Un pentito guida De Andrè e la Ghezzi nella radura dove furono prigionieri

Un pentito guida De Andrè e la Ghezzi nella radura dove furono prigionieri Sassari, sopralluogo del magistrato a due anni dal sequestro dei cantanti Un pentito guida De Andrè e la Ghezzi nella radura dove furono prigionieri Pietro Delogli, vivandiere della banda, ha accompagnato gli inquirenti e le vittime per impervi sentieri di montagna sino a un fitto bosco di lecci - In uno spazio di quattro metri quadrati, fra due alberi, i rapiti trascorsero gli ultimi 40 giorni dei 117 di prigionia - Dori: «In questo momento provo di tutto, meno che la nostalgia» SASSARI — Fabrizio De Andre e Dori Ghezzi tornano due anni dopo (esattamente due anni e 77 giorni) sul luogo in cui furono tenuti prigionieri dai banditi che li avevano sequestrati. Li guida per la montagna del Logudorese, alla ricerca del posto che essi non potrebbero trovare da soli essendovi stati condotti bendati, 11 vivandiere che ogni due o tre giorni portava ai sequestrati, e al loro due custodi, cibo e bevande. Il rapimento, lo ricordiamo, avvenne la sera del 27 agosto '79 a L'Agnata, la fattoria che il cantautore e la sua compagna abitano già da una decina d'anni a una quindicina di chilometri da Tempio Pausania, in Gallura. SI protrasse sino a dicembre: Dori fu rilasciata per prima, la notte del 21, quale dimostrazione che anche Fabrizio era Vivo, e la, sera dopo, avvenuto il pagamento di 550 milioni, fu rilasciato De André. I soldi 11 aveva tirati fuori il padre del cantante, professor Giuseppe, presidente dell'Eridania, ma 1 banditi, avendo saputo che Fabrizio e Dori avevano, di loro proprietà, 50 milioni, pretesero che li versassero una volta liberi, cosa che essi fecero, una ventina di giorni dopo. La banda è stata sgominata: 10 sono in galera, due denunciati a piede Ubero, uno latitante. Quest'ultimo è Giovanni Mangia, mentre suo fratello, Carmelo, si è costituito appena due giorni fa al dottor Lombardlni, il giudice che sta istruendo questo e altri processi riguardanti rapimenti avvenuti nel '79 e nell'80. Questo vivandiere, Pietro Delogu, macellaio e mobiliere di Pattada è un pentito, ha confessato, ed è per questo che fa strada nella ricerca della prigione di De André e della Ghezzi. Il gruppo è numeroso: c'è il dottor Luigi Lombardlni, innanzitutto, poi ufficiali del carabinieri, commissari di polizia, i difensori di tutti gli imputati, giornali¬ sti, fotografi. De André sta impartendo un avvertimento: Niente foto sul luogo della prigionia: non voglio dare spettacolo di tipo masochistico». L'appuntamento é alle 9 di ieri, alla caserma del carabinieri di Pattada. Si parte con molte Campagnole perché dopo pochi chilometri di strada asfaltata ci si deve avventurare per una strada di penetrazione nei boschi. Fabrizio indossa un giaccone di nailon, Dori, sempre bionda e bella, occhiali affumicati, ha una giacca di rat-musqué grigio su pantaloni alla cavallerizza marrone, stivaletti marrone a tacchi sottili. E' una giornata di sole, tiepida. La carrareccia si stacca dalla Pattada-Oschiri: è aspra, stretta, cosparsa di profonde buche e di sassi appuntiti, sempre sul limitare di strapiombi paurosi. Si arriva al fiume, il Sunne, e qui bisogna lasciare le Campagnole, si passa sull'altra sponda attraverso una passerella creata sul tubi di un acquedotto e si sale a piedi, aggrappandosi agli arbusti, ai sassi. Si arriva in una certa zona, ancora più chiusa dal verde di alti lecci. Il luogo ohe si cerca é qui, ma dove in particolare? Passano ore prima che si trovino quel tre o quattro metri quadrati, tra due alberi, sul quali Fabrizio e Dori hanno trascorso gli ultimi 40 giorni del loro 117 di prigionia («sulla destra in lontananza si udiva fischiare un treno, sulla sinistra auto in salita che cambiavano marcia*). Il bandito Delogu non é molto esauriente nelle sue spiegazioni: -lo le vivande le portavo fin qui, poi erano gli altri che le ritiravano, non vedevo mai i prigionieri». E' il dottor Lombardlni che scopre la bombola che serviva per scaldare qualche cibo (il bandito che l'aveva portata fin qui, scaricandola, stravolto dalla fatica, aveva detto: -Se dovrò tornare a portare su una bombola, non farò mai più un sequestro»). Dopo la bombola si trova il piccolo spiazzo tra 1 due alberi che, quando pioveva, veniva coperto con un nailon. Tutto riconosciuto, sia da Fabrizio che da Dori. Emozione? «Certo, molta — dice De André — per esserci venuti a viso scoperto, avere potuto vedere anche la postazione dalla quale, alle nostre spalle, i nostri custodi ci scrutavano». E Dori: «Se togliamo il rimpianto e la nostalgia, tutto si prova in questo momento». Per quasi tre mesi i due sequestrati rimasero con la testa chiusa In un cappuccio, un buco solo per la bocca. -Era una cosa da impazzire — dice Fabrizio, — tanto che un giorno io e Dori protestammo aspramente. E loro ci dissero che per toglierci i cappucci ci avrebbero dovuto mettere le catene perché sarebbero rima-' sti a una certa distanza. Accettammo e così rimanemmo sempre legati ai due alberi, ma noi due vicini». Avevano chiesto le carte, ma gli risposero di no, non potevano portar su le carte dicendo — in un eventuale controllo — che le portavano a un pastore per fare il solitario. Gli concedettero di disegnarle sul retro delle scatole del cerini. « Una carta per scatola, 52 scatole, finalmente potemmo giocare a carte e Dori, che è anche cartomante, cercava di scrutare la nostra sorte. Bruciammo tre volte, per la rabbia, la dama di picche, che porta male». Come slete stati trattati? -Civilmente — risponde Dori —, in modo ineccepibile, secondo le loro regole. Ad ogni modo mai ci e stata fatta violenza». Aggiunge Fabrizio: «/ custodi sostenevano che anche quelli "di sotto"gli avevano detto che dovevano trai tarcibene». Remotl|g„

Luoghi citati: Pattada, Sassari, Tempio Pausania