«lo, ex matto, comincio a vivere»

«lo, ex matto, comincio a vivere» I malati di mente dopo l'esperienza dei ricoveri in manicomio «lo, ex matto, comincio a vivere» Clara, 50 anni, sposata: «A Collegno e in via Giulio ho conosciuto la disperazione» Adesso c'è l'ambulatorio con medici e infermieri in grado di capire e aiutare - Una lametta da barba nascosta nella fodera del cappotto: «Se mi ricoverano, mi taglio le vene» C'è chi vuol tornare indietro, rimpiange i manicomi, i matti da legare. Meno noie per tutti, per medici, infermieri, mondo esterno. Protestano molte famiglie, costrette a sopportare il parente uscito dall'ospedale psichiatrico. Per loro, la legge 180, quella che abolisce il manicomio, è tout-court una legge pazza. Alla violenza del manicomio si sarebbe sostituita la violenza dell'abbandono. E non ha importanza se la legge non può ancora essere applicata del tutto perché mancano le strutture contemplate sulla carta. Viene gestita male, boicottata, vituperata? T risultati . — dicono sempre i critici — sono negativi. Ma è proprio vero? Che cosa succede là dove si lavora con convinzione e impegno nello spirito della 180? Clara, 50 anni, sposata, frequenta ogni mercoledì l'ambulatorio psichiatrico di Rivoli, all'Uls 25. Ha conosciuto il manicomio di via Giulio, di Collegno e altri. Il primo ricovero a 16 anni, poi avanti e indietro nei manicomi. «Non mi sembra vero — racconta —. La mia fortuna è aver incontrato medici e infermieri in grado di capirmi e aiutarmi. Essere malati di mente non è né un reato né un Visio. A volte mi capitano ancora delle crisi. Allora o vengo in ambulatorio o vengono da me gli infermieri. Loro sanno come prendermi. Io benedico chi si batte per la nuova legge. Se penso che potrei essere ancora in un reparto con tutte quelle scene di violenza, i maltrattamenti, gli elettrochoc, mi vengono i brividi. A volte mi sento sola, è vero, ma il pensiero di essere libera, di poter venire qui, tra amici disposti a comprendermi, mi fa superare il momentaneo sconforto». Piero, 35 anni, operaio. «Quindici anni fa ho avuto un forte esaurimento nervoso. Mi hanno ricoverato in ospedale pischiatrico facendomi subito l'elettrochoc. Una cosa tremenda. Io non mi sento matto, ma temevo di diventarlo in manicomio. Poi ho saputo dell'esistema di questo ambulatorio. Qui ti trattano come una persona che ha bisogno d'aiuto, non ti sentì marchiato. Ho ripreso a lavorare. Se entro in crisi posso telefonare all'infermiere amico. A volte un colloquio col medico o coll'infermicre mi serve di più delle medicine. E' un clima di fiducia. Altro che cliniche private dove ti spillano soldi e ti trattano con dispresso*. Carla, 36 anni: .Anch'io sono malata di mente. Andavo dal medico della mutua e inevitabilmente mi prescriveva 40 giorni di ricovero in clinica, sempre, non un giorno di più né di meno. Ho speso un patrimonio, uscivo ed ero peggio di prima. Poi ho saputo che a Rivoli c'era l'ambulatorio, ho provato ad andarci. Mi sono trovata quasi in famiglia, per me la vita è cambiata da cosi a così*. Dice l'infermiere, Renzo Bonetto: 'Purtroppo ci sono ancora molte resisterne per entrare nello spirito della legge 180 là dove prevede che l'assistensa ai malati di mente va fatta dove nasce la crisi. E non bisogna essere né martiri né eroi per curare i malati e restituire loro la digni tà di persone*. Bonetto ci accompagna a casa di un assistito. Bruno P., 56 anni. Vive con la moglie in una cascina. Alle spalle ha 20 anni di ricoveri in ospedali e cliniche private. «So io quanto mi sono costati, ho dovuto vendere la terra e le bestie. Ma io non volevo più entrarvi, per paura dell'elettrochoc. Quando ho conosciuto il signor Bonetto, temevo che volesse farmi ricoverare. Nella fodera del cappotto avevo nascosto una lametta da barba: se mi ricoverano — mi sono detto — io mi taglio le vene. All'inisio c'era diffidensa da parte mia, poi ho capito che potevo contare su un amico. Grasie a lui e al personale dell'ambulatorio, io sono risuscitato. Adesso lavoro, gioco a bocce, suono la fisarmonica. Alle mie nosse d'argento ho invitato l'infermiere e la moglie*. Dice Silvana Cottino dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali: «Molti non conoscono la legge 180. Sancisce il superamento del manicomio, l'accento si sposta per la prima volta dalla protesione della società dal folle alla necessità di predisporre strutture e servisi territoriali che permettano al cittadino di vivere la crisi mantenendo legami con la collettività. Si indica nei servisi territoriali l'alternativa all'ospedale psichiatrico, superando quel concetto di pericolosità che aveva giustificato l'apparato repressivo e custodialistico*. Va tutto bene dopo la 180? «No, c'è ancora molta strada da fare. Spesso le dimissioni dal manicomio si trasformano in trasferimenti a cliniche private. Si assiste spesso al passaggio dalla violensa dell'internamento alla violensa dell'abbandono. Sono in tanti a boicottare la riforma, è diffusa l'impreparasione professionale come la visione burocratica. Aprire il manicomio è solo un punto di partensa, la sofferenza per i dimessi può continuare fuori. Ma quanti sono disposti ad aiutarli veramente se il territorio con le sue strutture non darà spasio e risposte ai loro bisogni?». Guido J. Paglia

Persone citate: Bonetto, Bruno P., Renzo Bonetto, Silvana Cottino

Luoghi citati: Collegno, Rivoli