Longoni, il pittore proletario

Longoni, il pittore proletario RISCOPERTO A MILANO L'IMBIANCHINO CHE RITRAEVA IL MONDO DEI VINTI Longoni, il pittore proletario MILANO — A parte la fama e la grandezza internazionale di Segantini, solo a partire dagli Anni 50 si è ricominciato a prendere in considerazione storica e critica la complessa configurazione, i precedenti e le conseguenze del «divisionismo» che faceva centro a Milano fra ultimo decennio dell'800 e primo del 900, attraendo a sé anche artisti di area piemontese, ligure, toscana, prima di trapassare nella Roma della giovinezza di Balla, Boccioni, Severini. Ed è indubbio che a tale rlconsiderazione ha contribuito la rilettura degli omaggi resi dal primo Futurismo al Divisionismo, quale albore di modernità nel contestato «cimitero» della tradizione accademica naturalistica e veristica italiana. A parte le esposizioni che hanno permesso decisivi ap-. profondimenti di singole personalità, da Previatl a Pellizza da Volpedo, negli ultimi trent'anni questa riconsiderazione ha affinato conoscenze e strumenti, e ha superato ad esempio le elementari antinomie proposte dai futuristi nel 1010 per legittime ragioni di scuotimento vitalistico e di rottura rivoluzionaria: da una parte il luminoso splendore dell'antinaturalismo dinamico, del «compiementlirismo congenito», dell'immagine fortemente simbolizzata della vita moderna, dall'altra le tenebre Inerti del verismo. Questo affinamento ha fatto sì che si siano per più versi correlate, in domande e risposte, tre mostre che si sono susseguite presso la benemerita Permanente di Milano in collaborazione con il Comune: la Scapigliatura nel 1966, il Divisionismo nel 1970, quella dedicata ad Arte e Socialità in Italia nel 1979, cui va aggiunta anche, nello stesso 1979, quella di Medardo Rosso. Ora è la volta, dal 24 febbraio al 4 aprile, di Emilio Longoni (Barlassina 1859 Milano 1932), con più di ur. centinaio di olii e pastelli e alcuni disegni: sfigura in penombra», come osserva la Emiliani Dalai nel primo saggio in catalogo (l'altro, della Quinsac, tratta del sodalizio con Segantini In Brianza nel 1882-84; schede di Giovanna Glnex), nella quale si intrec¬ ciano singolarmente pratiche di mestiere «povero» ed echi del secondo '800 da Ranzoni a Mancini (a cui aggiungerei Medardo Rosso), verismo e patetismo sociale — anzi esplicitamente socialista — e simbolismo, dai Preraffaelliti a Wagner, dalla «poesia dei ghiacciai» alla filosofia «buddhista» propagandata in Italia dal De Lorenzo. Per quanto attiene alla pratica pittorica: il verismo ottico sfiora l'illusionismo nella materia é nel taglio compositivo delle Nature morte (cinque esposte), delle figure infantili culminanti in Chiusi fuori scuola del 1888 e della celebre Piscinina del 1891; dallo stesso 1891 del clamoroso Oratore dello sciopero, ri¬ scoperto solo un decennio fa con tutta la sua carica anticipatola anche rispetto a Pellizza, al 1894 della Venditrice di frutta, un personale divisionismo solarizzato, denso e calcinoso, sembra volere equilibrare verità sociale e sperimentazione del nuovo linguaggio, come un decennio dopo Balla e Boccioni. Nel medesimo anno 1894 Longoni espone le Riflessioni di un affamato, un ragazzo (un personaggio reale della «mala» milanese, detto «il ragno») che fissa d'inverno attraverso la vetrina del ristorante la «ceree dei ricchi», la cui riproduzione su «La lotta di classe del Primo Maggio» causa il sequestro del giornale e l'incriminazione per «istigazione all'o- dio di classe». La scena è notturna, come l'Alba dell'operaio, che l'amico Sottocornola dipingerà tre anni dopo e che figura nella sezione delle opere «correlate», ed è forse questo dato a far virare per la prima volta il divisionismo di Longoni in direzione di una suprema capillarità e minuzia, persino superiore a quella di Morbelli, dove l'uniformità «morbida» della luce avvolgente-vibrante le forme semplificate prevale sulla varietà e ricchezza cromatica. E' l'ultima opera esplicitamente «sociale» di Longoni, che, come uomo, si mantenne tenacemente fermo al suo socialismo di stampo originario, legato a Turati, a Gustavo Macchi, a Pompeo Bettini traduttore del «Manifesto dei Comunisti», fino a respingere il diploma di socio onorario dell'Accademia di Brera, e a rifiutare nel 1906 il premio Principe Umberto all'Esposizione Universale del Sempione. Ed è nel contempo il primo passo dell'ulteriore percorso, quarantennale, che, attraverso il momento simbolista, anche sul piano tematico, fra Sola! del 1900 e Armonie del ruscello rifiutato alla Biennale del 1903, sfocia nella fitta produzione di visioni di laghetti e ghiacciai della Valtellina e dell'Engadina: dove nei decenni forme e colori tendono sempre più a scorporarsi, a farsi evanescenti fino quasi all'annullamento in pura luminosità. Questa parte più nota, e più diffusa nel collezionismo lombardo, suscita singolari impressioni, anche contrastanti, cosi come è insito in essa il contrasto fra oggettività, quasi da fotografia iperluminosa, e ricorrenti simbolismi, come nella serie culminante nelle Sttf.lt: o L'Infinito del 1914: ciò nasce, nelle nostre abitudini mentali, dal vedere 1 temi tipicissimi di Segantini prima, e di Pornara poi. espressi nel linguaggio di una linea divisionista diversa fino alla contrapposizione, quella di Vittore Grubicy e di Morbelli, oltre a tutto portata al di là della già estrema scorporazione lumistica del Sole di Pellizza da Volpedo. La spiegazione consiste probabilmente nel fatto che, sotto la superficie di accultu¬ razione cui Longoni fu sottoposto e fervorosamente si sottopose attraverso l'opera degli amici letterati, soprattutto Gustavo Macchi, persisteva di fondo la lunga abitudine ad un povero mestiere proletarizzato nel senso più concreto del termine: il mestiere di chi si manteneva agli studi a Brera facendo l'imbianchino, il verniciatore, il coloritore di «belee», cioè di giocattoli di cartapesta; e di chi, ancora negli anni 1890, di ormai raggiunta notorietà quanto meno polemica, sosteneva la sua orgogliosa povertà di libero pittore socialista decorando i mobili di Bu gatti e replicando in più versioni «ritratti da fotografia» — dichiarati tali in calce all'olio o al pastello —. Con il risultato, d'altra parte, che «ritratto da fotografia» è anche uno dei due capolavori dell'epoca, assieme al Carlo Rotta di,Segantini, fra i ritratti dei benefattori della Ca' Grantìa di Milano: la Savinia Alfieri Nasoni. Marco Rosei Emilio Longoni - La Piscinina {1891 - Gallarate, coli, privata) 1