Musco passano (o dovrebbero passare) nel Palazzo che ospita la massima carica della Repubblica Italiana. Il progetto va dunque commentato, e stupisce il silenzio della cultura italiana, degli archeologi, delle associazioni (cosa ne pensa, ad esempio, Italia Nostra?;, davan ti a una notizia che in taluniambienti (specie in quelli stranieri) ha suscitato incredulità, stupore e, mi si consenta, anche indignazione. Personalmente, sono contrario, nel modo più assoluto, al progetto; ma debbo sùbito dire che il mio diniego non si rivolge al presidente Sandro Pertini, le cui intenzioni e il cui pensiero sono al di fuori di ogni sospetto, e che, non essendo né archeologo né storico dell'arte, va lodato nel suo intento di trasformare il Palazzo del Quirinale in un pubblico Museo. Sotto tale aspetto, gli esprimo il mio più cordiale riconoscimento e plauso, anche perché egli si riallaccia a un proposito che venne a lungo discusso subito dopo la fine della guerra, poco prima del Referendum istituzionale. Prevedendo la caduta della monarchia sabauda (e credendo che la neonata Repubblica avrebbe scrupolosamente evitato di inserirsi nei luoghi simbolici del vecchio regime) due funzionari delle Antichità e Belle Arti, ambedue di grande valore e oggi scomparsi, il Soprintendente alle Gallerie del Lazio, Aldo De' Rihaldis e l'Ispettore Centrale Emilio Lavagnino, progettarono di trasformare 12 Quirinale in un grande Museo, sul tipo del Louvre e dell'Ermi tage. Furono a tale scopo ottenute le piante dell'enorme edificio, e si discusse a lungo (e io stesso, alle prime armi, partecipai alle riunioni) sulla destinazione dei vari ambienti e delle diverse ali. Ricordo che la cosiddetta Palazzina del Fuga era destinata alla Galleria Nazionale, che le sale monumentali e gli appartamenti di rappresentanza sarebbero restati più o meno quali erano, e che si parlò a lungo sulla possibile immissione, in ambienti della Manica lunga, con ingresso separato, del Museo Nazionale, inclusa la Collezione Ludovisi. Si pensava anzi che nella Manica i piani superiori si sarebbero potuti adattare, in. modi assai felici, per l'esposizione degli oggetti minori, cioè delle sezioni chiuse sin dall'll giugno 1940; la vecchia sede del Museo, nelle Terme di Diocleziano, sarebbe restata quale Museo secondario, destinato al lapidario e ai reperti (colonne, cippi, frammenti vari) di puro interesse archeologico, una sorta cioè di deposito visitabile, da integrare possibilmente con {'Antiquarium Comunale già sul Celio. Questo progetto nacque tra il 1945 e il 1946; non se ne fece nulla poiché, contrariamente alle speranze, la Repubblica non ritenne opportuno dissociarsi dalla sede che era stata dei Papi e dei Savoia. Ma era un progetto che nasceva sul presupposto dell'assoluta separazione tra potere politico e Museo, su ciò che oggi, invece, viene ignorato. Portare la Collezione Ludovisi al Quirinale significa soltanto riaprire, su scala macroscopica, quel saccheggio dei Musei italiani grazie al quale i Savoia ornarono le loro Regge, e di cui talune delle antiche capitali, specie Parma e Napoli, ebbero a soffrire in misura inammissibile. Tanto per'restare nell'ambito del Quirinale, invece di trasportarvi una delle più insigni raccolte di sculture,statali sarebbe bene toglierne, ad esempio, gli arazzi della serie del Don Chisciotte, che gli intrighi della Duchessa d'Aosta e il diktat mussoliniano sottrassero al Palazzo di Capodimonte, al quale dovrebbero tornare; oppure restituire a Firenze gli arazzi delle Serie di Giuseppe, di cui il restante è in Palazzo Vecchio per il quale furono tessuti; o anche ricomporre il nucleo degli splendidi Gobellns di cui uno solo è ancora a Napoli. Lungi dall'offrire a Roma un Museo straordinario, il trasporto dei marmi verrebbe a costituire una anacronistica appendice d'arte alla sede del Potere, una sorta di versione nostrana, e per giunta repubblicana, delle raccolte; di corte, care ailanclen regime, e che sono scomparse dopo la Rivoluzione Francese, salvo nei Paesi retti dalla Monarchia, come l'Inghilterra, dove è famosa the Queen's Gallery, cioè l'appendice di opere d'arte annessa a Buckingham Palace. Ma ciò che stupisce maggiormente nell'odierno progetto sono le parole del soprintendente alle Antichità di Roma, il prof. Adriano La Regina, che ha anche pubblicato un Programma della Soprintendenza a lui affidata, in seguito ad un Incontro di studio del Comitato per' l'archeologia laziale. Nell'opuscolo (che varrebbe la pena di commentare passo per passo) si legge che si pone «l'esigenza di reperire la sede più opportuna per le collezioni storiche», e che «...la Presidenza della Repubblica ha già manifestato la sua disponibilità ad ospitare nel Quirinale la sezione del Museo Nazionale Romano destinata a raccogliere le collezioni storiche». Questa faccenda delle «collezioni storiche», da staccarsi dal nucleo dei Musei cui appartengono, suona strana e densa di prospettive inattese: dovremo prepararci non dico a veder staccata dal British Museum la collezione di Lord Elgin (collezione storica quanto altre mai), ma, per restare a casa nostra, la Collezione Farnese dal Museo Nazionale di Napoli. Sorprendente è. poi il passaggio che segue, dove la traslazione della Collezione Ludovisi'è presentata come «prospettiva di offrire a Roma un museo straordinario, che questa citta può ben meritare, oggi, mentre a Parigi si porta a compimento la trasformazione del Louvre; dichiarato "Museo della Repubblica" dalla Convenzione del 1793,11 Louvre era stato già Immaginato come Mouselon da Di¬ derot: Encyclopédie IX (1765), s.v. "Louvre"». Par di sognare, perché, al fine di fornir una parvenza logica al suo progetto di smembramento del Museo delle Terme, il prof. La Regina cita proprio quel che lo condanna. A parte il Diderot (che, come altri illuministi, auspicava la trasformazione del Louvre da Museo di corte in Museo del popolo) fu proprio la Convenzione a dichiarar decaduto il potere monarchico e a condannare il Re al patibolo, recuperando il Louvre come Museo Nazionale e non Reale. Tant'è vero che, dopo le riprese in senso contrario di Napoleone I, della Restaurazione, della Monar- chia di Luglio e di Napoleone III, la Terza Repubblica ordinò la distruzione del Palasse delle Tuileries, sede del Potere, proprio per isolare il Louvre, quale Museo, dalla residenza presidenziale, l'Eliseo. Si legga, il prof. La Regina, i discorsi parlamentari di Leon Gambétta, e vedrà cosa vi si dice. Tuttavia, per tornare alla questione attuale, è anche vero che il Museo Nazionale Romano è chiuso e che potrebbe parer più opportuno renderne visibili i tesori ad un pubblico sempre più numeroso, e sempre più affamato di cultura e dt arte. Ma resta da stabilire se l'inettitudine di un'Amministrazione incapace di riaprire integralmente il massimo Museo archeologico di Roma a più di quarant'anni dalla-chiusura giustifichi lo smembramento del Museo stesso. E dico inettitudine anche perché il caso delle Terme rum è il solo; da più di trentanni, infatti, Palazzo Barberini è stato acquisito dallo Stato per ospitarvi la Galleria Nazionale, e (a un terzo di secolo di distanza!) l'Amministrazione delle Belle Arti è incapace di cacciarne il Circolo delle Forze Armate. Al contrario, l'aver riaperto nella vecchia sede di Palazzo Corsini un troncone della Galleria è stato presentato come fatto positivo; e proprio Palazzo Barberini è stato scelto come sede di un Convegno per i Musei. Ma forse siamo noi in errore, non essendo in grado di comprendere la profondità del pensiero del prof. La Regina, come quando esprime parere favorevole alle sambe e alle bosse-nove con cui l'Assessore Nicollni farà concorrenza ai Carnevali di Rio, di Nizza e di Viareggio, tra Colonna Traiano e Colosseo, tra Fori Imperiali e Arco di Costantino, tra quei monumenti venerandi dei quali il soprintendente alle Antichità di Roma ha un nuovo e per noi indigesto tipo di rispetto. Federico Zeri