Madrid, tre «golpe» in uno di Mimmo Candito

Madrid, tre «golpe» in uno II processo a un anno esatto dalla fallita ribellione dei generali Madrid, tre «golpe» in uno Attraverso le deposizioni cominciano a filtrare le prime verità - Gli interrogativi irrisolti nelle tredicimila pagine dell'istnittoria - La Corona rischia di essere in qualche modo coinvolta e il re riafferma con parole dure la sua fedeltà alla democrazia DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MADRID — I misteri del 23 febbraio non è bastato un anno a risolverli. Dentro i tredicimila fogli istruttori che una camionetta della polizia ha scaricato la settimana scorsa nel tribunale di Campamento c'è tutta la storia del golpe, ma è solo la versione ufficiale. E' una storia di carta scritta, come un lungo racconto di Le Carré fatto di mezze verità, di silenzi e di trame complicate. A sentire le lunghe tirate che il relatore fa con voce soporifera sotto la grande navata di questo magazzino, la Spagna stava per tornare a una dittatura solo per colpa dei 33 uomini che ora se ne stanno comodi e rilassati sulle poltrone di velluto rosso, in divisa di semigala, tra fieri saluti militari e un caffè distensivo preso alla pausa di mezzogiorno. Se fosse vero cosi, la Spagna sarebbe un Paese da burletta, peggio di una piccola repubblica del Caribe tentata dai mali tradizionali del Pronunciamlento. ' Ma da quando è morto Franco, questo Paese non ha trovato pace vera se non nelle rinunce che — per ragion di Stato — i partiti dell'antifranchismo hanno fatto di ogni loro rivendicazione passata; da quest'altra parte, dalla parte cioè di coloro che la dittatura l'hanno vissuta partecipando alla spartizione dei privilegi di regime, il desiderio della rivincita non è mai passato. Trentadue ufficiali e un sindacalista corporativo non bastano certo a rappresentarli tutti, e la storia ufficiale del golpe finge di non saperlo. Ci sono limiti, insomma, che questo processo non può permettersi di superare. Tutto deve restare dentro un mosaico ricomponibile senza difficoltà, e senza curiosità spinose. Le grandi banche private, i vecchi ministri di Franco, le diffuse complicità che vagano negli antichi saloni dei circoli e dei club madrileni, vengono cancellati come se non esistessero. Il golpe di un anno fa ha insegnato drammaticamente che ormai, nell'epoca dell'informazione elettronica, i fatti esistono solo se c'è la loro cronaca, la voce e le immagini della loro realtà: se il pomeriggio di quell'altro 23 febbraio, per una circostanza fortunata e imprevedibile, i giornalisti non fossero stati dentro le Cortes ad assistere in diretta all'assalto di Tejero con i loro strumenti professionali, quel golpe sarebbe poi diventato un'altra cosa, forse un Incidente di poco conto, comunque una storia non troppo seria. Quella, appunto, che dovrebbe trasparire oggi dal risultato dei patteggiamenti di tutto quest'anno che è passato in mezzo. Il processo vorrebbe che non ci fosse altro: questi i colpevoli, questa la sentenza, e il discorso si chiude. La scommessa politica del processo è tutta qui, nel castello di fogli scritti e numerati in bell'ordine che dovrebbe seppellire alla fine, tra un mese e mezzo, i dubbi e le tentazioni che continuano comunque ad esserci. Ma i misteri hanno spesso la testa dura, e i calcoli tirati giù al tempo dell'istruttoria potrebbero rivelarsi sbagliati. Il giudizio, infatti, per quanto mantenuto nelle linee obbligate di un dibattimento militare, porta dentro di sé i ger- mi del suo disfacimento. Anzitutto, perché non è ancora detto che ciascuno degli accusati accetti di interpretare fino alla fine 11 ruolo che gli è stato assegnato. Da quanto si è ricostruito dopo la resa di Tejero (ma la ricostruzione non c'è nei voluminosi dossier della giustizia militare), 1 golpe in preparazione quel febbraio di un anno fa erano tre e non uno: e gli interessi coinvolti non sempre coincidevano. Le deposizioni che si sono ascoltate finora cominciano già a far intuire brandelli di verità: il golpe che racconta Milans Del Bosch non è sempre lo stesso che ha messo in moto Tejero assaltando le Cortes, e la trama che si sfila attorno al racconto di Armada finisce per rivelare desideri e preoccupazioni che potrebbero toccare altri protagonisti differenti. Ci sono salti di umore, atteggiamenti, rancori profondi che in queste lunghe giornate di udien¬ za cominciano a tradirsi ai giornalisti che stanno seduti alle spalle degli imputati, quasi addosso alla lastra di vetro che li divide. Quando in aula arriveranno gli interrogatori e i confronti, i contrasti potrebbero rivelarsi in modo insanabile ed esplodere. Il mondo delle caserme in questo Paese è ancora come un universo a parte, un pezzo di storia di Spagna che ha mantenuto regole, ideali, costumi di vita distinti dal corso confuso, ma vitale, su cui muove il resto della società. La lite dibattimentale che si va preparando fra i tre protagonisti potrebbe riflettere, a suo modo, questo sigillo corporativo; tuttavia, nemmeno la forza del potere militare riesce a rendere credibile quello scontro come il risultato di lotte intestine agli stati maggiori, o di gelosie professionali. Le cospirazioni che puntavano i loro intrighi sulle forze armate riproducevano ambizioni e utilità che continuano a operare nella vita del Paese, e i segnali giungono sino all'aula del processo. In quest'anno che è passato, la Spagna ha cambiato governo, ha aderito all'Alleanza Atlantica, ha visto un forte recupero della parte politica che rappresenta la destra in Parlamento; e ieri Camilo ha attaccato con asprezza inusitata i socialisti. I rapporti di forza vanno mutando, all'interno delle caserme tornano a circolare liste di ufficiali considerati «indegni» e cinque giorni fa la riunione segreta di un gruppo di generali nella Scuola d'automobilismo dell'esercito ha riaperto tensioni che il processo doveva acquietare. I germi della politicizzazione del giudizio potrebbero venire alla luce da queste insoddisfazioni che si proiettano verso il tribunale: il processo, infatti, ha rivelato finora un progetto d'istruttoria che dovrebbe chiudersi alla fine con un conto pari, che salva l'immagine dell'esercito, da una parte, e il ruolo della corona, dall'altra; le forze politiche e gli interessi che non coincidono integralmente con questo presumibile risultato pacificatorie, nei quaranta giorni che verranno tenteranno di minare l'accordo che vi è dentro. Viene collegato a questi rischi il discorso del re l'altro ieri a Saragozza, davanti ai cadetti dell'Accademia militare: raramente, forse mai in pubblico, Juan Carlos aveva usato parole tanto dure e toni tanto severi. Ma forse mai come in questi giorni la corona aveva sentito tanto aggressivo il pericolo di venir coinvolta direttamente nelle trame che si muovono attorno al processo. Un anno fa, nella notte tra il 23 e il 24, il sovrano si era guadagnata la stima del mondo con l'appello televisivo che chiamava all'obbedienza gli eserciti di Spagna; ma quanto avvenne tra le 6,23 del pomeriggio (ora dell'assalto di Tejero), e 1*1,14 della notte (quando l'appello vu trasmesso in tv) è stato ricostruito in versioni differenti, si attribuiscono ruoli diversi, anche contraddittori, al comportamento del re in quelle lunghe ore. Alcuni lo fanno un eroe, disposto anche a morire pur di non cedere ai golpisti; altri rassicurano già informato del golpe (o di uno dei tre in preparazione) e indeciso a lungo sulla soluzione da dare al «pronunciamiento». I misteri del golpe offuscano anche la corona di Spagna. Ma non potrebbe essere altrimenti, perché la storia politica di questo Paese da quel 23 febbraio passa in modo obbligato attraverso il re, costretto a coprire il ruolo che i partiti di questa fragile democrazia non hanno avuto la capacità di occupare. Quella notte, Juan Carlos fu, alla fine, non soltanto il sovrano voluto dalla Costituzione ma anche il capo del governo Suarez, il leader dell'opposizione socialista, il segretario comunista Carrillo e, in qualche modo, fu anche Fraga Iribarne. Come e quando sia arrivato a questa scelta drammatica, non c'è forse processo che possa mai chiarirlo. Quello che si va svolgendo in un vecchio magazzino dell'esercito è solo un grande scenario pubblico, come tutti i grandi processi politici della storia. La Spagna, almeno in questo, non è più un Paese differente. Mimmo Candito Madrid. Un'immagine del tentato golpe spagnolo: alcuni elementi della Guardia C'ivi! strationano il vicepresidente del governo Gutierrez Mellado. In suo aiuto accorre il presidente Adolfo Suarez

Persone citate: Adolfo Suarez, Carrillo, Cortes, Del Bosch, Fraga Iribarne, Gutierrez Mellado, Juan Carlos, Suarez

Luoghi citati: Madrid, Spagna