Il vento dell'impegno in America di Furio Colombo

Il vento dell'impegno in America SUSAN SONTAG ATTIZZA LE POLVERI: «COMUNISMO UGUALE A FASCISMO» Il vento dell'impegno in America Lo si avverte in molti film radicati nella politica e nella storia («Missing» di Costa Gavras sul colpo di Stato in Cile, «Reds» di Warren Beatty sulla rivoluzione russa) - Ma ci sono soprattutto dibattiti tra intellettuali e artisti sulla Polonia, sul Salvador, sulla «linea Reagan» Ma quale impegno? - Dice la Sontag: «L'elenco degli errori compiuti con i buoni sentimenti è più lungo dell'elenco delle buone ragioni» NEW YORK — Un teatro pieno di gente fino all'inverosimile (Town Hall in New York) attende, all'inizio di febbraio, Susan Sontag cìie deve parlare sul «Comunismo oggi-. Il dibattilo che segue è cosi accanito, cosi appassionato che continua per settimane su giornali, riviste, in interviste radiofoniche, seminari universitari, e vi partecipano Gore Vietai, Pete Seeger, Kurt Vonnegut, preti della Curia di New York, studiosi come Noam Chomski, Seymour Martin Lipset, Andrew Kopkind. La linea die divide i partecipanti, anche qui, è la Polonia («Il comunismo è uguale al fascismo», ha affermato la Sontag, dopo avere parlato con passione della crudeltà repressiva di quel P"ese). Ciò che rende piii vivo il fermento è il Salvador (è una lotta di liberasione o un confronto sanguinoso fra spietati detentori e spietati aspiranti al potere?). Nuovo non è né l'uno né l'altro argomento. Ma nuova — cioè sema precedenti in più di dieci anni—è la grandiosità del dibattito, il fatto che possa coinvolgere come un fuoco estivo tutti i nomi più celebri, il fatto che nessuno si tira indietro, die in tanti, dalle università allo spettacolo, sembrano avere concitatamente qualche cosa da dire. «Ci deve essere stata una svolta nel 1982», lia detto con sincero stupore Susan Sontag (Il suo intervento a Town Hall avrebbe dovuto essere una condanna fra tante della repressione in Polonia). Se questa svolta c'è stata, viene In mente la famosa frase del produttore Selznic, noto per avere detto negli Anni Cinquanta: «Mi dicono clic è fi» ni la la moda dei film di guerra. Mettiamo subito in produzione un paio di film di guerra». A questa «svolta- non ha pensato Francis Ford Coppola. Il suo' «One from the hearth», immaginato come grandiosa storia privata per un tempo in cui trionfa il privato, langue in poche sale faticosamente affittate dallo sfortunato autore. Intanto la folla che aspetta di vedere «Missing», film del greco Costa Gavras ma dì produzione americana, con Jack Lemmon e Sissy Spacek, dedicato al colpo di Stato in Cile, rischia di interrompere il traffico intorno alla Tersa Avenue. «Missing», come il discorso della Sontag, ha portalo a imprevisti dibattiti, e non fra i critici (ha avuto approvazioni quasi incondizionate, con la sola eccezione della rivista Time) ma, per esempio, fra il Dipartimento di Stato, die contesta la verità del fatti Ci fatti del film effettivamente non sono documentati eppure sono presentati come se fossero cronaca) e il Catholic New York.orc/ano ufficiale della diocesi, die scrive nel suo ultimo numero: «Se siano veri i dettagli non è importante. Importante è la presa di posizione morale che il film impone agli spettatori e il senso di partecipazione, di compassione e di pietà, tutti sentimenti cristiani, che ispira». La fortuna cinematografica di «Missing» è superala solo da un altro film politico, «Reds» di Warren Beatty (trailo dal classico sulla rivoluzione di ottobre «I dieci giorni die' sconvolsero il mondo» di John Rccd, e a John Reed dedicato) che si presenta con un carico di «nomtnatlons» (migliore regìa, miglior film, migliore interpretazione maschile e femminile, miglior copione) alla prossima serata degli Oscar. Nella graduatoria degli incassi un altro film non è molto lontano da «Reds» e da «Missing». Si intitola «Taps» (Taps è il segnale del silenzio in caserma) ed è la storia di un reggimento di.cadetti die dopo essere stati appassionatamente educati alla vita militare da un vecchio generale, reagiscono a una situazione difficile appunto da militari. Prendono le armi, sequestrano la scuola, combattono contro la polizia e la Guardia nazionale. Insomma diventano una unità terrorista, figlia accidentale del sistema die li stava educando. Il successo, l'interesse e la disputa che circonda questi film non avviene nel vuoto. Sono i giorni in cui Broadway, dopo molto tempo, ha un dramma sul Vietnam («How i got the story») di Amlln Gray, considerato dal New York Times «di capitale importanza». I.giorni in cui due autori diversamente famosi, il premio Nobel Saul Bellow e Paul Theroux (forse lo scrittore giovane più amato dalla crìtica e dagli «autori seri» in America) presentano due romanzi «politici» («Ttie Dean's Win ter» e «The Mosquito Coast»), storie in cui l'intreccio dei grandi fatti della storia di oggi non è solo la cornice ma anche il senso delle storte private. Ma è anche una stagione in cut il resto della cultura occidentale sembra singolarmente intonata a questa «svolta» del sentimenti americani. Ar- rivano dall'Italia i film di Bertolucrt e di Rosi, entrambi segnati dalla ferita storica del terrorismo, arrivano i due film tedeschi «Das Boot» (prima ricostruzione della guerra vista dalla parte tedesca) e «Ctrcle of Deceit», storia privata impastala con un film documentario su Beirut e la distruzione del Libano. E fra t candidati agli Oscar, due dei quattro «migliori film stranieri» (t «Tre fratelli» di Rosi e «L'uomo di ferro») sono film radicati nella politica e nella storia. Anche il mondo universitario sembra toccato dalla stessa tensione. Escono insieme, dalla Columbia e dalla Chicago University Press, due testi scientifid centrati su problemi politici. « The ethnopolitics» di Joseph Rotschild esamina il problema di far politica a partire da una base di identità etnica e analizza in questa chiave quasi tutte le rivolte e le tensioni del mondo. «Tradition», del filosofo Edward Shils, affronta il rapporto fra senso della storia, desiderio di progresso e richiamo alla tradizione: un saggio cioè sull oscillare fra l'idea conservatrice del passato e l'entusiasmo progressista per il futuro coni", crocevia della storia. Benché viva a cauta aistanza dalla cultura persino la televisione si è lasciata coinvolgere da questo inatteso «ventodi impegno». Lapopolare serie televisiva «Lou Grant» ha cominciato da qualdie tempo a dedicare ogni puntata a un tema di interesse politico intrecciato a piccole storie locali. La fame nel mondo, la protezione contro la corruzione politica, la condizione delle minoranze, il destino degli ultimi profughi (vietnamiti, cambogiani) sono diventati spunti tipici della serata. La spiegazione di questo fenomeno, nella lettura che ne offre Pat Caddell, testimone non disinteressato ma ricco di esperienza (Caddell era un giovanissimo esperto di sondaggio di opinione quando ha cominciato a lavorare con Carter, di cui ha predetto sia la vittoria sia la sconfitta), è che «la polarizzazione era inevitabile». Il presidente Reagan, secondo Caddell, ha portato una nuova classe e una impronta profondamente dtversn in» solo nella linea di governo ma anche nella filosofia e nello stile. Il fatto che questa filosofia e questo stile si ispirino con tanta forza a una visione conservatrice ha finito per risvegliare sentimenti diversi, per incoraggiare la ripresa della controversia politica, per moltipllcare la voglia di intervenire. «Bisogna notare il fatto che un presidente che è stato attore produce prima di tutto una mobilitazione di attori. L'osservaziona è giusta. Ed Asner è l'interprete televisivo della serie "Lou Grant". Ma è ancru presidente del sindacato rie»il attori e uno dei più app tsslonatl oppositori di ogni ntervento americano ne1 Salvador». Uomini altrettar.: jolti come Gore Vidal e Uilam Buckley dedicano un giudizio drasticamente diverso a questa serie di eventi. Buckley nella sua rivista National Revlew è sarcastico fino alla ferocia. Gore Vidal pensa che sia giunto il tempo di un impegno politico personale. Sta pensando di candidarsi al Senato per le elezioni della fine di questanno. George Plimpton e Norman Mailer sono pronti a schierarsi per Kennedy, non fanno mistero di essere disposti a partecipare alla campa¬ gna elettorale e non perdono occasione di lasciare il segno della propria posizione politica. Plimpton è stato l'autore del discorso dedicato a Kennedy nella festa del suo 50° compleanno, alcuni giorni fa allo Hamsley Plaza di New York. Ma c'era anche una nutrita delegazione di Hollywood e di Broadway, capeggiate da Laureen Bacali, da Alan King, proprio mentre, la stèssa sera, pattuglie di attori, cineasti, registi e presentatori televisivi facevano festa col presidente alla Casa Bianca. Susan Sontag non è sicura che tutto ciò che sta accadendo sia «meglio» anche se non le,dispiace che sia finito «11 silenzio intellettuale» in America. Teine però la distanza fra la cultura americana e la storia. «I buoni sentimenti — dice — sono un territorio modesto per avere una visione politica. L'elenco degli errori compiuti con i buoni sentimenti, d'impeto e senza conoscenza di causa, è più lungo — ho paura — dell'elenco delle buone ragioni». L'argomento della Sontag parte dalla polemica su comunismo e libertà che l'ha così intensamente coinvolta nelle ultime settimane. «Come è possibile — si chiede — che vi sia stata una cosi nitida e intollerante visione di "tutto il male a destra" (una posizione che la Sontag condivide completamente) mentre l'analisi del male a sinistra, della sua repressione e delle sue stragi di identità, di talento, di libertà nei Paesi socialisti abbiano fatto alzare ben poche bandiere?». «C'è qualcosa in comune fra destra e sinistra americana — dice George Plimpton —. Ed è il disagio verso tutto ciò che non è americano. Gli uni rifiutano troppo, gli altri abbracciano tutto ». «Non vorrei che democratici e liberali si illudessero — avverte Pat Caddell — di arrivare alle prossime elezioni sulla carrozza di una bella mobilitazione di massa. Tutti 1 fenomeni a cui stiamo assistendo riguardano poca gente. Meglio il clamore che il silenzio, ma nella confusione delle buone intenzioni si rischia di costruire ben poco». Come altri esperti politici, Caddell teme che questa folla di intellettuali e cineasti pronti al risveglio politico somigli un poco alla leggenda del guerriero che torna, ma nel secolo Sbagliato e con l'armatura sbagliata. ■ Conferma Robert Hunter, che dopo essere stato consigliere di Carter è ora professore al Center for Strategie Studies della Georgetown University (lo stesso centro in cui lavoravano molti uomini dell'attuale amministrazione repubblicana): «I problemi sono diventati diversi, con in testa l'economia, l'occupazione, 11 costo del lavoro, l'importazione, le banche. Forse avrò poca fiducia nella narrativa, nel cinema o nella nuova saggistica. Ma non ho ancora trovato né buone storie né buoni testi che siano uno scenario plausibile per 1 problemi completamente nuovi che abbiamo davanti. Nuovi, e diversi, rispetto agli Anni Sessanta. Io vorrei dire al nuovi impegnati: "Attenzione alla nostalgia"». Furio Colombo Susan Sontag in una caricatura di Irvine (Copyright N.Y. Revlew of Books. Opera Mundi c per l'Italia .La StamiH.)