Croce e la Francia

Croce e la Francia un nuovo libro e alcuni ricordi Croce e la Francia 18 maggio 1966. Rievoco a Parigi, nel corso di una solenne cerimonia promossa dalla Sorbona, Benedetto Croce, nel centenario della nascita. E' con me, come oratore, Etienne Souriau, titolare di Estetica allo stesso ateneo: i due discorsi appariranno in lingua francese, nell'ultimo fascicolo dell'annata della Revue d'esthétique. «Croce e la Francia». E' il tema che mi ero proposto. Rapporto complesso e difficile, ricco di sfumature e di chiaroscuri, al di là dei tanti autori d'Oltralpe familiari al pensiero del filosofo napoletano, al di là delle tante amicizie personali, destinate talora ad apparire «eretiche» o stravaganti nei liberali e nei democratici ortodossi francesi pur ammiratori del fondatore della Critica. Si pensi all'amicizia per Georges Sorci, risalente agli inizi del secolo, un'amicizia che affondava le sue radici nella comune ansia di revisione del marxismo e di superamento di certi schemi ormai desueti del socialismo scientifico. Un'amicizia che nasceva — mi spiegò Croce in una lettera del dicembre 1947 relativa al singolare autore delle Réflexions sur la violetta — «dalla piena sincerità delle sue parole, dal suo animo puro, da una ra ra fierezza di osservazioni e di giudizi, che mi erano tanto più giovevoli in quanto mi venivano da un uomo la cui formazione culturale e le cui disposizioni politiche erano affatto diverse dalle mie. Non bisogna accettare le cose che egli afferma come sentenze o conclusioni definitive, ma come stimoli mentati». Mai popolare, in fondo, Benedetto Croce in terra di Francia. Peserà, e a lungo, l'atteggiamento tendenzialmente neutralista e giolittiano del filosofo nel 1914-15, di fronte all'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale, allontanandolo dal cuore di molti francesi sotto la categorica e perentoria accusa di «germanofilo»; quei francesi che avevano imparato a conoscerlo nel 1904, attraverso la traduzione AtWEstetica curata da Henry Bigot, L'esthétique emme Science de l'expression et linguistique generale. Un 'opera fondamentale nella storia dell'Occidente e della cultura occidentale che sanzionava quasi avant lettre le forme più ardite della letteratura contemporanea e consacrava la forza di un'intuizione profetica, quel rinnovamento del gusto e quella rivoluzione del linguaggio che proprio nei grandi francesi del nostro secolo dovevano trovare la più alta e definitiva consacrazione. Si dovrà attendere il 1929, l'anno in cui Croce oppositore del fascismo nell'aula si levava in Senato contro la ratifica dei Patti latcrancnsi sottoscritti da Mussolini. Si dovrà attendere quell'anno per vedere consacrata la caduta di molte delle pregiudiziali e delle prevenzioni verso il Croce «hegeliano» e «germanafilo». * * Esce allora, in lingua francese, tradotta dall'amico non dimenticato Henry Bcdarida per i tipi di Payot, ì'Histoire de l'Italie contemporaine, \'«inno alla libertà» di cui il morente Giolitti si compiaceva quasi a estrema riparazione dell'Italia sacra al Risorgimento e allo Stato di diritto contro le crescenti negazioni e le sfrenate intolleranze fasciste. Croce e la Francia. Quel lontano incontro alla Sorbona mi torna alla mente leggendo le oltre cinqueccntocinquanta pagine, meditate e documentatissime, dell'opera critica di Charles Boulay uscita in questi giorni, Benedetto Croce jusqu'en 1911. Trente ans de vie intelkctuelle (Genève, Droz) Obicttivo dichiarato dell'eminente studioso della Sorbona è quello di ricostruire l'itinerario del pensiero filosofico crociano, soffermandosi in particolare sul periodo iniziale della sua stessa formazione intellettuale, meno approfondito in Italia e fuori rispetto agli approdi finali. Sono gli anni fra '60 e '70, nella Napoli stretta intorno alla figura di De Sanctis, sospesa fra hegelismo e positivismo; è il periodo di confronto col metodo storico, coi problemi di etica e di estetica; e ìa successiva stimolante fase del dibattito sul marxismo e dell'elaborazione della Filosofìa dello spirito, e quindi della Letteratura della nuova Italia fra clarsicismo, verismo e decadentismo, nel cuore dell'età giolittiana. L'autore dedica ampio spazio agli incontri con De Sanctis e Carducci, con Labriola, con D'Annunzio, con Pascoli, con Fogazzaro. Soprattutto D'Annunzio, così popolare in Francia (Croce lo aveva conosciuto nel 1892 nelle stanze della redazione del Mattino) è uno dei poeti — scrive Boulay — che «avevano incantato la sua giovinezza»: ma i giudizi sul poeta delle Vergini delle rocce si sarebbero fatti «sempre più severi», col passare del tempo, fino al rifiuto totale e definitivo del 1935. allorché il filosofo si congeda da L'ultimo D'Annunzio. Già nel '97, in una lettera a Capuana, Croce aveva ammesso le «ricche qualità di artista e la grande abilità teorica» di D'Annunzio, ma aveva deplorato la presenza in lui' di «qualcosa del ciarlatano e dell'impotente». Il tutto contrapposto al culto, vivo e operante, di Carducci. ★ ★ C'è una meditata conclusione del Boulay stimolante anche nel titolo: Giolittismo filosofico e continuità storica. E' la sintesi di Croce quarantenne, del Croce protagonista dell'età giolittiana (dai cui schemi politici dissentirà, almeno fino al '14), costruttore di un sistema di certezze appaganti per la borghesia liberale. «L'impegno delia speculazione crociana, sottolinea lo studioso francese dopo una esplorazione analitica e quasi minuziosa, è quello di evitare la rottura fra la generazione anteriore al 1860, la generazione di De Sanctis e della "critica estetica", e la generazione successiva al 1860, quella della "critica storica"». Sembra 3uasi, agli occhi del professore ella Sorbona, che la funzione principale di Croce sia quella di dare una base «culturale» alla nazione italiana così scarsa di titoli di legittimità politica. «La funzione terapeutica della filosofìa crociana si colloca nella storia, concepita come una continua evoluzione senza rotture, né conservatrici, né rivoluzionarie». E' esattamente la visione della storia, appagata e con elusa, che non resisterà allo sconvolgimento del primo dopoguerra e all'avanzare del de mone di tutti quegli irraziona lismi che Croce aveva contrastato nel primo decennio del secolo. Cè un secondo Croce, quello della lotta alle dittature contemporanee, che travalica i limiti del giolittismo filosofico e della continuità storica così bene individuati, sullo sfondo dell'Italia fra D'Annunzio e Carducci, da Charles Boulay. La lotta contro la ciarlataneria dannunziana non basterà più. Allorché l'orrore di nuove dittature persccutrici e violatrici dello spirito, in ogni caso peggiori delle antiche, si distenderà sull'Europa all'indomani di quella che il suo amico Giustino Fortunato aveva chiamato la «guerra sovvertitrice», Croce sarà il primo a rivendicare i valori perenni della libertà e della dignità umana: e l'uomo che aveva profondamente rimeditato il pensiero di Hegel non abbraccerà mai la filosofia dello «Stato etico», denunciando fin dal 1924 i rischi tremendi dell'autocrazia contemporanea, destinata a smentire le facili illusioni e le disinvolte acrobazie dell' attualismo. Ecco perché il profeta e precursore dei movimenti innovatori e rivoluzionari del primo Novecento, anche nel dominio dell'estetica e della letteratura, denuncerà come pochi il pericolo delle filosofie dell'irrazionale e della mistica dell'azione per l'azione. La seconda guerra mondiale arricchirà ulteriormente la sua meditazione storica e politica. Non solo nel contatto con la vita reale dalla quale rifuggì presto, non solo nell'esperienza del dolore e della sofferenza. Piuttosto in quel nuovo slancio, in quel senso «creativo» e «aperto» che egli darà alla sua filosofia della libertà come misura del mondo, come religione dell'anima: supe tando certe chiusure, trasccn dendo certi schemi, approfondendo i vincoli fra filosofia e storia, fra pensiero e azione, fra la meditazione sul mondo e l'impegno nel mondo. Sara \'«estrema angoscia» del maestro, come la chiamerà l'amico fedele Mario Vinciguerra. Gli approdi del giolittismo filosofico, negli .anni intorno al 1950, allorché collaborava con noi al Mondo di Pannun zio, erano ormai lontani. Giovanni Spadolini