Spriano: Lenin lo amava ma Stalin no

Apocalisse fra 17 anni Apocalisse fra 17 anni Sprìano: Lenin lo amava ma Stalin no Jotti: ancora oggi sento il valore di quel reportage Esce ai primi di marzo da Mondadori un nuovo libro nel filone del terrore cosmico. Dopo il successo di Sopravviveremo al 1982? di Caterina Kolosimo, dopo Catastrofi a scelta di Asimov, è ora la volta di 1999, L'anno dell'Apocalisse. Autore Charles Berlitz, già noto per II triangolo delle Berrnudc, pubblicato anni fa da, Sperling & Kupfer. Dai profeti ebrei, a Nostradamus, agli attuali «sensitivi», a molti scienziati «seri», tutti sono d'accordo nel compiacete il lettore che ama sentirsi raccontare e riraccontare un'imminente fine del mondo. JOHN Reed, come tanti altri della mia generazione, lo incontrai nel '45 — racconta Paolo Spriano, storico comunista —. Novembre '45: mi ricordo che avevo vent'anni e comprai il "Politecnico" di Vittorini a un'edicola di Porta Nuova, a Torino. Era uno dei primi numeri della rivista, il numero 6, e pubblicava alcune pagine dei "Dieci giorni che sconvolsero il mondo". Il libro fu pubblicato l'anno dopo, nel 1946, da Einaudi, nella collezione intitolata proprio "H Politecnico": e io. tra l'altro, mi iscrissi al pei proprio in quel 1946». «Come lo ricordo? Devo dire che per un giovane era tutto ciò che ci si attendeva allora, con l'immagine romantica e vivida di quella rivoluzione. Reed era un grande giornalista, con senso epico. Chi lo ha letto, non dimentica la scena del suo arrivo al Palazzo d'Inverno, la sera in cui fu conquistato, quando trovò ancora i vecchi maggiordomi in livrea, disorientati, in mezzo alle Guardie rosse con i-fucili in mano. O il racconto dei primi grandi funerali delle vittime della rivoluzione, al suono dell'Internazionale sulla piazza Rossa, immagini da Eisenstein». «Questo è il mio ricordo di allora, da ragazzo. Da storico, devo aggiungere che una serie di articoli sui soviet spediti da Reed ad una rivista di estre¬ T O quel libro l'ho scoperto un po' tardi. Nell'inverno '56-'57, dopo il XX congresso — ricorda Nilde Jotti, presidente della Camera dei deputati —. Anch'io allora, come tanti comunisti, volevo ripercorrere le prime tappe del faticoso e tormen-. tato cammino che portò alla costruzione della prima società socialista. E devo dire che il resoconto scritto da John Reed mi colpì e mi impressionò molto, tanto che tuttora sento tutto il valore di quel reportage». ma sinistra americana, furono pubblicati nel giugno del ' 19 dall' "Ordine nuovo" (settimanale) di Gramsci, e furono oggetto di discussione nel gruppo torinese, proprio per preparare anche a Torino il movimento dei Consigli. I "Dieci giorni", restano comunque una delle fonti indispensabili, per ogni storico.* D libro, d'altra parte, ebbe l'avallo più straordinario che si possa immaginare, se si pensa che la prefazione alla prima edizione americana fu proprio di Lenin, che scriveva: raccomando i "Dieci giorni" senza riserve agli operai di tutto il mondo. Proprio perché il racconto era così autentico, e dava a Trotzcky il posto che gli spettava accanto a Lenin come artefice della rivoluzione, fu prima attaccato aspramente nel '24 da Stalin, e poi fu fatto sparire Ma li su quelle pagine, si è poi basata tutta la storiografia. E non è un caso che in Italia il libro sia stato pubblicato proprio da Vittorini e dal «Politecnico»: quella era proprio la stagione culturale in cui uomini come Vittorini avevano due precisi punti di riferimento: l'America di Hemingway. Faulkner e Steinbeck, e la Russia degli Anni Dieci e Venti».

Luoghi citati: America, Eisenstein, Italia, Russia, Torino