Nel boudoir di Sibilla la cultura italiana da Papini a Quasimodo di Angela Bianchini

Vita e lettere della Aleramo Vita e lettere della Aleramo Nel boudoir di Sibilla la cultura italiana da Papini a Q nasini ed DECINE di ritratti di personaggi vivi e, ormai, per lo più, scomparsi, quasi tutti celebri nella vita culturale italiana dal 1892, diciamo, ai nostri Anni Sessanta, una sorta di retrospettiva gigantesca che taglia decisa attraverso i primi fermenti dell'emencipazione femminile (il congresso di Roma del 1908, i lavori dell'Unione femminile, la lotta per il suffragio alle donne), il socialismo assistenziale e riformatore delle scuolette dell'Agro Romano e Pontino, le novità della Nuova Antologia, della Voce, del futurismo, la vita intellettuale di Parigi intorno alle riviste e ai teatri, il dannunzianesimo, l'antifascismo di Gobetti, e poi l'appiattirsi della cultura italiana fino alla guerra, fino alla liberazione, con l'apporto delle nuove leve, della sinistra e, particolarmente, del pei: tutto questo nelle 350 pagine dense di testi e di fotografie (alcune bellissime) dei tanti testimoni di Sibilla Aleramo e il suo tempo, vita raccontata e illustrata a cura di Bruna Conti e Alba Morino edito da Feltrinelli. Certamente una formula nuova che unisce il vantaggio del documentario televisivo con la riflessione critica, ma anche apparentemente acritica, distaccata, e possibile soltanto per l'informazione non ancora totalmente sfruttata, anzi piena di sorprese, del Fondo Aleramo, depositato all'Istituto Gramsci per volontà della scrittrice. Una ricchezza salvata per miracolo, che suona quasi a ironia quando si pensi che, per anni e anni. Sibilla fece miseria (non soffermiamoci davvero a giudicare la pensioncina concessa sotto il fascismo per intervento della regina Elena), ebbe dimora prima in moltitudini di alberghi (nei bei tempi, anche di lusso) e poi soltanto nella soffitta di via M arguti a. divisa a tende per simulare stanze e servizi. Com'erano i letterati italiani? Ecco Sibilla Aleramo giovane in un disegno di Michele Cascella qui la vita di Sibilla che li amò, è il caso di dirlo, a bizzeffe, e ne conservò (per ingenuità, per masochismo?) le missive, quasi tutte, dopo le prime notti di effusioni, uniformemente irritate, fuggenti, addirittura furibonde. Un Wbo's who intimo, un Gotha erotico, ma, sopratutto, con l'eccezione di pochi che l'amarono davvero, Giovanni Cena, Michele Cascella, Tullio Boffa, Lauro De Bosis, forse, Dino Campana, per gli altri, tutti gli altri, Cardarelli, Boccioni, Emanuelli. Quasimodo, Matacotta, soltanto l'immagine monotona di ipocrisie, terrori e fughe maschili. E, in più, ognuno straordinariamente uguale a se stesso: sfuggente e gesuitico Papini; onesto e acuto Emilio Cecchi; scandalizzato davanti alla «malsania etico-letteraria», ma paterno Benedetto Croce. E che schedario di linguaggi epistolari, con alta incidenza di parole oggi inesistenti (per esempio, l'«ardenza»), e rigonfi un po' tutti, perfino Boccioni che odia gli alberi, ma è «inebriato» dalla «vita rude e fisica», e muore in guerra. Al di là della galleria dei ritratti, sta il potere agglutinante di «una donna», l'Aleramo, nello sforzo continuo per te¬ nere amanti ecorrisponden.: all'altezza della propria incredibile b' • di esperienze, della vivisezione ripetitiva del binomio morte-vita. Una negazione della realtà che andava oltre il semplice narcisismo e faceva sì che la sua bellezza, come osservò Clotilde Marghieri, in una delle testimonianze più pungenti, fosse sempre «tra i piedi, quasi una maschera di se stessa», in una teatralità priva di ironia, ma anche di invidia che l'accomunava all'amica Eleonora Duse. Saltano fuori, più vivaci dei legami ben noti con gli uomini, i contatti con le donne: e qui serve anche un altro libro, che raccoglie le lettere scritte a Lina Poletti, la «fanciulla maschia» per la quale, anche se l'amicizia durò breve tempo, l'Aleramo finì per lasciare Giovanni Cena. Sono interessanti queste Lettere d'amore a Lina, edite da Savelli, ma. disgraziatamente, appesantite da una sorte di postfazione, «frammenti di specchio nel discorso amoroso» di nuova retorica femminista e lesbica così gridata da far apparire quasi sobrio il civettare di Sibilla con le parole. Quanto disse, quanto scrisse, quanto amò. Sibilla! ma, sotto le fissazioni letterarie (per esempio, quella di essere la Colette nostrana), tutto sommato, la sincerità. Nella specchiera multipla che la riflette, l'immagine più struggente e vera è la sua. A tre anni dalla morte, un giorno, d'improvviso, l'illuminazione disperata: «Io avrei ieri pianto su me stessa se avessi ancora il dono delle lagrime... Per l'incredibile massa di vita che grava su di me,... Come, come ho potuto sopportar tanto, tanta gente tanta passione tante reazioni tanto pensiero e tanto lavoro, senza tregua mai, mai mai?». X Angela Bianchini Sibilla Aleramo e II suo tempo, a cura di Bruna Conti e Alba Morino. Feltrinelli, 351 pagine con 226 illustrazioni, 18.000 lire. Lettere d'amore a Lina, a cura di Alessandra Cenni. Savelli, 92 pagine, 4000 lire.

Luoghi citati: Feltrinelli, Parigi, Roma, Savelli