Veleni e petroli
Veleni e petroli Veleni e petroli L'inverecondo spettacolo dei ricatti, degli «avvertimenti», delle ritorsioni attorno alla presidenza dell'Eni si svòlge come se la posta in gioco nulla avesse a che fare con l'avvenire dell'industria petrolifera del nostro Paese. Non si avverte, neppure tra le righe, che proprio in questo periodo la struttura energetica italiana sta subendo condizionamenti cosi pesanti che possono comprometterla in modo irreversibile e non basterà certo ad assicurarne l'efficienza sciogliere il dilemma se mettere un Di Donna o un super-Grandi nel motore. Eppure, mentre attorno a questa vicenda si scambiano stilettate avvelenate, nessuno mostra di preoccuparsi del fatto che l'Italia è l'unico grande Paese industriale che le compagnie petrolifere internazionali, grandi e piccole, stanno abbandonando sempre più in fretta. Prima furono la Shell e la BP. Poi seguirono la Conoco, la Marathon, la Cities Service, la Getty Oil. La società pubblica francese Total sembra intenzionata ad emularle come hanno già fatto la tedesca Arai e l'Amoco della Standard Oil of Indiana che ha annunciato in questi giorni la vendita dei suoi 1200 impianti. Da ultimo, la Esso, la prima società del mondo nella classifica di «Fortune», ha deciso di annullare gli investimenti in Italia e il suo presidente si è fatto ricevere da Spadolini per spiegargli che questo è solo un preludio al taglio degli approv vigionamenti e alla cessione delle raffinerie e dei distributori. bcpdsfadsomuslauccplpfartpvtcpgprtaLa fuga delle compagnie non è dovuta solo alle perdite subite in Italia, per anni superiori a quelle verificatesi nel resto d'Europa, ma alle inadem pienze croniche delle nostre autorità amministrative e poli tiche che hanno creduto di potersi comportare, anche verso società abituate a vivere secon do le leggi del mercato, con la noncurante mentalità antindustriale applicata nei confronti delle imprese italiane. Cosi, mentre nel piano ener getico sta scritto che «la perma nenza di una pluralità di opera tori, in particolare quelli che hanno accesso diretto a! petrolio, è una esigenza fondamentale di sicurezza e di efficacia», l'amministrazione e il governo hanno sistematicamente viola to le stesse norme che in proposito si erano date. Il metodo, ad esempio, di variazione dei prezzi petroliferi era stato ade guato ad una media europea verificata settimanalmente, con una clausola di modifica al rialzo o al ribasso decisa dal Cip ogni qualvolta si fosse ri scontrata una differenza del per cento. Ebbene quando questo 4 per cento scattava al rialzo il Cip non «riusciva» mai a riunirsi tempestivamente (i ministri non si trovavano, i conti non erano pronti, ecc.). Nel 1960 la media delle decisioni «ritardate» fu di 27 giorni, nel 1981 di 48, con punte per gli ultimi due adeguamenti di 81 e 106 giorni e perdite aggiuntive di centinaia di miliardi. Quando, però, i prezzi petroliferi presero a scendere l'amministrazione ritrovò tutta la sua solerzia e la decisione del 4 febbraio di diminuire la benzina scattò nello spazio di 12 ore. Ma questo è solo un esempio della scarsa affidabilità della amministrazione italiana che ha esasperato gli operatori internazionali. Un altro caso è il passaggio, da tutti promesso ma mai attuato, del gasolio al cosiddetto «regime di sorveglianza» che consentirebbe, come già avviene per l'olio com UzcdasMdpmsqNsor bustibile, un adeguamento controllato ma automatico del prezzo. Forse qualche partigiano della fuoruscita dal capitalismo e dal libero mercato può fantasticare sui vantaggi che la dipartita volontaria delle Sette sorelle petrolifere e delle loro minori parenti comporterà per un cane a sei zampe libero di spaziare da solo per la penisola. Sarà, però, bene prenda una matita e faccia qualche facile conto: l'Italia consuma circa 100 milioni di tonnellate di petrolio all'anno e di queste l'Eni ne può garantire dai propri giacimenti circa 10-12. I rifornimenti erano, quindi, fino ad alcuni anni orsono, assicu rati per il 90 per cento dalle al tre compagnie, ma con il loro progressivo ritiro l'Eni — attraverso l'Agip — è ormai costret to a coprirne più del SO per cento. Questo fatto spinge l'ente pubblico a fare contratti a lungo termine anche quando i prezzi sono elevati, ad assicurarsi scorte imponenti, a garantirsi preventivamente di fronte a sempre possibili crisi. Il ri-
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