E Hollywood si vestiva da noi

E Hollywood si vestiva da noi In mostra a Roma il disegno dell'Alta Moda italiana negli anni 1940-1970 E Hollywood si vestiva da noi roma — Nel 1932, a dieci anni dalla marcia su Roma, Mussolini si occupa di abbigliamento. Occorre valorizzare le forze artistiche, artigiane, smetterla con la mania esterofila delle teline venute dalla Francia. Le sartorie sono obbligate, almeno per un quarto delle loro collezioni, a creare una linea italiana: per saggiarla c'è, appena nato, l'Ente Nazionale della Moda, sede in Torino, cui spetta il marchio di garanzia, da apporre sul disegno. Si deve credere che le sarte fossero poco osservanti; nel maggio 1940 il settimanale Lei ha in copertina un modello di Nina Ricci. In quanto alle donne Capaci di far da sé o con sartina sotto casa, scoppiata la guerra, vivono nel ricordo degli essenziali abiti degli Anni Trenta, delle ultime suggestioni francesi o volgono in gusto sportivo la necessita di difendersi dal freddo. Un po' poco per leggervi «un'ottima premessa per la nascita d'una moda indipendente di marca nostrana-'. Ipotizzata nelle esortazioni per una moda ufficiale fascista pubblicate, in quell'inverno '40, dalla rivista Bellezza, poteva semmai nascere dalle pastoie dell'autarchia grazie alla creatività, fra classicismo e intuizioni d'avanguardia, di Germana Marucelli. Oli abiti della sartoria Zecca, delle Oandini e Ventura, la grande foto della prima sfilata autarchica, le indossatrici prosperose, stanno, è vero, un po' in disparte, alla mostra «Il disegno dell'Alta Moda italiana 1940-1970», che inaugurata nella sede della Calcografia Nazionale a Fontana di Trevi, resterà aperta tutto marzo: ma anche cosi, in sede di antefatto, il tentativo d'una nascita precoce della moda italiana non regge. Sfasamenti più o meno volontaristici, connessi con i recenti ampliamenti nei criteri della conservazione e dell'esposizione, che finalmente consentono di trovare un posto anche per la moda, progetto e manufatto, ritratta dal fotografo o dal critico. Da Parma a Roma, dal futuro archivio della moda alla metodologia sperimentata dalla curatrice della mostra romana, Bonizza Aragno Giordani, che dell'Alta Moda ha voluto tentare per la prima voi- ta un profilo storico. E' un profilo che se sembra azzardato far cominciare con l'autarchia, non appare, a distanza di trent'anni, coincidere nel suo avvio nemmeno con la data ufficiale di nascita dell'Alta Moda italiana: quel 12 febbraio 1951, a Firenze, quando Gian "Battista Giorgini fece sfilare nella sua villa centottanta modelli di sarti italiani per dimostrare ai compratori dei grandi magazzini d'America che, come avrebbe scritto Eugenia Sheppard, ola moda italiana era semplicemente diversa dalla francese». Lo era certo per tessuti, femminilità, gusto del colore, abilità artigianale. Ma alla mostra romana i disegni di Schuberth, delle, sòrelle Fontana o di Caro&W per restatagli Anni Cinquanta, turbano il ricordo W di un innegabile successo del primo «made in Italy», vivo sotto i nostri occhi, in serate memorabili nella Sala Bianca di Palazzo Pitti e poi sostenuto dalla leggenda rapidissima: le Fontana chiamate a Hollywood a vestire dame e dive, Schuberth adoratb dalle attrici e dalle donne del set internazionale, Elizabeth Taylor che si vestiva da Maria Antonelli. I disegni, più che altro schizzi a penna, a matita, raramente a tempera o acquarello, denunciano frequenti echi della moda francese; interpretata magari in chiave più dolce, più attenta al fisico reale della donna, estrosa e insieme portabile, ma con richiami a Balen,ciagà.a,tGlvehch'y. , In effetti l'interesse per l'Italia e là sua moda era complementare alla fortu¬ nSro na del nostro cinema, da De Sica a Rossellini, all'ammirazione per le nostre «maggiorate»: da un lato i film realisti, dall'altro, al polo opposto, «culto sfrenato dell'orpello, immagine di lusso hollywoodiano» e l'arcadia della stravaganza. Lo sottolinea nel suo intervento al catalogo Renato Badili, che considera gli Anni Cinquanta come «il periodo peggiore per la nostra moda del secondo dopoguerra». Del resto il «made in Italy» che incantò da Firenze il mondo fu la maglieria, fu quella che una volta si chiamava boutique e divenne il prét-à-porter (e Bargellini, allora sindaco del capoluogo toscano, voleva italianizzarlo in moda «beli' pronta»), furono le sete e gli abiti di Emilio Pucci, la fantasia degli accessori, guanti, scarpe, cappelli. Merito della mostra romana è avere offerto il reale panorama degli stilisti che via via disegnarono per i nomi famésh prima'di ave re;un atelier frj*prop»io o di 'prèndere ^altré strade:' da Rosana Pistoiese ad Anto nio Pascali; da Mario Vigolo a Balestra, da André Laug ad Ata De Angelis, ma anche Chino Bert, oggi monaco benedettino, che porta al successo, con la sua tecnica degli inserti. Mila Schon. Le Case francesi non hanno mai nascosto il nome dei loro stilisti, le italiane quasi sempre. Ma siamo orami agli Anni Sessanta, quando davvero l'Alta Moda italiana si trasforma, crea e nel momento in cui muta la donna e dalla mini inglese all'unisex si accendono altri trampolini di lancio, la strada conta quanto l'atelier per un nuovo modo di vestire, anch'es-' sa è libera, sa dire una sua parola autonoma. Il palazzo-pigiama di Irene Galitzine. Lancetti che nel 1963 anticipa con la linea militare uno stile che presto dilagherà nel mondo; e poi Valentino e i suoi ventiquattro modelli tutti bianchi e Forquet, magico, attivo sino al 1971. Sono stilisti coltivati e insieme ricettivi al massimo del fluire del tempo, ricchi di interessi culturali, esprimono nell'Alta Moda i passaggi del gusto a livello artistico e letterario, come Lancetti o Capucci (che dalla mostra è assente), pongono una solida perizia artigianale al servizio di una fantasia, che è linea e anche, soprattutto per Lancetti, creazione di stupendi tessuti. Non per nulla i loro disegni-progetto sono fra i più belli della mostra. Non per nulla è correndo gli Anni Sessanta che la fotografia di moda, uscendo dalle secche di un'ideale perfezione fra modello e modella, vive l'effimero dell'abito come documento del reale che accelera il suo mutare, imprime una durata all'avventura della moda, liberazione e fuga, gioco irripetibile, travestimento. Cosi è proprio la sezione «Moda e ritratto - fotografi per una linea italiana», perfettamente curata da Federica Di Castro, a offrirci più che un complemento della mostra romana, l'intatta, inquietante risposta al tempo attraverso l'inafferrabile vitalità delle apparenze di moda, colte, fissate, ironizzate, ricreate da Ugo Mulas o da Oliviero Toscani, da Willy Rizzo o da Elisabetta Catalano -.fino al giovane 'Fabrizldtfferri. $ Lucia Sollazzo D ffi d òdi di l'l d A ii 'imi di El H d ll di Olii Ti Due fotografi, due mòdi di presentare l'alta moda. A sinistra un'immagine di Elsa Haertter, a destra quella di Oliviero Toscani