Datemi le parole giuste vi faccio un quadro

La poesia figurata La poesia figurata Datemi le parole giuste vi faccio un quadro T•ti GHE cosa di meglio, si chiede padre Pozzi verso la fine del suo robusto studio sulla poesia figurata, poteva fare un prete in una canonica sperduta o un frate nei grandi conventi stipati d'individui esposti alla noia, se non affaccendarsi intorno alla parola e al verso, inventando complicazioni sempre più intricate per occupare il cervello ed evitare l'accidia? Anagrammi, technopaegnia (carmi che coi loro versi scritti delineano una figura), acrostici, telestici (acrostici che formano parole non con le prime ma con le ultime lettere dei versi), palindromi (parole o frasi leggibili anche all'indietro), protei (frasi con parole intercambiabili senza perdere il senso), lipogrammi (frasi prive di certe lettere) eccetera, furono per secoli, medioevo o barocco, quello che il ricamo era per le comunità femminili, sorta di meraviglie come le stazioni processionali o i catafalchi nobiliari, spesso utilizzati anch'essi per ospitare a loro volta giganteschi calligrammi. Quando il cardinale Monti fece il suo ingresso a Milano nel 1636, sulla porta della chiesa di Sant'Alessandro campeggiava un dipinto con un gruppo di pastori musicanti sovrastati da un epigramma, che ne diventava l'emblema, e sovrastanti un testo poetico a figura di zampogna, che veniva contemporaneamente cantato da un gruppo di giovani veri vestiti da pastori: funzioni di perfetta circolarità e compiutezza, «poesia totale» della più bell'acqua. Affacciarsi a questo mondo è lasciare le strade maestre della poesia per addentrarsi in sentieri tortuosi e impervi, non tocchi più dal fuoco dell'ispirazione ma storditi da creazioni fin qui poco illuminate dalla critica. A questo regno delle invenzioni più spericolate ed esauste Giovanni Pozzi dedica uno studio di rara consistenza e certo di attualità, nel tardo gusto avanguardistico, nel fervore semiologico e nel caldo connubio delle arti. Esplora per primo, con tale ampiezza e sistematicità, questo continente spesso sostanzialmente barocco e simbolistico, una delle tante manifestazioni dell'incontentabilità umana, di una confessata impotenza o di una Calligramma composto in forma di chitarra di J. Praetorius s'imbatte in un autore o un'opera dove improvvisamente i vocaboli sembrano aver perso ogni peso, essersi spogliati quasi del loro senso ed esser rimasti li solo coi suoni combinati all'apparenza fisica delle lettere. Teocrito, il bucolico del III secolo avanti Cristo, componeva poesie che sulla carta rappresentavano una zampogna; Optaziano Porfirio cinque secoli dopo ne scriveva a forma d'organo o con inseriti dei versi che a loro volta rappresentavano simboli cristiani, croci o monogrammi. Poco dopo sarà la volta di Rabano Mauro, di Alcuino, degli acrostici e dei calligrammi medievali. E poi l'umanesimo, e poi la grande stagione seicentesca a Venezia, a Napoli, a Bologna. Ma se ancora Arrigo Boito scriveva graziosi o stravaganti palindromi, del tipo «recai piacer, e «era clima d'Amilcare», e il Pascoli componeva sonetti ove le prime lettere di ogni verso lette dall'alto in basso davano il nome delle sorelle, e Apollinare disponeva sulla carte orologi o cravatte o pipe — le pipe di Braque e di Magritte — fatti di parole. Tutto questo, necessariamente, sempre in splendidi manoscritti o volumi, meraviglia della bibliografia, con pagine quasi insondabili nella loro ricchezza di sensi anche all'indagatore più sagace, che non toccherà mai il fondo di queste acque scure. Il libro del Pozzi richiede ovviamente una dedizione di lettura non comune, sebbene scritto con piglio di scrittura e di partecipazione — o avversione — altrettanto forte. In una materia cosi cerebrale, a cui pure si dedica anch'egli con accanimento, non manca di riconoscere, accanto a «intenti espressivi altamente intellettualistici», «trastulli puerili di adulti sfaccendati», «confusioni angosciose della propria incapacità espressa e baldanzose esibizioni della propria insufficienza». Tra quei fuochi d'artificio si consumano spesso dei drammi; dietro quelle sequenze di parole si cela o su di esse cala silenzio. L'ingegno era sollecitato a sir estremi per supplire alla mancanza d^ e, nio e soddisfare l'eccesso dell'ambizione colmando di troppo il vuoto e appagando il troppo col vuoto. Quanto alle avanguardie novecentesche, i futuristi come i dadaisti e i surrealisti si sono rivolti non sporadicamente a quelle forme e sono ricorsi a collegamenti con la pittura — e viceversa — per un'esplicita e cosciente sfiducia nella parola e nei generi letterari. Il messaggio linguistico è ritenuto insufficiente per l'idea e per l'emozione anche negli altri accoppiamenti moderni del fumetto o della, pubblicità. Oggi la si chiama grafica o collage e ci si abbandona alla combinatoria di un computer. Quale non sarebbe stata davanti ad uno di questi ordigni la felicità o l'infelicità del Caramuel, spagnolo e vescovo di Vigevano verso la fine del Seicento, sommo creatore di lettere e numeri da associare a parole per combinare sonetti interscambiabili e autore egli stesso di ottave leggibili in settantun modi diversi! «K) «fO.fj.» 30iiti(P3<J93S<Iml(f<n!Mr/fi<ii3Nr Stipuli Mfern/ Millanti «iSOW,™ SI s sgg t* a. — il B » s? 3 9a - «MI r lw»«fe , « m e- B. .r s '«'Bruii Giovanni Pozzi. edizioni, pagg. 400 eittiSTclcIn. •i =?. §- B- * t Carlo Carena rola dipinta. Adelphi , lire 35.000.

Persone citate: Arrigo Boito, Braque, Carlo Carena, Giovanni Pozzi, Magritte, Optaziano Porfirio, Rabano Mauro

Luoghi citati: Bologna, Milano, Napoli, Venezia, Vigevano