Un pentito dell'Anonima racconta i retroscena del sequestro Casana di Remo Lugli

Un pentito dell'Anonima racconta i retroscena del sequestro Casana Al processo di Cagliari, molti hanno deciso di collaborare Un pentito dell'Anonima racconta i retroscena del sequestro Casana I fratelli Manna e Giorgio rapiti 2 anni e mezzo fa, mentre prendevano il sole su uno scoglio Uno dei banditi s'innamorò della ragazza e le raccontò tutta la sua vita - Una lettera al padre: «Se non paghi ci taglieranno un dito o un orecchio» - Spariti i soldi del riscatto DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CAGLIARI — Ora è chiara la tecnica difensiva che verrà applicata nel grande schieramento degli imputati (93, di cui 67 in stato di arresto) nel processo della superanonima sequestri. C'è il pentitissimo Luciano Gregoriani, 35 anni, ex autotrasportatore fallito, che ha confessato la sua partecipazione in tre sequestri su otto e in due tentati sequestri su tre, e che ha anche indicato i nomi dei complici con dovizia di particolari. Poi ci sono parecchi di questi complici che hanno confessato di fronte all'evidenza delle prove dimostrate dal Gregoriani. Il primo ad essere interrogato, ieri, dopo che Gregoriani aveva fatto il suo racconto panoramico durato cinque udienze, è stato Giuseppe Mureddu, 34 anni, allevatore, implicato nei sequestri Locci, Troffa, Casana. 'Ammetto le mie responsabilità, ma non intendo fare nomi di altri, perché sono sposato e ho dei figli-. Paura di rappresaglie, quindi, ben comprensibile d'altronde in un clima come questo della Sardegna dove, nel campo della malavita, per la prima volta si infrange la barriera della omertà. Nella sua esposizione Mureddu cita certi nomi, ma solo quelli che hanno a loro volta confessato. Il presidente Mauro Floris gli ricorda che per beneficiare delle riduzioni di pena previste dalla legge sui pentiti bisogna collaborare, indicare nomi di complici. Ma la paura di Mureddu è più forte dell'allettamento, ripete: "Presidente, io mi assumo solo le mie responsabilità-. Gregoriani e Mureddu raccontano in queste ultime due sedute del processo il sequestro dei fratelli Marina e Giorgio Casana, torinesi, di 16 e 15 anni, rapiti il 22 agosto '79 e rilasciati il 21 ottobre successivo dopo il pagamento di un riscatto di 500 milioni. La famiglia aveva un'azienda agricola a Sant'Angelo di Fluminimaggiore, nel Sud della Sardegna. Il gruppo dei famigliari in quei giorni d'estate era solito andare a prendere il sole sulla costa, vicino a Capo Pecora. E' dalla fine di giugno o dai primi di luglio che i banditi hanno ideato il sequestro di Roberto Casana, padre dei ragazzi. Gregoriani e Mureddu, a volte anche in compagnia di altri due. Salvatore Coinu e Robeto Penudi (di questo episodio sono imputati in 13) vanno sistematicamen te a spiare mosse e abitudini dei Casana. Poi, il 22 agosto, l'assalto. Sono in sei, armati di pistole e fucili a canne mozze. Si calano da un dirupo, at traversano un canale servendosi del canotto degli stessi Casana, balzano sullo scoglio dove ci sono i ragazzi, i loro genitori e tre ospiti. Incominciano a legare tutti, vorrebbero prendere il padre ma poi ripiegano sui ragazzi pensando che il padre è me glio lasciarlo libero perché procuri i soldi. Chiedono due miliardi. Roberto Casana risponde che è una cifra folle, offre trenta milioni. Le trattative vanno avanti forse per un quarto d'ora, mentre al largo passano barche con villeggianti. Casana sale a un centinaio di milioni. No, loro insistono sul termine 'miliardi». Se ne vanno con il canot to portando i ragazzi. Dopo cinquecento metri toccano terra, salgono sulle auto e poi dopo un paio d'ore raggiungono un ovile nell'entroterra. Nella prima lettera che Ma¬ rina scrive il 2 settembre 79 sotto intimazione dei banditi, con una richiesta di due miliardi e l'ultimatum del 30 settembre, si legge: 'Dopo questa data incominciano a mandarvi qualche dito e qualche orecchio e se sarà necessario anche la testa». Il presidente chiede a Mureddu: »E se non avessero pagato?». «Li avremmo rilasciati lo stesso» risponde Mureddu con tono bonario, come se la minaccia fosse stata solo un piccolo scherzo. Uno dei custodi era Salvatore Fais, 26 anni, che i fratelli Casana avevano soprannominato «Speedy Gonzales». Si era innamorato della ragazza, le raccontava la propria vita, le regalò anche una catenina argentata con due cuoricini. Marina seppe far tesoro delle informazioni che il giovane le dava e una volta libera le riferì agli inquirenti che poterono cosi identificarlo. Contemporaneamente venne individuato Gregoriani e con loro due si apri un grande varco nella superanonima. Le attenzioni di 'Speedy Gomales» per Marina non erano sfuggite agli altri componenti la banda. Gregoriani un giorno va nell'ovile per un sopralluogo, rimprovera il Fais, gli dice: 'Ne abbiamo portati via due, non voglio che ne restituiamo tre». Fais nega a Gregoriani. Anche Mureddu parla di queste attenzioni eccessive del giovane Fais. Sono risultanze che non figu¬ rano agli atti procesuli e il pm dottor Angioni quando, poco dopo, s'inizia l'interrogatorio di Salvatore Fais, gli contesta anche il reato di violenza carnale. L'imputato nega. Dice che ha sempre avuto per la ragazza solo riguardi. Ettore Casana per liberare i figli versa 500 milioni in due quote da 250 milioni. Le somme finiscono nelle mani di Salvatore Coini il quale, afferma, le nasconde nel cavo di un albero. Poi viene arrestato. Quando si va a cercare il denaro non lo si trova. Nessuno dice d'averlo avuto. Mureddu, davanti al presidente, vuole fare un invito: «Sarei contento se chi ne è in possesso lo restituisse ai Casana». Remo Lugli

Luoghi citati: Cagliari, Fluminimaggiore, Sardegna