I fisici «ariani» che condannarono la relatività «ebraica»

La scienza sotto il Terzo Reich La scienza sotto il Terzo Reich I fisici «ariani» che condannarono la relatività «ebraica» seguire le vicende dei fisici nel Terzo Reich può trovarne un minuzioso ragguaglio nel volume di A. D. Beyerchen, Gli scienziati sotto Hitler edito da Zanichelli. Meno facile sbarazzarsi delle loro scoperte. Gerarchi a parte, che non capivano queste cose, nessuno scienziato «ariano» di valore (come appunto Planck o Heisenberg o Hahn) pensava di rinunciare alla relatività. Ma si trovarono, come sempre accade, degli zelanti: fondatori di una «fisica ariana», immune di contaminazioni straniere, furono Philipp Lenard e Johannes Stark. Non erano degli sprovveduti. Lenard s'era guadagnato il Nobel (nel 1905) per suoi esperimenti sui raggi catodici; Stark aveva avuto il premio nel 1919 per avere scoperto l'effetto che porta il suo nome: una riga dello spettro si divide in più righe sottili se la sorgente luminosa si trova in un forte campo elettrico. Erano dunque stati dei fisici attivi; ma negli Anni Trenta erano oramai «arretrati scientificamente» (E. Segrè), e non resistettero alla tentazione di farsi dei meriti presso i vincitori. I fondamenti della «fisica ariana», da essi promossa, consistevano nel rifiuto della relatività, nonché di altri recenti acquisti della fisica teorica: nel proclamare la superiorità dell'esperimento sulle teorie: con l'aggiunta dell'idea che anche la scienza è condizionata dalla razza e dal sangue (e che razza e scienza nordiche sono superiori). II libro del Beyerchen si dilunga a illustrare quelle trovate, che peraltro la maggioranza dei fisici rimasti in Germania non presero gran che sul serio, mentre le autorità politiche non prestarono ad esse molta attenzione. Heisenberg, l'inventore del principio di indeterminazione, per difendere sé e il suo lavoro, fini col ricorrere — figurarsi — a Himmler. e ne fu assolto da pretese eresie. Ma la guerra oramai volgeva al disastro. NEGLI anni che da vicino precedettero e seguirono l'avvento di Hitler al potere, molti scienziati tedeschi dovettero andarsene dalla Germania. Tra essi, ben venti studiosi, i quali o già avevano conseguito il Nobel o l'avrebbero conseguito poi, e che occupavano posti o cattedre a Berlino. Gottinga, Amburgo, Lipsia, Tubinga. Friburgo, Darmstadt. Se n'andarono Gustav Hertz e James Franck, studiosi delle interazioni fra gli elettroni e le molecole dei gas; Erwin Schròdinger, fondatore della meccanica ondulatoria; Max Born. che lavorò allo sviluppo della meccanica quantistica (e che. in una sua Autobiografia, raccontò poi le esperienze sue proprie e dei suoi colleghi di quegli anni); se n'andarono Hans Bethe. che doveva formulare una teoria sulla produzione di energia nel Sole e nelle stelle; e. più famoso di tutti. Albert Einstein. Uguale sorte ebbero altri che, non insigniti del Nobel, non per questo furono meno meritevoli delle scienze, come i matematici Richard Coùrant e David Hilbert ; e il fisico Edward Teller, che doveva avere poi molta parte nello sviluppo della bomba H. Emigrarono essi soprattutto verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti; Lise Meitner, cui spetta non poco merito per la scoperta della fissione, se n'andò in Olanda e poi in Svezia; parecchi (tra i quali Bethe e Teller) passarono a Roma, ma. con le leggi razziali italiane del '38. non poterono fermarsi. Quasi tutti erano ebrei, qualifica che. per il Fuhrer, non ammetteva ripensamenti. Erano i nemici, per eccellenza: se qualcuno di essi aveva fama di avere fatto qualcosa di buono doveva averlo rubato. Uno scienziato di puro sangue germanico. Max Planck, fondatore delia teoria dei quanti, tentò di fare intendere al Fuhrer il danno che poteva derivare al Reich dal privarsi di quegli studiosi: ma riuscì soltanto a farlo imbestialire. Di tutti i diavoli che aveva in corpo quel forsennato, l'odio contro gli ebrei era il più furioso. Facile ai nazisti sbarazzarsi degli scienziati di sangue impuro. Chi voglia Nell'India colonialista, il conia del tè», o come in Cina dove fino al XII secolo i più raffinati aggiungevano un cucchiaino di sale (mai e poi mai di zucchero, ne guasterebbe l'aroma). ■ E a questo punto nessuno tira in ballo l'India perché è vero che il tè indiano è ormai il più famoso nel mondo, ma sono stati gli inglesi a introdurne la coltivazione in India. A Ceylon che era stata un tempo possedimento arabo, si coltivava caffè e fu a causa della smodata passione britannica per il tè che nel 1869 tutte le piantagioni di caffè vennero convertite in piantagioni di tè. Anche per gli inglesi bere tè è una cerimonia: 'Zucchero? Quante zollette? Limone o latte?». Già perché latte? Inorridiscono tutti gli orientali alla sola idea del latte nel tè. Mentre i tibetani no, ci mettono addirittura il burro. Tutti i gusti sono gusti resta però fermo il fatto che il tè batte il caffè: 300 miliardi di tazze all'anno contro un miliardo o poco meno di tazze di caffè. E da noi? Si sta appena cominciando ad apprezzare il tè, a distinguere tra i vari tipi, a capire che ci sono tè per la prima colazio¬